No, ho deciso non pagheremo. Il ricordo di Pasquale Miele
di Angelo Buonomo
Novembre. È arrivato l’autunno, da queste parti si posticipa sempre un po’. Stanno arrivando le prime piogge. Stasera sono stanco, un po’ preoccupato ma tutto sommato soddisfatto. L’ottimismo è un carattere di tutti noi in famiglia, l’abbiamo imparato da nonna che si metteva sempre a tessere maglioni per i nipotini. Sorrido. Che luogo comune. Io con l’abbigliamento ci lavoro tutti i giorni e da queste parti non è per niente facile. Gironzolo per casa, cerco di smaltire la giornata di lavoro. Fuori piove, tanto. In sottofondo un telegiornale, ci sta annunciando che il mondo si sta ribaltando, che sta cambiando tutto, qualcuno dice addirittura che vogliono tirare giù il muro di Berlino. Ho ventotto anni ed è sempre stato lì, mi fa un po’ strano. Visto da qui, dalla piccola Grumo Nevano, questo stravolgimento non ci tange proprio. Torno a pensare alle cose da fare. Al nostro piccolo laboratorio di abbigliamento, al lavoro da fare. Le cose con papà vanno molto bene e sono contento di lavorare con i miei fratelli. Sembra che quello che tessiamo dentro al laboratorio lo tessiamo pure fuori, sta venendo un bel capo di abbigliamento, speriamo di riuscire a crescere e di dare una mano a qualcuno qui a Grumo. Qua è difficile lavorare in tranquillità. Non per la concorrenza, sia chiaro, spesso i laboratori lavorano insieme. Leggevo l’altro giorno che tra tessile e calzaturiero ci sono più o meno trecento imprese. Se ognuno fa la propria parte lo facciamo crescere questo territorio, creiamo opportunità! Lo spero tanto. Pure se ci stanno quelli là. Loro se ne fregano del lavoro, sono violenti, minacciano. Pretendono di comandare. Certo sono soddisfatto di come stanno andando le cose, però sono un po’ preoccupato. L’altro giorno sono venuti e volevano i soldi da noi. Non glieli diamo. Noi ce li sudiamo con il lavoro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di prendere un paio di metri di tessuto e dopo qualche ora vedere una splendida maglia nascere davanti ai tuoi occhi? Che vita avrà quella maglia? Chi la indosserà? Che storia vivrà? Me lo sono sempre chiesto. Vabbè non ci pensiamo. Questi minacciano. Vogliono il pizzo. No, ho deciso non pagheremo.
Lascio stare questi pensieri. È arrivato l’autunno. Fuori piove a dirotto. Mentre pensavo ho chiuso per bene tutte le imposte. Inizia a fare freddo e pensare che fino a due settimane fa si poteva andare a mare. Sbando al grido di “Pasquà è pronto! Vieni a tavola!”. È pronta la cena. Che bella la mia famiglia. Viviamo e lavoriamo insieme, sembra un laboratorio dove si creano le cose, invece qui si dà vita agli affetti. La cena è il momento più bello della mia giornata, ci ritroviamo tutti insieme. Sono ventotto anni che li conosco. Non ci pensiamo mai a ste cose. Mi avvio verso la tavola imbandita. La pioggia scrosciante. Qualche rumore. Sarà l’acqua. Sta piovendo parecchio. Un altro rumore. Mi avvicino alla finestre per capire che sta succedendo e apro leggermente le imposte che poco prima avevo accuratamente chiuso a causa della pioggia. Resto fermo dietro la finestra. I rumori più forti, la pioggia più forte, in lontananza i cani che abbaiano. All’improvviso un botto. “Ma che succer?” non capisco chi è che sta urlando. Sono a terra, sul pavimento freddo. Ho freddo. Gli occhi socchiusi si accorgono che sono stato colpito da un proiettile. Chi è stato? Saranno stati loro. Non li avranno mai i nostri soldi. Provo a chiamare mio fratello. “Peppì prendi ago e filo, dobbiamo rattoppare questo buco nella maglia!”. Non esce la voce. Non c’è più.
Ho capito. Mi hanno sparato. Non abbiamo voluto pagare e ora mi hanno ucciso. Vorrei ago e filo per chiudere sto buco. Non ci sono. Fuori continua a piovere. È arrivato l’autunno. A papà e ai miei fratelli vorrei dire di continuare su quella strada, tanto pochi mesi e torna la primavera.