14 novembre 1982
Palermo (PA)

Calogero Zucchetto

Una Vespa 125 con due uomini a bordo gira tra le borgate di Palermo anche di domenica e fuori dagli orari di lavoro. A bordo ci sono Ninni Cassarà e, dietro di lui, Calogero "Lillo" Zucchetto. Due poliziotti di valore, entrambi uccisi da quella mafia che senza sosta avevano combattuto. Lillo fu il primo a cadere sotto il piombo di Cosa nostra. Questa è la sua storia.

C’è un’immagine che colpisce in particolare di questa storia. Un’immagine che, da sola, riesce a definire la personalità, lo spirito, il senso del dovere del suo protagonista. Ma anche il valore di un legame di amicizia sincero e leale. È l’immagine di una Vespa 125 con due uomini a bordo, che, anche di domenica e fuori dagli orari di lavoro, gira con discrezione tra le borgate di Palermo alla ricerca di boss e latitanti. Siamo agli inizi degli anni ’80. Su quella Vespa ci sono Ninni Cassarà e, dietro di lui, Calogero “Lillo” Zucchetto. Due poliziotti di valore, entrambi uccisi da quella mafia che senza sosta avevano combattuto. Lillo fu il primo a cadere sotto il piombo di Cosa nostra. Questa è la sua storia.

Una storia che inizia in un piccolo paese dell’entroterra siciliano, a Sutera, poco più di mille abitanti, in provincia di Caltanissetta. Un borgo medievale, tra i più belli d’Italia, adagiato attorno alla montagna di San Paolino. È qui che, il 3 febbraio del 1955, nasce Calogero Zucchetto.

Suo padre lavora come usciere alle dipendenze della Regione Siciliana. Insieme a sua sorella Santina, Lillo cresce serenamente, in una famiglia normale e onesta. È un ragazzo perbene, estremamente socievole e altruista, con una intelligenza vivace e dinamica. Qualità che decide ben presto di mettere al servizio di un lavoro delicato e difficile ma per il quale si sente particolarmente portato.

Così, poco dopo aver compiuto i 19 anni, decide di arruolarsi in Polizia. Una scelta convinta, che compie con l’esuberanza e la passione che mette in tutto quello che fa. Terminato il corso lontano dalla Sicilia, è proprio nell’isola che chiede di tornare. Lo vuole lui, lo spera la sua famiglia e, in particolare, suo padre. Un modo per averlo vicino: “l’importante è che passi lo stretto di Messina”, ripete Santina ricordando le parole di suo padre.

Ed effettivamente in Sicilia Lillo riesce a tornare, in quella Palermo già scossa dalla violenza mafiosa che, di lì a pochi anni, culminerà nella seconda guerra di mafia e nell’ascesa dei Corleonesi.

In città, Lillo viene assegnato al primo originario nucleo di scorta incaricato di proteggere la vita di Giovanni Falcone. Ma è un ruolo in cui si sente stretto, limitato. Perché Lillo ama la strada, il lavoro tra la gente. È un segugio, un agente dal grande intuito e un investigatore abile e tenace. Un’ambizione che persegue con determinazione, fino a quando, agli inizi degli anni ’80, ottiene finalmente di essere assegnato alla Squadra mobile, alle dipendenze di Ninni Cassarà. Tra i due nasce un rapporto di profonda stima. Con Ninni, Lillo condivide un modo di lavorare ostinato e concreto, fatto di appostamenti, contatti confidenziali, soffiate. Non ci sono orari, turni di servizio, giornate di riposo. Spesso per questo litiga con la sua compagna, che gli rimprovera di lavorare troppo. Ma quel lavoro per lui è una vera e propria missione. Gira sulla Vespa di Ninni tra i vicoli dei quartieri feudo del potere mafioso, provando a cogliere movimenti sospetti, a identificare ricercati e latitanti. A Ciaculli, in particolare, la borgata marinara considerata impenetrabile alle forze di Polizia, una vera e propria zona franca per i boss. Eppure loro quel confine lo oltrepassano.

Sono anni di lavoro duro e rischioso, che però danno frutti importanti. Lillo passa intere nottate tra discoteche e locali. Si procura contatti e agganci negli ambienti della prostituzione, delle sale corsa, del mercato ortofrutticolo, abitualmente frequentati da gente poco raccomandabile, che però può dargli informazioni preziose. Fornisce un contributo prezioso alla stesura del famoso “rapporto Greco + 161”, in cui, nel luglio del 1982, per la prima volta il nome di Michele Grecou' Papa, viene associato a Cosa nostra. Riesce a costruire un rapporto di confidenza con il pentito Totuccio Contorno, le cui dichiarazioni saranno preziose per la stesura del rapporto. Un documento investigativo fondamentale, che prova a fare luce sulle dinamiche della seconda guerra di mafia, che disegna la nuova geografia criminale e l’ascesa dei Corleonesi e che diventerà parte integrante del primo maxiprocesso a una Cosa nostra che si fa sempre più violenta.

Lillo lo vede coi suoi occhi quando, il 3 settembre dell’82, tra i primi arriva in via Carini, sul luogo della strage in cui morirono il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo. Quel rapporto è composto da pagine e pagine di informazioni e notizie, raccolte durante le ore di lavoro investigativo per strada, dove Lillo non smette mai di stare, esponendosi sempre di più e attirando l’attenzione dei mafiosi.

È al periodo tra l’ottobre e i primi di novembre del 1982 che risale il momento culminante di questa azione investigativa che espone Zucchetto alla vendetta della mafia. In diverse circostanze, durante le ore di appostamento a Ciaculli, Lillo nota movimenti sospetti. Il 28 ottobre, addirittura, arriva a sorprendere insieme tre mafiosi di primissimo livello: Pino Greco scarpuzzedda, Mario Prestiflippo e Salvatore Montalto, boss di Villabate. Ma l’agente è solo e non è in condizioni di intervenire. I tre riescono a dileguarsi prima che arrivino i rinforzi. Lo hanno visto però, lo riconoscono, sanno chi è. Ma Lillo non si arrende e continua il suo lavoro. Così, grazie a una soffiata, il 7 novembre del 1982 riesce a portare i suoi colleghi sulle tracce di Montalto, che viene arrestato nella villa dove stava trascorrendo la latitanza. Lui non compare ufficialmente nei rapporti. È un modo per proteggerlo, per non esporlo ulteriormente. Ma è una precauzione inutile.

14 novembre 1982

Il 14 novembre 1982 era una domenica. Nel pomeriggio, Lillo, come faceva abitualmente, era stato alla partita. Poi, prima di raggiungere la casa della sua compagna, si era fermato al bar Collica, in via Notarbartolo, il salotto buono della città. Aveva consumato un panino e una birra e poi si era diretto verso la sua Renault 5.

Sono le 21.25 e la zona è molto affollata. I killer arrivano a bordo di una moto. La loro è un’azione fulminea. Avvicinano Zucchetto e gli sparano 5 colpi di calibro 38 alla testa. Il poliziotto non ha scampo. Muore così, a 27 anni e a pochi mesi dal suo matrimonio.

Le fotografie e i fotogrammi dell’epoca ritraggono la disperazione dei suoi colleghi, le loro lacrime, i loro calci di rabbia alle ruote delle macchine parcheggiate. Eppure la notizia dell’omicidio di Calogero Zucchetto ha poco risalto su una stampa forse assuefatta ai racconti di morte, al sangue delle vittime innocenti. Gli stessi funerali del poliziotto vedono una partecipazione scarsa della città, distratta, lontana, forse impaurita.

Vicenda giudiziaria

Le indagini sul delitto, confluite nel primo maxiprocesso a Cosa nostra, hanno appurato che a sparare sono stati Pino Greco e Mario Prestifilippo, i due boss che Calogero Zucchetto era stato più volte sul punto di acciuffare. Un omicidio preventivo, per evitare che il lavoro di Lillo potesse arrivare alla svolta definitiva. A dare l’ordine di morte, il gotha di Cosa nostra: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Raffaele Ganci ed altri boss della cupola mafiosa.

Il delitto Zucchetto è finito anche nel processo Tempesta del 2011, che ha individuato il superkiller di Ciaculli Giuseppe Lucchese come il terzo autore dell'omicidio.

Memoria viva

Nel suo nome, il commissario Beppe Montana, insieme al giudice Chinnici, fondò il Comitato Lillo Zucchetto, attraverso il quale si ritagliavano uno spazio nel loro prezioso tempo per andare a parlare con i ragazzi delle scuole e sancire un patto di complicità nella lotta alla mafia con la società pulita.

La sua passione, la sua determinazione e il suo sacrificio sono valsi a Calogero la Medaglia d’oro al valor civile:

Mentre conduceva una delicata operazione investigativa al fine della ricerca e della cattura di pericolosi latitanti, nel quadro della lotta alla criminalità organizzata, in un vile e proditorio agguato tesogli da ignoti criminali, veniva fatto segno a numerosi colpi mortali di arma da fuoco immolando, così, la giovane vita ai più alti ideali al servizio delle Istituzioni.
Motivazione della Medaglia d’oro al valor civile

Nel 2012, il comune di Sutera e la squadra di calcio locale hanno ideato il Premio di Poesia Lillo Zucchetto. E ancora a Sutera, nel primo anniversario del suo omicidio, è stato installato un monumento alla memoria, con un busto di Lillo. Nella sua città natale, è forte il ricordo di questo giovane e valoroso poliziotto, la cui morte ha lasciato un segno indelebile, sconvolgendo per sempre la vita della sua famiglia:

Verso le 21.30 abbiamo ricevuto una telefonata, che ho preso io: “suo figlio ha avuto un incidente, stiamo venendo a prendervi”. Erano della Questura. Mio padre già prevedeva che il figlio era in pericolo e si aspettava qualcosa si brutto, anche se Lillo a casa non parlava.
Quando siamo scesi, due macchine della Polizia erano già sotto casa. Papà ha capito subito. Ci hanno portato alla camera ardente in Questura e quello per me è stato un momento tragico, che non dimenticherò mai.
Per me Lillo era un punto di riferimento. Avere perso mio fratello per me è stato un dramma. Era un fratello, un amico, un confidente. Era tutto per me e mi manca moltissimo. Per me la vita è cambiata totalmente, ma il ricordo di mio fratello è rimasto tra la gente.
Santina Zucchetto - sorella di Calogero

La storia di Lillo è raccontata nel documentario della Rai Ninni Cassarà. Morte di un commissario, andato in onda in una puntata de La storia siamo noi di Giovanni Minoli.