Nato a Piazza Armerina, in provincia di Enna, il 22 ottobre del 1930, visse la sua infanzia in Libia dove il padre, sottufficiale della Marina militare, era di stanza. Alla fine della seconda guerra mondiale, rientrato in Sicilia con la famiglia, si stabilì a Messina fino al conseguimento degli studi in giurisprudenza. Giocatore di pallacanestro, militò in serie B nel CUS Messina.
In Sicilia iniziò a lavorare per una piccola società manufatturiera, la Plastica Italiana, e dopo il matrimonio si trasferì a Milano con sua moglie Ines, divenendo manager di una società sempre in campo manufatturiero.
Attento e amorevole padre di Alessandro, Emanuela e Salima, era un uomo buono e gentile, dotato di grande sensibilità e umanità.
Ricordo papà a casa che si metteva a quattro zampe per farci giocare a cavalluccio. Oppure mentre ci raccontava delle storie bellissime di cui ogni volta cambiava il finale, inventandoselo sul momento. E poi lo rivedo mentre suona la chitarra. Aveva una grande passione per il jazz che trasmise a noi.
Fino a qui, la storia di Giorgio Boris Giuliano somiglia a quella di tanti che dal dopoguerra presero la strada del nord in cerca di nuove opportunità lavorative e di vita. Ma, come tanti emigrati, non aveva dimenticato le sue origini, continuando a mantenere saldo e attento il suo sguardo su quello che accadeva a migliaia di distanza di chilometri da lui, nella sua Sicilia.
Negli anni '60 decise di seguire il sogno di entrare in Polizia. Nel 1962 vinse il concorso da Commissario e nel 1963 chiese di essere assegnato a Palermo. Una vita tranquilla, divisa tra l’amore per la famiglia, l’impegno per il lavoro e la costante cura per gli ultimi.
Quando in questura a Palermo arrivava un bambino povero che si era perso, lui lo portava a casa nostra. Invece di lasciarlo ad aspettare negli uffici freddi in mezzo ai calcinacci, come era prassi in quegli anni, lo accompagnava da noi. Suonava il campanello e lo presentava a me e alle mie sorelle. Così, per dargli un conforto.
La strage di Ciaculli
Negli anni '60, in Sicilia, a Palermo, di mafia non si parla ancora. Non ci sono stati ancora i primi collaboratori di giustizia a svelare la struttura di Cosa nostra, mancano strumenti legislativi e una reale conoscenza del fenomeno. L'attenzione è rivolta a rapine e scippi e ogni attività investigativa si concentra su questo. Alcuni avvenimenti, portati spesso all'attenzione pubblica dagli organi di stampa, vengono minimizzati dalle istituzioni e annoverati tra i reati di microcriminalità.
Certamente, in assenza di strumenti legislativi adeguati si faceva più complesso il lavoro d’indagine, ma uno sguardo attento e volenteroso avrebbe sicuramente permesso di riconoscere e affrontare “il problema”. Però, si sa, ignorare l’esistenza di un problema, per alcuni è l’alibi perfetto per non doversi assumere la responsabilità di un impegno per risolverlo. Questo, finché “quel problema” non ti travolge violentemente inchiodandoti al muro delle responsabilità.
E sarà la Strage di Ciaculli, in cui morirono sette uomini delle Forze dell’ordine, a costringere tutti a fermarsi e rendersi conto che quel problema, la mafia, non andava solo riconosciuto ma combattuto dallo Stato con nuovi e più adeguati strumenti.
Tre giorni dopo la tragedia, oltre centomila persone parteciparono ai funerali delle vittime. Una reazione così forte della società civile mise pressione sulle istituzioni al punto che, una settimana dopo la strage, furono avviati i lavori della prima Commissione Parlamentare Antimafia della storia repubblicana.
Alla notizia di quella terribile strage, Giorgio Boris Giuliano decise che doveva fare la sua parte, onorare la divisa e i suoi ideali e chiese, con una lettera scritta al capo della mobile dell’epoca, di essere assegnato a Palermo, alla sezione omicidi della squadra mobile.
L’attività investigativa
Nei suoi tanti viaggi aveva avuto modo di conoscere l’operato della DEA e dell’FBI, specializzandosi alla scuola di Quantico (FBI National Academy) e instaurando con loro un forte legame di collaborazione.
Così, arrivato a Palermo capì subito che occorreva costruire una struttura solida e ben organizzata per fronteggiare un fenomeno così complesso e sempre più in espansione.
Intuitivo e curioso per indole, aveva una grande conoscenza di Palermo: vicoli, strade e dinamiche criminali che si muovevano sotterranee nella città. Ricostruì la Squadra Mobile, circondadosi di poliziotti abili e coraggiosi, come Filadelfo Aparo, ucciso da Cosa nostra l'11 gennaio 1979.
Grazie al suo metodo d’indagine, che si concentrava sui conti bancari, Giuliano fu uno tra i primi investigatori a capire che la Sicilia negli anni '70 era diventata una tappa centrale per il traffico internazionale della droga controllato dalla mafia. Collaborando con la DEA e l'FBI contribuì a dare avvio a una delle prime grandi indagini contro Cosa nostra, quella che fu in seguito chiamata “Pizza Connection”.
L’intuizione di Boris Giuliano trovò pieno riscontro nel giugno del 1979 quando, all’aeroporto di Palermo, tra i bagagli di un volo proveniente da New York, furono rinvenute due valigie con circa 500.000 dollari in contanti, il pagamento di una partita di eroina pagato alle famiglie siciliane da quelle statunitensi. Poco tempo dopo, all’aeroporto di New York fu sequestrato un carico di eroina del valore di dieci miliardi di lire proveniente da Palermo.
Boris Giuliano e la sua squadra indagarono anche sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro avvenuta il 16 settembre del 1970. De Mauro, che sparì mentre indagava sull'ultimo viaggio di Enrico Mattei, per conto del regista Francesco Rosi che stava lavorando al film “Il caso Mattei”, prima della scomparsa aveva promesso a Rosi importanti notizie sugli ultimi giorni di Mattei. Notizie che accreditavano l'ipotesi, sostenuta da Rosi poi nel suo film, che l'incidente che causò la morte di Mattei era in realtà un attentato.
Nel 1978 si occupò delle indagini relative all'omicidio di Giuseppe Di Cristina, mafioso che aveva iniziato a fornire agli inquirenti informazioni sui contrasti interni a Cosa Nostra tra le famiglie palermitane dei Bontade-Inzerillo-Badalamenti e quelle dei Corleonesi. Sul suo cadavere saranno poi rinvenuti assegni che Giuliano scoprì riconducibili a Michele Sindona. In merito a questo rinvenimento Giuliano incontrò a Milano l’avv. Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca d’Italia che indagava su Michele Sindona, e che morirà in un agguato l’11 luglio del 1979.
Deve (…) ascriversi ad ennesimo riconoscimento dell’abilità investigativa di Giuliano se quanto è emerso faticosamente solo adesso, a seguito di indagini istruttorie complesse e defatiganti, era stato da lui esattamente intuito e inquadrato diversi anni prima. Senza che ciò voglia suonare critica ad alcuno, devesi riconoscere che, se altri organismi statali avessero adeguatamente compreso e assecondato l’intelligente impegno investigativo del Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non si sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassini, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati.
21 luglio 1979
Il 21 luglio 1979, alle otto del mattino, in attesa dell'arrivo del suo autista, Giorgio Boris Giuliano entrò al bar Lux di via di Biasi a Palermo, vicino casa, per prendere un caffè. È di spalle, alla cassa intento a pagare, quando un uomo entra e lo uccide con sette colpi di pistola, dileguandosi in pochi secondi.
Era un uomo pieno di ideali, e per questi ideali viveva ogni giorno della sua vita ed era pronto anche a morire. Sapeva benissimo, anche se non ne parlavamo, che il suo lavoro poteva portarlo a questo. Ma, per onorare quegli ideali, era disposto ad affrontare le conseguenze fino alla fine.
Vicenda giudiziaria
Seppur il gestore del bar avesse fornito una descrizione dell'omicida, le indagini non portarono a nulla. Un contributo decisivo sulla sua morte fu dato dal capitano dei Carabinieri Emanuele Basile che nel 1980 consegnò a Paolo Borsellino un rapporto dettagliato sul traffico internazionale di eroina gestito dai Corleonesi.
Ma bisognerà attendere l'avvio del maxiprocesso e le testimonianze dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, per ricostruire dinamiche, movente, mandanti ed esecutori dell'omicidio.
Per il suo assassinio vennero condannati all'ergastolo in via definitiva, in qualità di mandanti, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Francesco Spadaro e Nenè Geraci. L'esecutore materiale, invece, condannato nel 1995, fu individuato in Leoluca Bagarella.
Secondo le dichiarazioni di Buscetta e Contorno, le indagini di Giuliano sul traffico di droga furono la ragione principale, anche se non l’unica, che spinse Cosa nostra a decidere di ucciderlo.
Memoria viva
Valoroso funzionario di Pubblica Sicurezza, pur consapevole dei pericoli cui andava incontro operando in un ambiente caratterizzato da intensa criminalità, con alto senso del dovere e non comuni doti professionali si prodigava infaticabilmente nella costante e appassionante opera di polizia giudiziaria che portava all'individuazione e all'arresto di pericolosi delinquenti, spesso appartenenti ad organizzazioni mafiose anche a livello internazionale. Assassinato in un vile e proditorio agguato tesogli da un killer, pagava con la vita il suo coraggio e la dedizione ai più alti ideali di giustizia.
Saranno migliaia i comuni cittadini, abitanti dei quartieri popolari di Palermo, a partecipare ai suoi funerali. Una scelta in netta controtendenza, per quei tempi in cui le Forze dell'ordine erano considerate alla stregua di un nemico, che testimonia il valore umano, ancor prima che professionale, di Giorgio Boris Giuliano.
Per la sua umanità e attenzione agli ultimi, la capacità di ascolto e il rispetto verso l'altro, la città di Palermo volle rendergli omaggio, perché Boris Giuliano era un poliziotto che aveva scelto di fare il proprio dovere fino in fondo, senza mai dimenticarsi di essere un uomo.
A volte non gli è stata tributata adeguata memoria, ma si può dire anche per altre vittime della mafia e del terrorismo. C'è un sacco di gente che è stata dimenticata. Dobbiamo sperare nelle nuove generazioni, sono loro i depositari del ricordo di persone come mio padre, Boris Giuliano.