Parole di memoria

Una perfetta città invisibile

Foto di Claudio Siciliano

di Claudio Siciliano

Nel Sud Italia, in Puglia, c'è una perfetta città calviniana, una perfetta città invisibile.

A Taranto i colori che compongono le storie di chi la abita trovano contemporaneamente vivacità nel respiro del Mar Ionio e annichiliscono all'ombra dell'acciaieria più grande e velenosa d'Europa. La loro energia scorre per le strade, nei calci a un pallone sui campi immaginari dove i ragazzini sfidano la controra, e nell'operosità di una terra che vive in simbiosi con il suo mare.

Ma Taranto è una città contesa e sono il bianco e il nero a mescolarsi ripetutamente. Mentre le albe si riempiono di padri che varcano i cancelli della fabbrica sperando nel perdono dei propri figli, una generazione intera ha trovato solo nella fuga l'occasione di non soffocare nella disoccupazione e nel ricatto della scelta fra salute e lavoro.

Nel Sud Italia, in Puglia, c'è una città a cui hanno rubato il futuro e dove ogni purezza e innocenza è rivestita di una patina opaca che la costringe. Negli anni '80 e '90 la violenza criminale e lo scoppio della guerra di mafia rende, definitivamente, questa patina ancora più densa. È una guerra fratricida e feroce, caratterizzata da centinaia di tentati omicidi a ogni ora del giorno. Sono anni in cui il terrore ridisegna i confini della città, che conterà decine di morti e non risparmierà nessuno, neanche giovani vite innocenti. Nelle vendette trasversali, nelle esecuzioni e nei tentativi di eliminare i componenti dei clan rivali, infatti, perdono la vita Domenico Calviello di 14 anni, mentre i killer erano alla ricerca del fratello, Valentina Guarino di soli 6 mesi, colpita insieme al padre pregiudicato, Raffaella Lupoli uccisa a 11 anni al posto del padre, Domenico Petruzzelli ucciso insieme al padre e la madre a 3 anni per una vendetta.

Troppo spesso è un racconto di comodo che facciamo a noi stessi il considerare le guerre di mafia distanti dalle nostre vite, e lo è ancora di più farlo quando fingiamo di non vedere oltre lo strato che confonde la natura delle cose. Di quelle giovani vite sono state rubate le passioni, i primi amori, le corse prima dei tuffi in acqua con gli amici, le occasioni di riscatto. Mettiamo troppo spesso al riparo il nostro sguardo dall'immagine delle persone che sarebbero potute diventare. Una giocatrice di basket con i colori rossoblu addosso, un'archeologa innamorata della sua storia, un padre sempre attento a non far arrivare tardi il figlio al corso di nuoto, uno studente sempre in testa ai cortei che gridano dignità per tutti e tutte.

Tocca a noi riconoscerne i confini e i colori per non abbandonarci all'idea che Taranto possa essere solo la città dei destini negati. Nella memoria di queste storie deve abitare tutta la nostra voglia di restituire alla città la sua forma e la sua capacità di essere trampolino di speranze. Tocca a noi la responsabilità e il potere del ricordo per l'impegno nel disegnare e rendere i suoi colori, come quelli dei lenzuoli bianchi e innocenti, sui balconi, finalmente liberi, dalla polvere rossa.