Quella di Nicola Soverino è una storia tragica e assurda. Si fa fatica a raccontarla perché si fa fatica a comprenderla. La sera in cui gli hanno sparato Nicola era stato a casa di un vecchio amico, un ingegnere con la fama di uomo integerrimo e intransigente, onesto e rigoroso. Si chiamava Demetrio Quattrone. Aveva 12 anni in più di lui e abitava in un vecchio mulino rimesso a nuovo, a Villa San Giuseppe, una frazione a una ventina di chilometri da Reggio Calabria. Con lui Nicola aveva trascorso la sera del 28 settembre 1991. E mai avrebbe potuto immaginare che sarebbe stata la sua ultima sera. Mai avrebbe potuto immaginare che la sua storia - tragica e assurda - sarebbe stata per sempre legata a quella del suo amico ingegnere.
Talmente legata che ancora oggi si fa fatica a trovare notizie e dettagli che consentano di raccontarla individualmente questa storia. Per Demetrio, di meno. Ma per lui, per Nicola, è davvero difficile.
Sappiamo poco di questo ragazzo appena trentenne.
Sappiamo con certezza che era un medico. Si era laureato a Roma, dove si era anche specializzato in omeopatia. Poi, terminati gli studi, aveva deciso di rientrare in Calabria. La stessa identica scelta che aveva compiuto Demetrio, quando, dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Torino, aveva scelto di tornare a Reggio. Faceva il medico dunque Nicola e la sua vita professionale, all’epoca, ruotava attorno all’ambulatorio della Guardia medica di Gallico, un altro quartiere nella parte nord della città, affacciato sullo Stretto di Messina.
Sappiamo che i due erano molto amici. E sappiamo che quelli erano anni particolarmente difficili. La seconda guerra di ‘ndrangheta, scoppiata alla metà degli anni Ottanta, insanguinava le strade di Reggio. Quando si concluse, nell’estate del 1991, con l’uccisione del magistrato Antonio Scopelliti, si contarono circa 700 morti ammazzati. Un’ecatombe.
Demetrio era estraneo a questi ambienti naturalmente. Ma a questi ambienti il suo rigore e la sua inflessibilità dovettero di certo creare non pochi problemi. Il sacco edilizio di Reggio era un chiodo fisso per questo giovane professionista, probabilmente il primo ad avere e dare una lettura organica e strutturale di un fenomeno che stava devastando la città in quegli anni.
Tornato da Roma, Nicola si era stabilito a casa dei suoi genitori, al rione Sbarre, una striscia di edifici e palazzi sorti per lo più dopo il boom edilizio degli anni Settanta e Ottanta. E questo è un altro elemento che, in qualche modo, lega queste due storie. Perché, come si diceva, per Demetrio, che si occupava di controllare i cantieri edilizi per conto dell’Ispettorato provinciale del lavoro di Reggio Calabria, questa storia dei palazzinari, del sacco edilizio che si stava mangiando la città, era quasi un’ossessione.
I due erano accomunati anche da una passione per i motori e per le macchine, in particolare. E poi si somigliavano, molto. Entrambi portavano una folta barba scura che gli incorniciava il viso.
Il 28 settembre del 1991
La sera del 28 settembre 1991 Nicola e Demetrio erano insieme, come tante altre sere prima di quella. Demetrio, forse per un consulto medico o forse più semplicemente per trascorrere qualche ora in compagnia, aveva invitato l’amico nella casa di famiglia, quel vecchio mulino a Villa San Giuseppe. Via Mulino, proprio per la presenza di quell’antico edificio, si chiamava la stradina stretta che, circondata dagli aranceti, conduceva a quella casa. Ci passava a stento una macchina. E fu esattamente su questa stradina stretta e buia che, intorno alle 21.30 di quel 28 settembre, la vita di questi due giovani uomini è state barbaramente stroncata da un commando mafioso.
L’ingegnere aveva da poco acquistato una macchina nuova. Era una BMW 520 di cui andava molto fiero. Propose a Nicola di fare un giro per provarla e gli lasciò il posto di guida, accomodandosi sul sedile passeggeri. Fu l’ultima volta che viaggiarono insieme.
Domenica Palamara, la moglie di Demetrio, chiamò la Polizia quando, dall’interno della loro casa, udì gli spari. Pochi istanti prima, alcuni killer appostati lungo la strada avevano esploso contro la vettura una scarica di colpi di fucile caricato a pallettoni. Avevano mirato direttamente sul conducente. Nicola non aveva avuto scampo. Demetrio istintivamente aveva aperto lo sportello e si era buttato nello spazio stretto tra la macchina e il muretto a secco che costeggiava la strada. I killer si resero conto immediatamente che quello alla guida non era Demetrio. Lo raggiunsero e lo freddarono lì, sul selciato, a colpi di 7.65. Quando i soccorsi arrivarono, allertati da Domenica, Nicola e Demetrio erano entrambi morti. Avevano 30 e 42 anni.
Vicenda giudiziaria
Gli inquirenti si resero conto subito che venire a capo di quella vicenda non sarebbe stato affatto facile. Le modalità dell’esecuzione erano drammaticamente chiare e furono ricondotte da subito agli ambienti mafiosi. Così come da subito fu chiaro che Nicola non doveva essere la seconda vittima di quell’agguato, il cui unico obiettivo doveva essere l’ingegnere Quattrone. Il problema era capire chi lo avesse voluto morto e perché. Si scavò a fondo nella vita professionale e lavorativa di Demetrio: le sue attività di controllo e vigilanza sui cantieri; i suoi interessi in alcune cooperative; la sua parentela con Franco Quattrone, potente segretario regionale della Democrazia Cristiana e Presidente della Camera di Commercio. Con lui, che era stato più volte sottosegretario agli Interni, Demetrio condivideva, sebbene in misura molto ridotta, le quote di una società di consulenza, la Aurion. Quote delle quali però, negli ultimi tempi, aveva più volte espresso la volontà di liberarsi.
Nonostante la quantità delle piste battute dagli investigatori, tuttavia, le indagini non portarono a nulla di concreto. Ancora oggi la morte di questi due giovani professionisti non ha un responsabile né un movente accertati in un’aula di Tribunale. Il fascicolo su quel duplice omicidio è stato archiviato senza colpevoli e così Nicola e Demetrio aspettano ancora verità e giustizia.
Memoria viva
Nicola, come del resto Demetrio, è stato riconosciuto vittima innocente della mafia.Nicola, come del resto Demetrio, è stato riconosciuto vittima innocente della mafia. Il nome di Nicola è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Francesco ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa a Nicola che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.