Ufficialmente a sparare sono stati i Brigatisti del Partito della guerriglia. Un efferato duplice delitto per il quale sono arrivate anche le condanne. Quello che invece non è stato mai dimostrato, nonostante sia molto più che un’ipotesi, è che ad armare la mano dei terroristi sia stato un patto tra terrorismo, camorra e politica. Tra le poche certezze di questa storia tragica c’è che a morire sotto una violentissima raffica di piombo furono due uomini onesti e coraggiosi: l'assessore Raffaele Delcogliano e il suo autista Aldo Iermano. Tra di loro c’era un’amicizia antica e sincera, mai interrotta, fino all’ultimo respiro.
Aldo e Raffaele si erano conosciuti da ragazzini sui campi di pallone. Giocavano insieme, Raffaele come portiere e Aldo come ala destra. Tra questi due ragazzi di Benevento nel tempo era fiorito un rapporto molto profondo di stima, amicizia, rispetto. La vita aveva portato i due a prendere strade diverse, a seguire percorsi diversi. Ma quel rapporto così profondo non si era mai spezzato.
Aldo faceva il bidello. Lavorava al Centro di formazione professionale “Mario Galanti” di Benevento. Raffaele invece, che si era laureato in Legge ed era diventato avvocato, ben presto aveva preso la strada dell’impegno politico. Consigliere comunale, astro nascente della Democrazia Cristiana nel Sannio, fino alla nomina ad Assessore regionale al Lavoro nella seconda Giunta dell’allora Presidente della Regione Campania De Feo. Un incarico di prestigio, in un territorio dove il lavoro era sempre stato l’emergenza per antonomasia. Lui, Raffaele, lo sapeva bene. Sapeva bene che mettere mano a quell’emergenza non era affatto facile, che si sarebbero potuti toccare interessi pericolosi. Ma andava fatto. Lui sentiva di doverlo ai giovani in particolare. Sentiva di dover dare loro una speranza, una prospettiva di vita, di dignità.
Quando Raffaele cominciò il suo lavoro da Assessore regionale pensò immediatamente ad Aldo. Sentiva il bisogno di circondarsi di persone di cui poteva fidarsi e quell’amico conosciuto inseguendo un pallone gli sembrò la soluzione migliore. Lo chiamò, gli propose di accompagnarlo, di lavorare insieme. Aldo accettò. In fondo - ripeteva ai suoi cari - se avesse capito che qualcosa non andava, sarebbe sempre potuto tornare al suo lavoro di bidello. Ma invece Aldo non lo abbandonò mai Raffaele, neanche un solo istante e neanche quando capì che le cose non si mettevano per niente bene.
Raffaele era deciso a liberare il settore di cui si occupava da incrostazioni di potere, clientelismo, malaffare. Si mise in testa che, tra le tante cose che non andavano, una andava immediatamente affrontata e risolta: l’enorme buco nero dei corsi di formazione professionale. Un “affare” che fagocitava risorse sterminate per corsi che esistevano solo sulla carta e che finivano per suscitare appetiti malsani, senza incidere realmente sul mercato del lavoro. Quel mondo andava riformato e lui lo avrebbe fatto con quello sguardo lungimirante e innovativo che caratterizzava l’orizzonte del suo impegno politico. Aldo gli fu accanto, fedelmente, in questo impegno senza sosta. Condivise con lui giornate estenuanti di lavoro. Non lo lasciò mai solo. Fino a quel 27 aprile del 1982, quando condivise con lui anche l’ultimo respiro.
Il 27 aprile del 1982
Il gruppo di fuoco dei Brigatisti del Partito della guerriglia aveva pianificato l’agguato sin nei minimi dettagli. Sembra anzi che, di agguati, i terroristi ne avessero programmati e tentati una decina sino a quel giorno, tutti falliti. Non l’ultimo, non quello del 27 aprile.
La sera prima Raffaele era ad una cena a Pietrelcina, insieme ad un gruppo di colleghi con i quali si trattenne sino a notte inoltrata, prima di rientrare a Benevento. E tuttavia, la mattina successiva, puntuale come sempre, Aldo Iermano era passato a prenderlo. Insieme sarebbero andati in Regione, a Santa Lucia.
Da Benevento partì la telefonata che allertò la banda di terroristi in attesa a Napoli che l’Assessore era partito e che nono era solo. Intorno alle 10.00, l’Alfetta sulla quale viaggiavano Aldo e Raffaele raggiunse via Marina, in pieno centro, lungo lo stradone che costeggia l’area portuale della città. L’azione del gruppo di fuoco fu decisa e determinata. Gli bloccarono il passaggio con una Fiat 128. Poi la pioggia di piombo. Per Aldo e Raffaele non ci fu scampo. Morirono entrambi trucidati dai proiettili dei terroristi.
La notizia fu un vero e proprio terremoto. L’uccisione di Delcogliano arrivava a un anno esatto dal rapimento dell’Assessore Ciro Cirillo, poi liberato con la mediazione della camorra cutoliana. Quel legame tra terroristi, camorristi e ambienti politici era troppo evidente perché un’azione del genere fosse compiuta senza che i suoi responsabili ne dessero conto a nessuno.
Ai funerali, a Benevento, parteciparono in tantissimi, comprese autorità civili, rappresentanti delle Istituzioni e i massimi esponenti della Democrazia Cristiana del tempo.
La vicenda giudiziaria
Le indagini immediatamente si indirizzarono negli ambienti del terrorismo di matrice politica. Le Brigate Rosse del Partito della guerriglia furono subito individuate quali responsabili di quell’azione di fuoco. Le sentenze arrivate qualche anno più tardi lo sanciranno in maniera definitiva.
Di quel patto scellerato tra terrorismo, camorra e politica però nessuna traccia. Eppure Raffaele aveva messo le mani in quel mondo delicato e difficile del lavoro, per riformarlo, per chiedere che si facesse luce sull’uso distorto del denaro pubblico, per colpire proprio gli interessi della camorra, che anche lì faceva affari d’oro.
Memoria viva
Oggi, a quattro decenni dalla morte di Raffaele e Aldo, la loro memoria vive e lascia fiorire frutti di speranza e di impegno. Accade anzitutto grazie ai loro cari, impegnati a rinnovarne la testimonianza.
Antonio Iermano, figlio di Aldo, ha cominciato il suo percorso con Libera nel 2016. Da allora, migliaia di ragazze e ragazzi hanno ascoltato il suo racconto, ripetuto decine di volte nelle tante scuole coinvolte nelle iniziative promosse per tenerne acceso il ricordo di suo padre e di Raffaele.
Di questa storia a tratti ancora misteriosa hanno scritto i giornalisti Raffaele Sardo nel libro “La sedia vuota” e Luigi Grimaldi ne “Il patto infame”.
Sulla stele posta in villa, poche e semplici parole, per ricordare Raffaele e Aldo e per affidare “alla storia presente e futura della nostra città la loro memoria, quale luminoso esempio di generoso attaccamento alle Istituzioni”.
Dopo 34 anni di silenzi, nel 2016, ho iniziato il mio percorso, grazie a una telefonata con la quale Libera mi annunciava la volontà di tornare a fare memoria di mio padre e di Raffaele Delcogliano. Da allora è iniziato il mio impegno. Il primo pensiero è stato quello di andare in pensione per seguire questi ragazzi meravigliosi. È una storia difficile, che per me non si è mai chiusa e della quale porto ancora la ferita. Ma trovo la forza di andare avanti in questi ragazzi, nel dirgli che solo impegnandosi si può continuare a fare memoria.