Salvatore Bartolotta nasce a Castrofilippo, piccolo comune della provincia di Agrigento, il 3 marzo 1935 da papà Salvatore e mamma Filomena Lo Bue.
È un ragazzo buono e dai saldi valori e, già da ragazzo, ha le idee ben chiare sul suo futuro: vuole diventare un carabiniere e servire il suo Paese. Così, non appena compiuti 18 anni si arruola nell’Arma. Dopo i primi mesi di formazione viene assegnato prima a Caltanissetta e poi a Cefalù. Già in questi primi anni si distingue per la dedizione e la professionalità con cui svolge il suo lavoro.
Grazie alle competenze acquisite e alla passione dimostrata, viene assegnato definitivamente al Nucleo Investigativo presso la Caserma Carini di Palermo.
In questi anni continua a distinguersi in varie operazioni e ottiene due encomi solenni: il primo nel 1958 per la condotta tenuta in un conflitto a fuoco e la colluttazione con un pregiudicato e il secondo, nel 1967, conferito dal Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, per il ruolo fondamentale svolto nelle indagini che porteranno all’identificazione e all’arresto di due autori di un efferato omicidio.
Nel frattempo Salvatore si sposa e mette su, insieme alla sua Rosa Maria, una bella famiglia animata da ben cinque bambini: Dario, Filomena, Fabio, Viviana e Massimiliano. Lui è un papà premuroso e cerca in ogni modo di essere presente nella vita dei suoi figli.
La Palermo degli anni ‘70
Sono i primi anni Settanta, anni complessi per la città di Palermo che inizia a confrontarsi con l'aggressione militare della mafia. In questo contesto, per motivi di lavoro, Salvatore conosce un giovane giudice dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo: Rocco Chinnici. Salvatore rimane affascinato da questa figura, ne apprezza la preparazione e l’impegno profuso contro la mafia e così prende una decisione importante per la sua vita. Decide di iniziare il servizio di scorta a personalità civili. E il suo servizio di scorta inizierà tra il '71 e il '73, proprio a fianco del magistrato. Tra Salvatore e Rocco, oltre al rapporto professionale, nasce subito anche un rapporto di amicizia profonda, che non si interromperà mai.
Dopo qualche tempo cessano le esigenze di protezione del giudice e Salvatore viene assegnato ad altri incarichi, compresa la scorta di un altro giudice del pool di Chinnici, il giudice Paolo Borsellino. Fino a quando, alla fine degli anni Settanta, Rocco viene nuovamente sottoposto a misure di protezione. E così, grazie alla reciproca stima professionale e anche al profondo rapporto di amicizia che li lega, a Salvatore viene chiesto di tornare a scortarlo. L’incarico è delicato e rischioso, ne è pienamente consapevole. Salvatore però non esita e accetta l’incarico. Non ci pensa minimamente a rifiutare, vuole fare la sua parte per proteggere quel giudice che lotta contro la mafia, per mettere le sue competenze al servizio del Paese, per difendere un amico. La paura c’è, ma è più forte la convinzione che il percorso di giustizia intrapreso da Rocco vada sostenuto, ognuno facendo la propria parte. E così inizierà il servizio di scorta al fianco di quel giudice amico, condiviso assieme al Maresciallo Mario Trapassi.
Il 29 luglio del 1983
È il 29 luglio del 1983. Sono le 8 del mattino e Salvatore è, come ogni giorno, sotto casa di Rocco, in via Pipitone Federico, ad aspettarlo. Con lui il collega Mario e l’autista, Giovanni Paparcuri. L’aria è calda e il sole già alto illumina le vie di una Palermo così bella, ma che di lì a breve conoscerà il periodo delle autobombe e delle stragi. Salvatore e Mario parlano tra loro, si scambiano qualche battuta in attesa che il giudice arrivi. Si guardano attorno, sono attenti, come sempre, ma non sanno che il pericolo arriverà da dove nessuno, sino a quel momento, può immaginare. Davanti a quel portone c‘è infatti una Fiat 126 verde, parcheggiata lì molto prima dell’arrivo della scorta, imbottita con ben 75 kg di esplosivo. Non appena Rocco scende e si accinge a varcare il portone, qualcuno azionerà quell’ordigno che spazzerà via in un attimo quattro vite. Moriranno sul colpo Salvatore, il giudice e amico Rocco, Mario e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. L’unico a salvarsi sarà, miracolosamente, Giovanni, che era al suo posto, alla guida di quell’auto che avrebbe dovuto accompagnare il giudice a lavoro. Saranno comunque gravissime le ferite, nel corpo e nell’animo, da lui riportate.
La vita dell’appuntato castrofilippese viene così spezzata tragicamente da un attentato mafioso, lasciando soli, straziati dal dolore, la sua adorata moglie e i suoi cinque figli.
Quell’autobomba sarà solo la prima delle tante autobombe che verranno tristemente utilizzate nelle stragi degli anni ‘90 a Palermo, segnando così l'ulteriore e drammatico inasprirsi della strategia mafiosa ai danni di quanti – magistrati, forze dell’ordine, imprenditori, cittadini comuni - proveranno a ribellarsi e a fare la propria parte. Quella strage lascerà un segno indelebile nell’opinione pubblica, “Palermo come Beirut” titoleranno i giornali all’indomani della strage.
Vicenda giudiziaria
Dopo un lungo e tortuoso iter giudiziario, per la strage di via Pipitone saranno condannati definitivamente all’ergastolo dodici boss di Cosa nostra, tra i quali Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, Antonino Madonia e Giovanni Brusca. Saranno inflitte pene dai 15 ai 18 anni di reclusione ad altri quattro boss dell’organizzazione mafiosa.
Memoria viva
A Salvatore verrà assegnata la Medaglia d'oro al valor Civile alla Memoria.
Alla sua memoria sarà intitolata, dal 27 aprile 2015, la Caserma sede del Comando Stazione Carabinieri di Palermo Uditore.
Domani quando sorgerà il sole mi sembrerà di vedere ancora papà che, puntuale come ogni mattina, esce di casa per andare dal suo amico Rocco…certa che lo rivedrò. Se le mie parole possono apparire quelle di chi ha voluto trovare un equilibrio di pace per meglio sopravvivere a un dolore straziante, siamo fuori strada. Sono fortemente convinta che ognuno di noi può fare e deve fare qualcosa. Lo diceva Don Pino Pugliesi… i primi passi sono certamente la memoria, ma a questa deve seguire una presa di coscienza e chissà anche il “decidersi” a mettere i nostri piedi sulle loro orme renderà il nostro cammino più lieve.