Parole di memoria

Il Bambino che ha salvato migliaia di vite

Il Bambino che ha salvato migliaia di vite

di Reginald Green

La notte in cui mio figlio Nicholas, di sette anni, fu colpito, stavamo guidando lungo l’autostrada in Calabria, diretti in Sicilia, una famiglia di quattro persone della California in vacanza, eccitati all’idea di attraversare lo Stretto di Messina dove così tanti vecchi racconti di eroi che lo avevano elettrizzato avevano avuto luogo.
Presto Nicholas si addormentò, rannicchiato sul sedile posteriore, accanto alla sorellina, Eleanor, di quattro anni, ed io, guidando accanto a mia moglie Maggie, mi ritrovai probabilmente a pensare, come mi accadeva spesso: “Come si può essere così felici?”
Un’ora più tardi, o qualcosa del genere, ebbi il primo fremito d’ansia. Una macchina, con le luci esterne accese ma buia all’interno, si avvicinò dietro di noi e così rimase per alcuni momenti. “C’è qualcosa che non va” dissi, per metà a me stesso. Maggie che era leggermente addormentata, si destò velocemente.  
Proprio allora l’altra macchina venne avanti e cominciò a sorpassare. Mi rilassai, niente di strano dopo tutto. Ma invece di sorpassare la macchina ci affiancò per alcuni secondi e nella notte udimmo urla forti, arrabbiate e selvagge – le parole erano indistinguibili ma volevano chiaramente che ci fermassimo. 
Credetti che se ci fossimo fermati saremmo stati completamente alla loro mercé. Così, invece, accelerai. Anche loro fecero lo stesso. Spinsi la macchina e loro spinsero la loro e le due macchine si ritrovarono affiancate ad altissima velocità attraverso la notte. 
Pochi secondi dopo, ogni illusione che potesse trattarsi di una bravata spericolata svanì, con un proiettile che mandò in frantumi il finestrino del lato dove i due bambini stavano dormendo. Maggie si girò per assicurarsi che stessero bene. Entrambi parevano dormire serenamente. Sembrò una benedizione in quel momento. Un secondo o due dopo, anche il finestrino del guidatore esplose e in che modo il proiettile mancò me e Maggie nel sedile anteriore non lo sapremo mai. 
Ma ormai cominciammo a distanziare gli assalitori e guardando nello specchietto laterale li vidi sempre più lontani fino a scomparire inghiottiti dalla notte. Venne fuori che avevano scambiato la nostra auto, con la sua targa di Roma, per un’altra che doveva consegnare gioielli ai negozi.  Continuammo ad andare avanti cercando un luogo con luci e persone. 
Come capita, c’era stato un incidente sulla strada e sia l’ambulanza sia la polizia erano già sul posto. Fermai la macchina ed uscii. La luce interna si accese, ma Nicholas non si mosse. Guardai più da vicino e vidi la sua lingua leggermente fuori e una traccia di vomito sul mento. Per la prima volta ci rendemmo conto che era accaduto qualcosa di terribile. 
Fu messo velocemente nell’ambulanza e, dopo aver risposto alle domande della polizia, lo seguimmo, con quel sentimento di vuoto opprimente che per mesi non ci lasciò mai. Raggiungemmo un piccolo ospedale, nel parcheggio del quale si trovava un’ambulanza e raccolta intorno, in silenzio totale, quella che sembrava essere l’intera équipe ospedaliera. 
Sperai contro ogni speranza, che fossero lì per una ragione diversa ma, quando guardai dentro, vidi il volto pallido di Nicholas, sereno e appena lavato, come se fosse stato appena messo a letto. Il capo chirurgo ci spiegò che era ferito troppo gravemente perché potessero operarlo e che sarebbe stato portato in un ospedale più grande a Messina, in Sicilia, per vedere quello che potevano fare. Non ho mai provato un tale vuoto come allora. 
Due ore più tardi, al nuovo ospedale, i segni furono sconfortanti dall’inizio. Fummo mandati nel reparto rianimazione e fatti accomodare in una stanza dove, di nuovo, sembrava che tutto il personale medico si fosse riunito e dove erano di nuovo tutti in completo silenzio. Dopo un momento il capo neurologo disse con voce bassa: “La situazione è drammatica” e tutti i barlumi di speranza che erano cresciuti in quelle due ore furono spazzati via. Il proiettile si era conficcato alla base del cervello, ci dissero, il luogo preposto a tutte le funzioni cerebrali, e Nicholas era troppo debole perché potessero operarlo. L’unica speranza era che riacquistasse abbastanza forze perché potessero tentare qualcosa in seguito. 
Invece, la sua vita scivolò lentamente via. Nella morte, come nella vita, non era stato di disturbo ad alcuno. Dopo due giorni, tutte le attività cerebrali cessarono e con loro anche tutti i sogni brillanti di un giovane idealista. Non credo che Nicholas abbia mai fatto del male a qualcuno nella sua vita. La sua maestra ci raccontò che aveva sempre saputo che era lui ad essere il suo insegnante. 
Per un pò, Maggie ed io sedemmo in silenzio, tenendoci per mano e provando ad assorbire la ragione di tutto ciò. Mi ricordo che pensai: “Come potrò passare il resto della mia vita senza di lui?” Non far più scorrere le mie dita fra i suoi capelli, non sentirgli più dire “Buonanotte papà.”
Fu allora che Maggie disse “Ora che se n’è andato, non dovremmo donare i suoi organi?” L’altro disse “sì” e fu tutto deciso. Era così ovvio: non aveva più bisogno di quel corpo. 
Molte persone invece avevano un disperato bisogno di quello che quel corpicino poteva dare: le vite ci cinque persone furono salvate, incluse quelle di quattro adolescenti, e altri due che stavano diventando ciechi si videro restituita la vista.  
Quella decisione, così ovvia per noi, elettrizzò l’Italia, portando alla superfice quell’amore per i bambini per cui gli Italiani sono conosciuti in tutto il mondo. Nei dieci anni successivi i tassi delle donazioni degli organi triplicarono, un tasso di crescita a cui nessun’altra nazione è andata vicina e così migliaia di persone che sarebbero morte sono invece vive – e decine di milioni di persone in ogni parte del mondo si resero conto, per la prima volta, del potere della donazione degli organi di salvare la vita. 
Ma venne anche ricordato loro che ogni giorno e in ogni Paese ci sono delle persone che reprimono il loro schiacciante dolore in modo da poter salvare dalla devastazione delle famiglie che non hanno mai incontrato e delle quali non sanno nulla. Così, oltre a salvare delle vite, la donazione degli organi fa un’altra cosa: permette allo spirito umano di librarsi e fintanto che avremo questo, noi, e non i criminali, saremo i vincitori.