Parole di memoria

Pio La Torre e i beni confiscati, luoghi parlanti di storie e di impegno

Pio La Torre e i beni confiscati, luoghi parlanti di storie e di impegno

di Tatiana Giannone

La via della semplice repressione — che colpisce la escrescenza, ma che non modifica l'humus economico, sociale e politico nel quale la mafia affonda le sue radici — non ha portato e non poteva portare a risultati definitivi.

Così, nel 1976, Pio La Torre scriveva nella relazione di minoranza per la Commissione d’inchiesta antimafia. Una visione nuova, che pone al centro della lotta alle mafie i cittadini e le cittadine e l’importanza di costruire spazi di giustizia sociale. La vita di Pio La Torre, infatti, ha radici profonde nella terra e nella difesa della comunità tutta, a partire da quei contadini siciliani che, a Portella della Ginestra e in tutta l’isola, reclamavano il loro diritto al lavoro, alla terra, al futuro.
Una terra, la Sicilia, che è stata il suo faro costante nell’impegno sindacale e politico poi, che lo ha portato fino a Roma come deputato del Partito Comunista Italiano, in cui era nella segreteria nazionale. Attraverso il suo impegno politico in Parlamento, Pio La Torre si fa portavoce di una proposta normativa per combattere le mafie e per sostenere i contesti territoriali: una definizione precisa di “associazione criminale di stampo mafioso”, che consentirà poi di istruire tutti i più importanti processi, e l'introduzione delle misure di prevenzione patrimoniali che consentono di togliere tutto quello che è stato strumento o profitto di azioni illecite agli indiziati di appartenere ad organizzazioni criminali di stampo mafioso. Una rivoluzione. Togliere le ricchezze alle mafie per dare respiro alle comunità oppresse, che finalmente potranno godere dei loro diritti senza scendere a compromessi.

Venticinque anni fa, Libera ha teso la mano verso la legge scritta e immaginata da Pio La Torre, raccogliendo la sua eredità e compiendo dei passi in avanti. Non basta togliere potere e credibilità alle mafie sottraendo loro i patrimoni acquisiti illecitamente, ma è necessario che queste ricchezze tornino alla collettività sotto forma di opportunità di sviluppo economico e di coesione sociale. Nel 1996, dopo una campagna di raccolta firme durata quasi un anno, Libera presenta una petizione popolare a sostegno di un disegno di legge per il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi e ai corrotti, che sarà approvata proprio il 07 marzo 1996.
In 25 anni Libera e la rete associativa hanno scritto pagine importanti di impegno e hanno accompagnato gli enti locali e i soggetti del mondo non profit verso la piena applicazione di questa legge, certi del profondo significato di liberazione e di trasformazione di un progetto di nuova vita per i beni confiscati. Sono stati anni in cui più volte abbiamo difeso questa legge e proposto modifiche normative, contro la possibilità di vendere ai privati questi patrimoni.
Siamo consapevoli, dei diversi nodi da sciogliere e degli sforzi ancora da compiere nel segno della corresponsabilità, la strada da fare è tracciata: la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici delle aziende sequestrate; la loro sopravvivenza nel circuito dell’economia pulita, senza pagare il costo dell’illegalità; la possibilità di avviare pratiche di progettazione partecipata con gli enti pubblici per il riutilizzo di tutti i beni immobili; ma soprattutto, la necessità che per i patrimoni inutilizzati ci sia l’impegno congiunto verso la risoluzione di tutte le criticità.

Luoghi parlanti questo sono i beni confiscati, patrimoni sottratti alle mafie che diventano segni di una nuova comunità, di impegno e reazione; luoghi parlanti, in grado di diventare veicolo e strumento di conoscenza, di sapere, di identità, di storia e storie. Patrimoni che possono tracciare percorsi che, dalla memoria, siano in grado di far germogliare frutti di impegno e responsabilità. Nel percorso che, dal 1996, ha segnato il lavoro di Libera per il riutilizzo sociale dei beni sottratti ai clan e per la valorizzazione delle esperienze di riutilizzo, il nesso profondissimo tra memoria e beni confiscati non è stato mai abbandonato. È stato sempre fondamentale affiancare alla dimensione repressiva, a quella politica, a quella economica, legate indissolubilmente al riutilizzo sociale dei beni confiscati, quella, altrettanto fondamentale, culturale e sociale. Questa è una mappa dell’impegno, in cui abbiamo messo in risalto quei beni confiscati che sono intitolati alla memoria di vittime innocenti delle mafie e che sono oggi baluardo di un impegno quotidiano.
Oggi, il panorama del riutilizzo sociale è vastissimo: 871 soggetti del volontariato e della cooperazione che gestiscono beni confiscati, tanti di questi intitolati a vittime innocenti delle mafie; attività diverse che rappresentano un reticolo importante di welfare sussidiario a quello pubblico. Servizi dalla comunità per la comunità, a sostegno di nuovi modelli di sviluppo sociale ed economico. Un impegno che ha fatto il giro del mondo, letteralmente: una direttiva europea, la num. 2014\42, che è stata recepita da 19 stati membri dell’Unione Europea; esperienze di riutilizzo pubblico e sociale in Spagna, Olanda, Francia, Albania, Belgio e Bulgaria. In America Latina, lo stato federale di Città del Messico ha inserito il riutilizzo sociale nella sua costituzione, e in altri Stati, come la Colombia e l’Argentina, la società civile e alcune istituzioni stanno lavorando per trasformare questa procedura in vera opportunità.
E infine, un passaggio sul tema della trasparenza, ci riporta proprio nell’agire più profondo di Pio La Torre: monitorare le attività degli enti pubblici è una delle forme più alte di partecipazione democratica dei cittadini e delle cittadine, che diventano così consapevoli di come i fondi nazionali ed europei sono investiti sui loro territori. I beni confiscati, patrimoni così fragili ma anche così significativi, hanno necessità di essere illuminati e soprattutto di essere raccontati nella loro bellissima rivoluzione.

Se si vuole assestare un colpo decisivo alla potenza della mafia occorre debellare ili sistema di potere clientelare attraverso lo sviluppo della democrazia, promuovendo la mobilitazione unitaria dei lavoratori, l'autogoverno popolare e la partecipazione dei cittadini al funzionamento delle istituzioni democratiche.
Pio La Torre

Per concludere, sono questi pezzi di storia del nostro Paese che ci riportano chiara la strada da seguire: i beni confiscati sono beni comuni, strumenti per rendere attivi i diritti fondamentali di ognuno noi; patrimoni sottratti al potere mafioso diventano, con il nostro impegno, dei luoghi di riscatto e di crescita per la comunità, grazie ai quali ritrovare il senso profondo dell’appartenere a un territorio e alla sua storia. Appartamenti, ville, terreni e molto altro che si illuminano grazie alla resistenza che i cittadini e le cittadine sanno costruire contro il potere mafioso e corruttivo.