Ufficialmente a sparare sono stati i Brigatisti del Partito della guerriglia. Un efferato duplice delitto per il quale sono arrivate anche le condanne. Quello che invece non è stato mai dimostrato, nonostante sia molto più che un’ipotesi, è che ad armare la mano dei terroristi sia stato un patto tra terrorismo, camorra e politica. Tra le poche certezze di questa storia tragica c’è che a morire sotto una violentissima raffica di piombo fu un uomo onesto e coraggioso e, con lui, il suo più fidato amico e collaboratore. Quell’uomo si chiamava Raffaele Delcogliano. Il suo fidato amico era Aldo Iermano. Tra di loro c’era un’amicizia antica e sincera, mai interrotta, fino all’ultimo respiro.
Raffaele era nato il 10 novembre del 1944. Campano di Benevento, aveva studiato Legge ed era diventato avvocato. Ma ad accompagnarlo era sempre stata una profonda passione per la politica. Un percorso che aveva intrapreso sin da giovane e che lo aveva portato a diventare ben presto Consigliere comunale del capoluogo sannita, unanimemente riconosciuto come l’astro nascente della politica beneventana.
L’impegno politico
Chi ne ricorda e ne racconta la storia descrive i contorni di una personalità politica moderna, matura, a tratti visionaria. Un modello di correttezza e dedizione che certamente pesò nella scelta di nominarlo, in quota Democrazia Cristiana, nella seconda Giunta dell’allora Presidente della Regione Campania De Feo, quale Assessore al Lavoro e alla Formazione professionale. Un incarico di prestigio, in un territorio dove il lavoro era sempre stato l’emergenza per antonomasia. Lui, Raffaele, lo sapeva bene. Sapeva bene che mettere mano a quell’emergenza non era affatto facile, che si sarebbero potuti toccare interessi pericolosi. Ma andava fatto. Lui sentiva di doverlo ai giovani in particolare. Sentiva di dover dare loro una speranza, una prospettiva di vita, di dignità.
Quando cominciò il suo lavoro da Assessore regionale capì subito che quel mondo andava scosso dalle fondamenta. Occorreva liberarlo da incrostazioni di potere, clientelismo, malaffare. Si mise in testa che, tra le tante cose che non andavano, una andava immediatamente affrontata e risolta. Quella cosa era l’enorme buco nero dei corsi di formazione professionale. Un enorme buco nero che fagocitava risorse sterminate per corsi di formazione che esistevano solo sulla carta e che finivano unicamente per suscitare appetiti malsani, senza incidere minimamente sul mercato del lavoro. Quel mondo andava riformato e lui lo avrebbe fatto, con quello sguardo lungimirante e innovativo che caratterizzava l’orizzonte del suo impegno politico.
La famiglia
Un impegno gravoso e delicato, che tuttavia non gli aveva impedito di costruire la sua famiglia. A Benevento, dove continuava a vivere, aveva messo su casa. Aveva sposato Marina Mercurio, che gli aveva dato una splendida bambina, Maria Teresa. La seconda - alla quale toccò poi il nome del papà, quasi ad eternarne la memoria - Raffaele non fece in tempo a conoscerla. Perché lei, Raffaella, nacque dopo quel tragico 27 aprile del 1982. Maria Teresa all’epoca invece aveva appena 5 mesi.
Il 27 aprile del 1982
Il gruppo di fuoco dei Brigatisti del Partito della guerriglia aveva pianificato l’agguato sin nei minimi dettagli. Sembra anzi che, di agguati, i terroristi ne avessero programmati e tentati una decina sino a quel giorno, tutti falliti. Non l’ultimo, non quello del 27 aprile.
La sera prima Raffaele era ad una cena a Pietrelcina, insieme ad un gruppo di colleghi con i quali si trattenne sino a notte inoltrata, prima di rientrare a Benevento. E tuttavia, la mattina successiva, puntuale come sempre, Aldo Iermano - suo fidatissimo amico, autista e collaboratore - era passato a prendere. Insieme sarebbero andati in Regione, a Santa Lucia.
Da Benevento partì la telefonata che allertò la banda di terroristi in attesa a Napoli che l’Assessore era partito e che nono era solo. Intorno alle 10.00, l’Alfetta sulla quale viaggiavano Aldo e Raffaele raggiunse via Marina, in pieno centro, lungo lo stradone che costeggia l’area portuale della città. L’azione del gruppo di fuoco fu decisa e determinata. Gli bloccarono il passaggio con una Fiat 128. Poi la pioggia di piombo. Per Aldo e Raffaele non ci fu scampo. Morirono entrambi trucidati dai proiettili dei terroristi.
La notizia fu un vero e proprio terremoto. L’uccisione di Delcogliano arrivava peraltro a un anno esatto dal rapimento dell’Assessore Ciro Cirillo, poi liberato grazie alla mediazione della camorra cutoliana. Quel legame tra terroristi, camorristi e ambienti politici era troppo evidente perché un’azione del genere fosse compiuta senza che i suoi responsabili ne dessero conto a nessuno. Ai funerali di Raffaele, a Benevento, parteciparono in tantissimi, comprese autorità civili, rappresentanti delle Istituzioni e i massimi esponenti della Democrazia Cristiana del tempo.
La vicenda giudiziaria
Le indagini immediatamente si indirizzarono negli ambienti del terrorismo di matrice politica. Le Brigate Rosse del Partito della guerriglia furono subito individuate quali responsabili di quell’azione di fuoco, come lo saranno anche delle morti, nel luglio 1982, del vice Questore Antonio Ammaturo e dell’agente Pasquale Paola.
Le sentenze arrivate qualche anno più tardi lo sanciranno in maniera definitiva. Di quel patto scellerato tra terrorismo, camorra e politica però nessuna traccia. Eppure Raffaele aveva messo le mani in quel mondo delicato e difficile del lavoro, per riformarlo, per chiedere che si facesse luce sull’uso distorto del denaro pubblico, per colpire proprio gli interessi della camorra, che anche lì faceva affari d’oro.
Memoria viva
Oggi, a quattro decenni dalla morte di Raffaele e Aldo, la loro memoria vive e lascia fiorire frutti di speranza e di impegno. Accade grazie ai loro cari - impegnati a rinnovarne la testimonianza - a Libera Benevento, alle scuole coinvolte in un Premio artistico-letterario che ne porta il nome e nelle tante iniziative promosse per tenerne acceso il ricordo. La Biblioteca del Consiglio regionale della Campania, nel 2017, è stata intitolata a Raffaele. Così come a lui sono intitolate una stele nella Villa Comunale di Benevento e la Sala convegni della Villa dei Papi. Di questa storia a tratti ancora misteriosa hanno scritto i giornalisti Raffaele Sardo nel libro “La sedia vuota” e Luigi Grimaldi ne “Il patto infame”.
Sulla stele posta in villa, poche e semplici parole, per ricordare Raffaele e Aldo e per affidare “alla storia presente e futura della nostra città la loro memoria, quale luminoso esempio di generoso attaccamento alle Istituzioni”.