Salvatore Morreale è un uomo onesto, che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro e alla famiglia. Rimane vedovo molto presto e si fa carico dei suoi figli, cercando di non far mancare loro nulla né dal punto di vista affettivo né economico. Non è facile crescere dei figli da solo, ma Salvatore non si lamenta mai, appena finito l’orario di lavoro corre a casa per trascorre il tempo con loro, non facendoli mancare mai il suo sostegno e la sua presenza.
Dopo la pensione - quando i suoi figli sono ormai grandi - conosce una donna che gli fa brillare nuovamente gli occhi. Si chiama Bianca Frassi, non è siciliana, viene dal Nord, dal Piemonte. I due si innamorano e si sposano presto, felici di poter vivere insieme gli anni della loro pensione.
Il 21 settembre del 1986
La sera del 21 settembre sembra una sera di fine estate come un’altra. È domenica e tanta gente sta passeggiando per le vie del centro di Porto Empedocle, tra cui anche Salvatore con sua moglie. Dopo il caldo della giornata hanno deciso di godersi il fresco della sera e di gustarsi una coppa di gelato nel bar del corso prima che il genero di Salvatore li passi a prendere per accompagnarli a casa. Così entrano nel bar “Albanese”.
All’improvviso in quella sera tranquilla un blackout elettrico (provocato ad arte si scoprirà) fa scendere l’oscurità. Immediatamente due cabriolet decappottate si fermano proprio di fronte al bar di corso Roma distruggendo quella serenità e normalità. Da quell’auto, infatti, scendono dei killer che iniziano a sparare all’impazzata. A scandire i secondi, i colpi d’arma da fuoco.
In totale più di 100 i colpi che in quegli attimi saranno sparati.
La gente atterrita cerca scampo, corre all’impazzata; alcuni cercano riparo nei portoni dei palazzi che contornano la via, i tavolini dei bar sui quali, fino a pochi istanti prima, erano appoggiate bevande e gelati, ora sono rifugio per chi cerca di ripararsi sotto di loro alla raffica di proiettili. Altri ancora cercano di nascondersi dietro gli alberi secolari presenti sulla via. Attimi infiniti di terrore e paura.
Quando poi, di colpo, torna la corrente elettrica, ci si trova di fronte a una scena agghiacciante.
Salvatore sarà colpito a morte da quella scarica di colpi, davanti agli occhi atterriti di Bianca che, in un primo momento, non si era accorta di niente. Lei, infatti, era di spalle alla strada e non aveva visto arrivare la Cabriolet con i killer. “Mi sembravano mortaretti fatti scoppiare dai ragazzini” racconterà ancora sotto shock ai soccorritori. Solo quando vede il suo adorato marito cadere sotto il tavolo in una pozza si sangue si rese conto di ciò che stava davvero accadendo in quella che sembrava essere una comune serata di settembre. Resterà ferita anche lei anche se fortunatamente in modo lieve. Per Salvatore invece non ci sarà nulla da fare, morirà sotto i suoi occhi, all’età di 67 anni.
Oltre ad Salvatore un altro innocente resterà vittima di quella strage: si tratta di Filippo Gebbia, di appena 30 anni, che sta passeggiando con la sua promessa sposa. È vicino al bar nell’attimo in cui sopraggiungono i killer, restando anche lui vittima innocente di questa strage.
Inoltre, Gigi Grassonelli - il vero bersaglio - che aveva provato a sfuggire alla morte, fu raggiunto e ucciso in un vicolo laterale al corso, quello che porta verso il cinema del paese. Oltre a lui, saranno uccisi altri esponenti della Stidda, un’organizzazione mafiosa parallela e talvolta in competizione con Cosa nostra nell'agrigentino.
Salvatore e Filippo non c’entravano niente con la famiglia Grassonelli e con quel regolamento di conti tra famiglie mafiose in cui entrambi perdono la vita.
Era settembre, faceva caldo, poi aveva piovuto e l'aria si era rinfrescata. La sera pareva una festa, la gente era tutta fuori, c'era un popolo in strada. [..] Mi volto, entro nel bar, prendo il bicchiere, e, come in un film, vedo saltare tutte le bottiglie davanti a me. Non mi rendo conto di che cazzo sta succedendo. Capisco che stanno sparando, bevo il whisky in un unico sorso, e mi affaccio mentre stanno ancora sparando. [..] Vedo una trentina di persone che mi sembrano morte, perché erano svenute, stese a terra, ferite.
Il contesto storico
Porto Empedocle era teatro di guerra tra due famiglie mafiose: la famiglia Messina e la famiglia Grassonelli.
Fino alla metà degli anni Ottanta, infatti, la città subiva l’influenza di Cosa nostra, la quale deteneva la supremazia e non tollerava che altre famiglie, come quella dei Grassonelli, potessero farsi spazio nel territorio.
La strage del 21 settembre 1986 era quindi proprio un’azione di guerra, decisa da Cosa nostra per rispondere agli affronti e alle umiliazioni subite dagli stiddari. Nei due mesi precedenti alla strage di via Roma, infatti, il clan dei Messina, alleati di Cosa nostra, era stato colpito con 15 agguati da parte degli stiddari. Il primo obiettivo di questa guerra era stato individuato in Gigi Grassonelli, poi suo padre Giuseppe e i fratelli Bruno e Salvatore. Il commando trovò solo i primi due della lista, ma si rifece assassinando anche Salvatore Tuttolomondo e Giovanni Mallia, i loro guardaspalle.
La strage del 21 settembre del 1986, che ha strappato alla vita sei persone, di cui due innocenti, passerà alla storia come la prima strage di Porto Empedocle, l’inizio della guerra tra Cosa nostra e la Stidda.
Vicenda giudiziaria
A occuparsi delle indagini fu il maresciallo Giuliano Guazzelli, esperto del fenomeno mafioso in Sicilia e in particolare della Stidda, di cui aveva indagato le principali famiglie. Lo stesso Guazzelli fu poi ucciso il 4 aprile del 1992. Grazie alla spinta che diede alle indagini venne incardinato il primo maxi – processo della mafia agrigentina, il processo “Santa Barbara”.
All’alba del 22 gennaio del 1987 scattò un blitz nelle città di Agrigento e di Bonn, in Germania, che portò a decine di arresti tra gli appartenenti sia del clan dei Messina sia tra quelli del clan Grassonelli, le due famiglie in guerra a Porto Empedocle. Il processo fu istruito dal magistrato Fabio Salamone e condotto dai pubblici ministeri Rosario Livatino, Salvatore Cardinale e Roberto Sajeva, quest’ultimo fu il magistrato che firmò gli ordini di cattura. Nel 1989 il processo si celebrò nell’aula bunker (oggi in disuso) di Villaseta, una vecchia palestra. Processo che era stato interrotto nei primi mesi del 1987, dopo che il Presidente del Tribunale di Agrigento, Gianfranco Riggio, aveva accolto le richieste di nullità avanzate dal pubblico ministero Cardinale, per delle lacune nei verbali di udienza. Dopo 38 sedute, il processo dovette ricominciare.
In primo grado furono condannati come esecutori della strage del 21 settembre del 1986 Pasquale Salemi (detto "Maraschino"), Luigi Putrone e altri esponenti di Cosa nostra empedoclina, tra cui il capo mafia di Porto Empedocle, Salvatore Albanese ("U cippu"), ucciso nel '91. Mentre Sergio Vecchia, ritenuto tra i mandanti, fu scarcerato pochi mesi dopo il processo per decorrenza dei termini e insufficienza di prove. Anche Pasquale Salemi fu poi assolto in appello e iniziò a collaborare con la giustizia nel 1997, quando si rese conto di essere a rischio. Fu il primo collaboratore di giustizia di Cosa nostra empedoclina, una mafia cresciuta e arricchitasi con il traffico di stupefacenti con il Venezuela, il Canada e gli Stati Uniti.
Memoria viva
Il nome di Salvatore è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Salvatore ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa a Salvatore che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendola vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.
Non conosciamo molto della vita di Salvatore prima del suo omicidio. Vorremmo ricostruirla per permettere a tutti di conoscere che persona fosse, quali erano le sue passioni, i suoi progetti e i suoi sogni. Questo renderebbe il racconto su di lui più completo e la costruzione di una memoria collettiva sulla sua vicenda di vita sarebbe ancora più vitale.
Chiediamo, quindi, l'aiuto di chiunque possa darci il proprio contributo, condividendo con noi informazioni su Salvatore Morreale.