27 aprile 1996
Lucca Sicula (AG)

Calogero Tramuta

Agente della Guardia di Finanza in pensione, torna in Sicilia per inseguire il suo sogno: commecializzare i frutti della sua terra. Verrà ucciso perché era una figura scomoda, capace di offrire una valida alternativa all'egemonia mafiosa del territorio.

Nato a Villafranca Sicula (AG) il 21 agosto 1951, Calogero Tramuta è il secondogenito di tre fratelli. Prima di lui c’è Nino, e poi Piera, la più piccola. Un’infanzia tranquilla, vissuta nel piccolo comune agrigentino, circondato dagli affetti dei familiari, degli amici e dei villafranchesi.

Nel 1967, a soli sedici anni, decide di trasferirsi a Campi Bisenzio, in Toscana, ospitato da un cugino, per cominciare il lavoro di apprendista meccanico e guadagnarsi da vivere autonomamente. Esperienza che si arresta qualche anno dopo, nel 1972, per via di una chiamata ad arruolarsi nella Guardia di Finanza. Divisa che indosserà per più di vent’anni, prestando servizio tra Roma e Firenze.

Ma la svolta più importante della sua vita arriva nel 1993, dopo il congedo dal servizio, quando decide di ritornare nella sua terra natia e di inseguire il suo sogno di sempre: “commercializzare i frutti delle terre siciliane”. Il territorio villafranchese, infatti, è compreso nella zona di produzione dell'Arancia di Ribera D.O.P.

Aveva iniziato comprando le arance direttamente dagli alberi dei contadini per poi rivenderle nei mercati ortofrutticoli. Un po’ alla volta, oltre a rifornire i mercati di Ribera e Agrigento, Calogero inizia a muovere i primi contatti anche in Toscana, regione che conosceva bene. Negli anni a cavallo tra il ‘94 e il ‘95, avvia degli accordi per accedere all’importante Mercato Ortofrutticolo di Novoli, a Firenze. Un'opportunità di lavoro importante per lui e i tanti contadini siciliani.

Ma i diretti concorrenti dell’ex finanziere non erano tipi qualunque. Erano i boss del “triangolo della morte”, tra Villafranca, Lucca e Burgio. Ed erano proprio loro che avevano il monopolio del commercio delle arance sul territorio. E lu maresciallo, così veniva chiamato Calogero, non solo aveva conquistato una fetta importante del mercato locale, ma era anche riuscito a pagare onestamente i contadini, senza imporgli i prezzi condizionati delle mafie. Insomma, era una figura scomoda, che offriva una valida alternativa all’egemonia mafiosa del territorio.

Tra il 1994 e il 1995 diversi “ignoti”, armati di tavole chiodate, danneggiarono tutte le arance. Poco tempo dopo si ripresentarono: distrutte tutte le pompe di irrigazione e sabotati i freni dell’auto. La situazione precipita nell’aprile del 1996, quando l’autocarro pieno d’arance di proprietà del Tramuta e destinato alla Toscana, viene sostituito misteriosamente con un altro carico d’arance di pessima qualità. Calogero aveva capito tutto: la mafia aveva deciso di fermarlo con ogni mezzo. Avevano deciso di togliergli quella libertà conquistata, per la quale aveva così tanto faticato. Calogero questo non poteva proprio accettarlo.

Il 27 aprile 1996

Il 26 aprile del 1996, carico di rabbia per le ritorsioni subite, sfida direttamente il boss Emanuele Radosta, intimandogli pubblicamente di risarcirgli i danni, altrimenti l’avrebbe denunciato. Un affronto che la mafia non poteva accettare. Lo stesso giorno Radosta ordina di eliminare Calogero. Aveva osato troppo, aveva sfidato la mafia. E il prezzo che dovrà pagare sarà altissimo e non tarderà ad arrivare. La condanna a morte viene emessa la stessa notte tra il 26 e 27 Aprile, all’uscita della pizzeria “Charleston”, in una sottilissima linea di confine tra Villafranca e Lucca Sicula. Un uomo armato di una mitraglietta, probabilmente con l’aiuto di diversi complici, scarica una raffica di colpi all’interno della sua auto, uccidendolo sul colpo.

Non avevano tenuto conto della forza dei familiari e delle persone del luogo che non avrebbero mai abbandonato Calogero anche dopo la morte. Nel giorno dei suoi funerali si racconta che a rendergli omaggio erano presenti tutti e tre i paesini dell’agrigentino al completo.

Vicenda giudiziaria

Pochi mesi dopo l’omicidio arrivano i primi arresti e, dopo una battaglia coraggiosa dei familiari, nel 1997 arrivano anche le condanne: 28 anni di carcere per Emanuele Radosta, mandante dell’omicidio, e Choub Said, esecutore materiale. Una perizia balistica chiarisce che con la mitraglietta usata per l’omicidio di Calogero Tramuta, è stato ucciso nel 1992 anche Giuseppe Borsellino, imprenditore che stava indagando sull’uccisione del figlio Paolo, ammazzato solo otto mesi prima.

Memoria viva

Il coordinamento provinciale di Libera Prato è dedicato a Calogero e a sua sorella Piera, instancabile testimone di memoria.

Mio fratello un eroe? Non lo so, posso dire che è stato ucciso soltanto perché faceva un lavoro onesto e così facendo ha rotto un sistema mafioso.
Piera Tramuta, sorella di Calogero