47 anni fa, la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro

Sono trascorsi 47 anni dalla scomparsa di Mauro De Mauro e ancora oggi il suo corpo non è stato restituito alla sua famiglia. Ma chi era Mauro De Mauro?
Nacque nel 1921 a Foggia, figlio di un chimico e di un'insegnante di matematica. Trasferitosi a Palermo con la famiglia dopo la seconda guerra mondiale, lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e poi L'Ora, rivelandosi un ottimo cronista. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei e nel settembre del 1970 si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all'incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei. De Mauro aveva pubblicato, sempre su L'Ora, il 23 ed il 24 gennaio 1962 il verbale di polizia, risalente al 1937 e caduto nel dimenticatoio, in cui il medico siciliano Melchiorre Allegra, tenente colonnello medico del Regio Esercito durante la Prima Guerra Mondiale, affiliato alla Mafia nel 1916 e pentito mafioso dal 1933, elencava tutta la struttura del vertice mafioso, gli aderenti, le regole, l'affiliazione, l'organigramma della società malavitosa. Il giornalista da qualche tempo era stato trasferito dalla redazione "Cronaca" a quella dello "Sport" de L'Ora, quando venne rapito la sera del 16 settembre del 1970, mentre rientrava nella sua abitazione di Palermo, a pochi giorni dal matrimonio di sua figlia Franca. Da allora non si ha più alcuna notizia di lui.
In questi casi di parla di “lupara bianca”, una locuzione che indica l'omidicio di mafia che prevede l'occultamento del corpo della persona assassinata. Sono tante, troppe le famiglie alle quali è stato negato anche il diritto di piangere sul corpo della persona amata. L’ennesimo diritto calpestato dalle mafie. Non può esserci il recupero della dimensione più umana della verità di quanto accaduto senza la restituzione dei corpi di coloro che sono stati strappati alle loro famiglie. La cancellazione totale della persona rende evidente la manifestazione delle mafie come un male assoluto che arreca un danno incalcolabile alle nostre comunità.
E allora, oggi più che mai vogliamo ripetere l’appello che don Luigi Ciotti ha fatto agli “uomini e alle donne delle mafie”, in occasione dell’incontro del 19 marzo 2017 a Locri tra i familiari delle vittime di mafia e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
La speranza di cambiamento diventa forza di cambiamento se si procede uniti verso lo stesso obiettivo. Dobbiamo rompere l’omertà, spezzare questo intreccio. Le mafie non uccidono solo con la violenza. Vittime sono i morti, ma anche i morti vivi, le persone a cui le mafie tolgono la speranza e la dignità.
Una parola voglio rivolgerla anche io agli uomini e alle donne della ‘ndrangheta e delle mafie. Ma che vita è la vostra? Ricordate quando tre anni fa Papa Francesco ha voluto partecipare a un momento di riflessione, di incontro e di preghiera, incontrando i familiari ha chiesto ai mafiosi di convertirsi, di abbandonare il male.
Io sono molto piccolo, oggi più che mai di fornte alla complessità del mondo. Ma una cosa mi sento di poterla chiedere. L’ho sentita dalle vostre voci nell’arco di questi anni. Tanti familiari hanno perso i loro cari e non hanno avuto nemmeno la possibilità di riavere il loro corpo, di piangere sulla loro tomba. Allora, voi donne e uomini delle mafie, diteci almeno dove li avete sepoliti. Vi chiedo a nome di tanti familiari e vi auguro di avere questo scrupolo, questo sussulto di coscienza. Può essere l’inizio di un qualcosa di diverso, di un percorso di vita e non più di morte.