29 luglio 1983
Palermo (PA)

Mario Trapassi

Accettare alcuni incarichi in quegli anni a Palermo rappresentava una scelta precisa, un chiaro segno del posto che si voleva occupare nella lotta contro la mafia. E così Mario non ha mai voluto nascondere da che parte stava, al fianco di chi voleva fare la sua parte. Proteggere il giudice Chinnici e il suo lavoro, la sua vita, costi quel che costi.

Mario Trapassi nasce a Palermo, l’8 dicembre del 1950, la sua è una famiglia molto semplice e molto unita. Sono sei figli e lui e Pietro sono gli unci maschi. Mario è più piccolo di 11 anni, a scegliere il suo nome è stato proprio il fratello maggiore.

È un ragazzo serio, generoso e altruista che presto decide di arruolarsi nell'Arma dei Carabinieri. Così, non appena raggiunta la maggiore età, supera il concorso e prima frequenta la Scuola Sottufficiali di Velletri, poi di Firenze.
A vent'anni mette in insieme una squadra di calcetto, sua grande passione, e partecipa anche al campionato della Favorita, é un terzino. Lo chiamano tutti Facchetti perché é troppo onesto anche quando gioca.

Terminato il corso la sua prima sede di assegnazione è Torino, dove si distingue per dedizione e serietà. Mario è innamorato del suo lavoro e questo traspare in ogni suo gesto. Ogni compito che gli viene assegnato viene da lui portato a termine con serietà e spirito di servizio.

Negli anni a seguire, grazie alle sue doti e alla professionalità acquisita, diventa agente di scorta del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa.

Nel frattempo si sposa e, per stare vicino alla sua Immacolata, per prendersi cura dei suoi genitori e fare ritorno nella sua tanto amata terra d’origine, chiede di essere assegnato a Palermo. Viene così trasferito a Termini Imerese e qui Mario decide di far parte della scorta del giudice Paolo Borsellino, continuando così ad accumulare esperienza nel delicato servizio scorte.

Anche la vita familiare va a gonfie vele: Mario e Immacolata diventeranno genitori quattro volte: Luca, il più piccolo, Salvatore, Monica e Laura. Lui è un papà dolce e attento, che cerca di non far mancare nulla alla sua famiglia.

La Palermo degli anni ‘70

Sono i primi anni Settanta, anni complessi per la città di Palermo che inizia a confrontarsi con l'aggressione militare della mafia. Il giudice Rocco Chinnici è chiamato a occuparsi dei casi più delicati inerenti alla mafia. Gli viene assegnato il primo grande processo di mafia, quello per la "strage di viale Lazio", e con il susseguirsi degli anni e dell’esperienza acquisita ha una grande intuizione: creare, nel suo ufficio, dei veri e propri gruppi di lavoro, dando quindi una prima forma a ciò che poi diventerà il pool antimafia. Accanto a sé vuole - tra gli altri - due giovani magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con cui avvia le prime indagini che sfoceranno nei più importanti processi antimafia della storia siciliana. A seguito dei grandi risultati ottenuti, il giudice Chinnici diventa Consigliere Capo del Tribunale di Palermo, e così, a Mario viene chiesto di essere a capo della sua scorta.

L’incarico è delicato e rischioso, ne è pienamente consapevole Mario e non esita nell’accettare l’incarico. Non ci pensa minimamente a rifiutare, vuole fare la sua parte per proteggere quel giudice che lotta contro la mafia, per mettere le sue competenze al servizio del Paese, per servire lo Stato mantenendo fede al giuramento fatto appena iniziata la sua carriera nell’Arma. La paura c’è, ma è più forte la convinzione che il percorso di giustizia intrapreso da quel giudice vada sostenuto, ognuno facendo la propria parte. E così inizierà quel nuovo servizio di scorta, condiviso assieme all’appuntato Salvatore Bartolotta.

Il 29 luglio del 1983

È il 29 luglio del 1983. Sono le 8 del mattino e Mario è, come ogni giorno, sotto casa di Rocco, in via Pipitone Federico, ad aspettarlo. Con lui il collega Salvatore e l’autista, Giovanni Paparcuri.

L’aria è calda e il sole già alto illumina le vie di una Palermo così bella, ma che di lì a breve conoscerà il periodo delle autobombe e delle stragi. Mario e Salvatore parlano tra loro, si scambiano qualche battuta in attesa che il giudice arrivi. Si guardano attorno, sono attenti, come sempre, ma non sanno che il pericolo arriverà da dove nessuno, sino a quel momento, può immaginare. Davanti a quel portone c‘è infatti una Fiat 126 verde, parcheggiata lì molto prima dell’arrivo della scorta, imbottita con ben 75 kg di esplosivo. Non appena Rocco scende e si accinge a varcare il portone, qualcuno azionerà quell’ordigno che spazzerà via in un attimo quattro vite. Moriranno sul colpo Mario, il giudice Rocco Chinnici, il collega e amico Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. L’unico a salvarsi sarà, miracolosamente, Giovanni, che era al suo posto, alla guida di quell’auto che avrebbe dovuto accompagnare il giudice a lavoro. Saranno comunque gravissime le ferite, nel corpo e nell’animo, da lui riportate.

La vita del maresciallo palermitano viene così spezzata tragicamente da un attentato mafioso, lasciando soli, straziati dal dolore, la sua adorata moglie e i suoi quattro bambini, la più grande aveva soltanto 7 anni.

Quell’autobomba sarà solo la prima delle tante autobombe che verranno tristemente utilizzate nelle stragi degli anni ‘90 a Palermo, segnando così l'ulteriore e drammatico inasprirsi della strategia mafiosa ai danni di quanti – magistrati, forze dell’ordine, imprenditori, cittadini comuni - proveranno a ribellarsi e a fare la propria parte. Quella strage lascerà un segno indelebile nell’opinione pubblica: “Palermo come Beirut” titoleranno i giornali all’indomani dell’esplosione.

Vicenda giudiziaria

Dopo un lungo e tortuoso iter giudiziario, per la strage di via Pipitone saranno condannati definitivamente all’ergastolo dodici boss di Cosa nostra, tra i quali Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, Antonino Madonia e Giovanni Brusca. Saranno inflitte pene dai 15 ai 18 anni di reclusione ad altri quattro boss dell’organizzazione mafiosa.

Memoria viva

A Mario verrà assegnata la Medaglia d'oro al valor Civile alla Memoria.

Alla sua memoria sarà inoltre intitolata, dal 27 aprile 2015, la Caserma sede del Comando Stazione Carabinieri di Palermo Uditore.

Il fratello di Mario, Pietro Trapassi, ha pubblicato il libro “Caino vive a Palermo”, edito dalla Apice libri.

Mario desiderava una Sicilia più legale, un futuro più sereno e si adoperava per riportare sulla giusta via piccoli delinquenti, di cui aveva conoscenza. Amante della famiglia, quella che comprendeva anche i tanti parenti, si adoperava per che fosse sempre unita. Il suo sacrificio non può essere catalogato come un atto di normale vita.
Pietro - fratello di Mario