24 maggio 1991
Lamezia Terme (CZ)

Francesco Tramonte

Francesco ha un grande sogno: vuole una vita migliore per le sue tre figlie, di cui è orgogliosissimo papà. Lavora come netturbino, ma non si lamenta mai della fatica e della durezza del suo lavoro. Sa che ogni sua giornata è per loro, e per sua moglie che gli è sempre al fianco. Ogni giorno fanno colazione insieme, anche se sono solo le 3 del mattino, piccoli gesti quotidiani d'amore.

Sambiase è una delle circoscrizioni del comune di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. Fino al 1968 era un comune autonomo. In quell’anno, un provvedimento amministrativo lo unificò a Nicastro e Sant’Eufemia Lamezia, sino ad allora anch’essi dotati di autonomia, dando vita così alla città di Lamezia. Ancora oggi è il secondo quartiere più popoloso del territorio comunale. La parte alta e storica di Sambiase, contrada Miraglia è il punto di passaggio obbligato per raggiungere la zona collinare della città. E qui, all’alba del 24 maggio 1991, si è consumata la tragedia che ha strappato alla vita due uomini perbene, due onesti lavoratori, due persone totalmente innocenti: Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano.

La loro storia tragica ha a che fare con il loro lavoro, che era quello di addetti alla pulizia delle strade. Erano due netturbini, Francesco e Pasquale, dipendenti del comune di Lamezia. Del tutto inconsapevolmente e senza avere alcuna colpa, sono finiti nel mirino della strategia terroristica della ‘ndrangheta. Mafia e rifiuti - si sa - sono stati da sempre un binomio inscindibile. Le ragioni sono semplici e stanno tutte nell’enorme giro di affari che ruota attorno al servizio di raccolta, trattamento e smaltimento della spazzatura. Affari che non hanno mai smesso di fare gola alle organizzazioni criminali, che ovunque hanno provato a monopolizzare questo settore, a infiltrarlo e  a gestirlo più o meno direttamente. Troppo spesso ci sono riuscite. Altre volte, quando c’è stato bisogno di far capire come stavano le cose e come dovevano andare, non hanno esitato a usare la violenza per lanciare i propri messaggi. Con la spazzatura non si scherza, perché vale oro. Di più finanche della vita umana. A Lamezia Terme, nel 1991, addirittura più di due vite, quelle appunto di Francesco e Pasquale.

Francesco era nato nel 1951. Era una persona semplice, con un lavoro umile ma onesto, che svolgeva con cura e serietà. Nel 1975 il Comune di Lametia Terme lo aveva assunto come netturbino. Viveva in una casa al rione Bella insieme a sua moglie Angelina Vallone, che nel 1991 aveva appena 33 anni. Dal loro amore erano nate tre splendide figlie: Maria, Stefania e Antonella. Il sorriso era un tratto distintivo di una personalità aperta, generosa, socievole, scherzosa. Amava la vita Francesco ed era una vita piena la sua. Disponibile con i colleghi, amorevole con la famiglia. Ogni giorno trascorreva del tempo con il padre, passava a salutarlo e lo portava in giro per la città in auto perché purtroppo aveva perso una gamba a causa delle complicazioni del diabete. Era il suo modo di dimostrare gratitudine e amore nei confronti dell'uomo che con tanti sacrifici lo aveva cresciuto e per continuare a farlo sentire parte di una comunità. Amava le sue figlie smisuratamente e con loro provava a trascorrere tutto il tempo libero che aveva a disposizione. Le sue giornate iniziano sempre con la colazione insieme alla moglie, non importava che fosse ancora buio, Angela si svegliava sempre insieme a lui. E le volte in cui le figlie andavano in gita con la scuola, non potendole salutare al risveglio la mattina, faceva in modo che il camion sul quale lavorava incrociasse sempre il pullman della scuola. Era il suo modo per poterle salutare e augurare loro un buon viaggio. E poi c’era la musica, soprattutto quella del cantautorato italiano, che era una vera e propria passione. Aveva anche trasformato la sua passione per la falegnameria in un secondo lavoro, per arrotondare un pò e fare qualche piccolo regalo alle figlie.

Nel 1991 aveva appena 40 anni. Davanti a sé una vita ancora lunga, da riempire di cose semplici, gioie quotidiane, sogni e speranze. Con Pasquale Cristiano, che da pochi mesi era stato assunto dal comune, Francesco aveva costruito un rapporto più stretto, di amicizia prima che di colleganza. Era più giovane di lui Pasquale, che di anni ne aveva 28, ma era un ragazzo perbene e tra loro c’era una fiducia sincera, che si accresceva di giorno in giorno durante i turni di lavoro per ripulire le strade della città. Perché di questo si occupavano loro e tra le loro mansioni non c’era quella di montare su un autocompattatore per andare a raccogliere i rifiuti in giro.

Il 24 maggio del 1991

Quella mattina del 24 maggio, dunque, Francesco e Pasquale su quel camion non ci sarebbero dovuti essere. L’assenza di due dipendenti della SEPI, la ditta cui il Comune aveva affidato il servizio della nettezza urbana in città, li aveva costretti però al turno di notte. Con loro, anche un altro operaio, Eugenio Bonaddio, che era dipendente della SEPI e già destinato a quella mansione.

La sveglia era suonata a notte inoltrata, intorno alle 3.00. Un’oretta più tardi, i tre si ritrovarono in piazza San Giovanni, nei pressi dell’ex hotel Centrale di Lamezia, divenuto il centro comunale della nettezza urbana. Salirono a bordo del mezzo per la raccolta dei rifiuti - Bonaddio guidava, Pasquale era seduto al centro e Francesco alla sua destra, dal lato dello sportello - e cominciarono il loro giro. Intorno alle 5.00 giunsero in contrada Miraglia, in una zona piuttosto isolata di Sambiase. Accadde tutto nel giro di pochi minuti. Prossimi a fermarsi accanto ad alcuni cassonetti, i tre videro piazzarsi davanti al mezzo un uomo con in mano un mitra. Le perizie balistiche stabiliranno in seguito che si trattava di un’arma da guerra di fabbricazione statunitense, un Kalashnikov calibro 7,62. L’uomo ordinò ai tre di scendere dal camion, ma non gli diede il tempo di farlo. Appena Francesco aprì lo sportello, il killer cominciò a sparare all’impazzata. Alla fine, si contarono 22 colpi, molti dei quali crivellarono Francesco. Uno solo ma mortale, attraversato il corpo di Francesco, colpì alla testa Pasquale. Morirono entrambi sul colpo. Bonaddio invece si catapultò dal mezzo e riuscì a scappare, salvandosi la vita. Una mattanza, un’esecuzione in puro stile terroristico.

Per Angelina, la morte di Francesco fu un colpo durissimo. Ma questa giovane moglie non si scoraggiò, riuscendo a crescere da sola e con enormi sacrifici Maria, Stefania e Antonella, che all’epoca avevano rispettivamente 13, 11 e appena 3 anni. Dapprima Angelina e poi, cresciute, le tre figlie di Francesco non hanno mai smesso di chiedere verità e giustizia. Due anni dopo l’agguato, le famiglie di Pasquale e Francesco si incontrarono nella memoria dei loro cari assassinati, unendo le forze in una battaglia comune per far venire a galla la verità, anche con gesti eclatanti, come quando, nel 2013, inscenarono un sit-in dinanzi al Palazzo di Giustizia. Poi, il legame tra queste due famiglie è diventato ancora più profondo quando, nel 2006, Maria Tramonte, la prima figlia di Francesco, e Antonio Cristiano, uno dei fratelli di Pasquale, si sono sposati.

Vicenda giudiziaria

Il movente apparve agli inquirenti immediatamente chiaro. Le due vittime di cotanta brutalità erano incensurate e totalmente estranee a qualsiasi contesto criminale. Non erano state individuate deliberatamente da chi aveva ideato quell’agguato, ma erano state scelte a caso. Insomma, bisognava dare un segnale chiaro per far capire a chi doveva capire che la spazzatura era un affare nel quale la ‘ndrangheta voleva entrare e dettare le sue regole. Chi fosse morto, era  del tutto indifferente. Toccò a Francesco e Pasquale essere il monito per quanti, negli ambienti politici e non solo, dovevano convincersi di avere a che fare con le cosche quando si parlava di nettezza urbana. Il servizio era stato esternalizzato nel 1988 e, da allora, era stato monopolizzato dalla SEPI e dal Consorzio CISE. Eppure, il Comune aveva tutte le carte in regola per gestire in proprio quel servizio, compresi 14 autocompattatori e 39 operai specializzati. Era chiaro che qualcosa non andava. Lo evidenzierà anche la sentenza della Corte d’Assise, la sola che scrive qualcosa su questa storia: "all’efferato fatto di sangue - vi si legge - venne immediatamente ed esattamente conferita una matrice mafiosa che lo collocava nella cruenta lotta apertasi tra gruppi mafiosi per assicurarsi l’appalto del servizio di nettezza urbana della città di Lamezia Terme, appalto che sino ad allora era stato conferito con procedura di dubbia legalità e con dispendio sproporzionato di pubblico denaro ad imprese non immuni da sospetti di contiguità al mondo mafioso”.
Alla sentenza si era arrivati nell’unico processo sul duplice omicidio, avviato grazie alle dichiarazioni di Bonaddio, che aveva descritto il killer, individuato in Agostino Isabella, un uomo vicino agli ambienti della ‘ndrangheta e a persone già indagate per altri omicidio commessi utilizzando armi simili al mitra che aveva assassinato i due netturbini. La Corte assolse Isabella per non aver commesso il fatto. Il processo di appello non si è mai svolto: la richiesta fu depositata dal PM con alcuni giorni di ritardo e ritenuta inammissibile. La sentenza di assoluzione di Isabella, morto poco dopo per una malattia al fegato, è diventata definitiva il 18 luglio del 1996. Da allora, più niente, se non alcune dichiarazioni rilasciate dal pentito Giovanni Governa nel 2010 ma ritenute del tutto inattendibili. A oggi, i nomi di chi ha deciso la morte di questi due onesti lavoratori e di chi ha premuto il grilletto restano sconosciuti. I familiari di Pasquale ricordano spesso come l’unico ad aver indagato seriamente su quei fatti sia stato l’ispettore Salvatore Aversa, ucciso a sua volta, insieme alla moglie Lucia Precenzano, il 4 gennaio del 1992. Aversa aveva indagato anche sugli intrecci tra mafia e politica nel comune di Lamezia. Il 13 maggio del 1991, undici giorni prima di quel delitto terribile, i cittadini lametini avevano eletto la nuova Amministrazione comunale. Il 30 settembre dello stesso anno il Presidente della Repubblica firmò il decreto di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, anche basandosi sulle evidenze emerse dalla indagini di Aversa.

Memoria viva

A Pasquale e Francesco è dedicato il Coordinamento provinciale di Libera a Catanzaro. Ogni anno, all’alba, il sacrificio di queste due giovani vittime innocenti viene ricordato sul luogo del delitto, dove sono stati piantati anche due alberi di limoni a loro intitolati.
La trasmissione LaC Dossier nel maggio del 2018 ha dedicato una puntata alla storia di Pasquale e Francesco, “La strage dei netturbini”.
Il loro nome è associato inoltre a un premio che, annualmente, viene conferito a studenti universitari e delle scuole superiori. Nel febbraio del 2021, infine, è stato ideato il Premio d’Arte TeC, una testimonianza artistica per ricordare e chiedere verità e giustizia per Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte.

Mio padre era un fanciullo. Mi bastava sorridere e diventava gioia allo stato puro. Anche sul lavoro, con i colleghi, gli piaceva sempre giocare. Io non l’ho mai visto arrabbiato. Era aperto, generoso. Si preoccupava di chi era in difficoltà. A un suo nipotino a cui era morto il padre, ogni mese inviava qualcosa. Se qualcuno dei nostri parenti aveva un problema, lui si metteva subito a disposizione. Per quel che poteva aiutava tutti. La nostra era una vita semplice ma piena di tante cose. Conservo un bellissimo ricordo di quel periodo in cui mio padre era ancora con noi.
Stefania - figlia di Francesco