I filari della memoria della Masseria Antonio Esposito Ferraioli
di Angelo Buonomo
Ad Afragola, dalla Masseria dedicata alla memoria di Antonio Esposito Ferraioli, sindacalista ucciso dalla camorra perché difendeva i diritti dei suoi colleghi e compagni che lavoravano nella Fatma-Ericson di Pagani, si vede il Vesuvio in tutta la sua bellezza. Entrati nel bene confiscato più grande dell'area metropolitana di Napoli, si sente già la bellezza di quello che sarà e di quello che sta accadendo. La sensazione di sogno e di ispirazione che deriva dai tramonti e dal gioco di luci naturali si intreccia con le idee, i desideri, i bisogni di una comunità alla ricerca di riscatto che nel bene confiscato restituito alla collettività ha trovato il suo luogo privilegiato per ricostruire legami, scambi, solidarietà. Il senso profondo di questo fare comunità risiede negli oltre cento orti urbani affidati ai cittadini, nei quali si coltivano prodotti tipici locali e si innescano processi collaborativi e di condivisione. Un contrappasso positivo, perché nel bene si coltivano prodotti tipici locali, buoni e di qualità, esattamente l'opposto di quel cibo avariato che imponevano alla mensa di Tonino.
Nel progetto di restituzione del bene alla collettività troviamo il museo vivente della biodiversità che pian piano sta prendendo forma, un luogo di profumi antichi e futuri in cui conservare e riscoprire le specie vegetali del territorio e per fare memoria delle vittime innocenti delle mafie. I filari del museo faranno memoria delle vittime innocenti di mafia insieme a quella del territorio e dei prodotti locali. Una memoria articolata intesa come strumento di trasformazione radicale dei territori, una memoria irreversibile e orizzontale che parte dalle radici e si diffonde verso l'alto, seguendo il moto delle piante.
Il primo filare è stato inaugurato durante la settimana del primo campo di E!State Liberi ad Afragola, in occasione della reunion dei campi in corso in Campania. Il primo filare della memoria è stato dedicato a Margherita Clesceri, Giorgio Cusenza, Giovanni Megna, Francesco Vicari, Vito Allotta, Serafino Lascari (15 anni), Filippo Di Salvo, Giuseppe Di Maggio (13 anni), Castrense Intravaia, Giovanni Grifò (12 anni), Vincenza La Fata (8 anni) e ai 27 feriti della Strage di Portella. Alcuni morirono in seguito per le ferite riportate, Vita Dorangricchia morì nove mesi dopo, il 31 gennaio 1948 in conseguenza del tragico eccidio. Provvidenza Greco morì nel 1951, Vincenzo La Rocca, padre di Cristina, una bimba di 9 anni ferita nella strage di Portella della Ginestra. Secondo le fonti, morì giorni dopo la strage, stremato dalla fatica per aver trasportato a piedi la figlioletta ferita fino all’ospedale di San Cipirello e Vincenza Spina morta in seguito per le ferite riportate. Questa è la memoria come strumento di rigenerazione urbana e sociale, che parte da un luogo che vuole restituire dignità al lavoro libero dalle mafie e dalla corruzione.