Parole di memoria

Dal ricordo alla memoria collettiva. A ExtraLibera il documentario sulla storia di Antonio Ammaturo

Dal ricordo alla memoria collettiva.
A ExtraLibera il documentario sulla storia di Antonio Ammaturo

di Antonio Emanuele Ricci

“Perché questa storia? Perché hai voluto raccontare la storia di Antonio Ammaturo?” mi chiede uno dei ragazzi presenti. “Perché è l’unica che potessi raccontare”. Come ho detto a Graziella e a Gilda, figlie di Antonio, è stato lui che ha scelto me.

Mi sono imbattuto in un bando che l’associazione Libera aveva pubblicato per realizzare dei documentari sulle storie delle vittime innocenti delle mafie. Bisognava scegliere una storia e presentare un progetto. La lista era molto lunga, la maggior parte di questi nomi era per me sconosciuta. Scelsi a caso il nome Antonio Ammaturo.

Iniziai a leggere la sua scheda. Non sapevo nulla di lui, né della sua storia. Più leggevo più ne rimanevo colpito. L’elemento chiave, quello decisivo, fu uno: le sue origini. Antonio Ammaturo era nato a Contrada, in provincia di Avellino. Era irpino, proprio come me. Mi si drizzarono i peli. Mi alzai, guardai fuori, pensai “è questa la storia che devo raccontare”. Iniziai a studiare, a leggere, ad informarmi. Presentai il progetto insieme ad altri due amici professionisti, Claudio Cesaroni e Giulia Salvatore, che decisero di darmi una mano. A Libera piacque. Fui scelto. Iniziò così un lungo ed appassionante viaggio. Conobbi dapprima Gilda Ammaturo, la prima figlia di Antonio, successivamente conobbi Graziella, l’ultima delle tre figlie.

“Come è stato approcciarsi a loro?” mi chiede uno dei ragazzi presente all’incontro. Ci voleva molta delicatezza. Mi sono presentato con un sorriso, in punta di piedi. Prima un caffè, una chiacchierata conoscitiva, poi un secondo incontro e poi un terzo. Dovevo conquistare la loro fiducia per poter entrare nel loro vissuto, ci è voluto il giusto tempo. Alla fine, si sono fidate e affidate. Gilda è stata la prima, ha fatto strada. Mi ha donato i suoi ricordi e soprattutto mi ha affidato le pellicole girate in Super8 che il padre aveva girato quando loro erano piccole. Quelle pellicole erano preziosissime. Mi sono preso la briga di far digitalizzare centinaia di frammenti video, centinaia di ricordi nascosti in un cassetto per anni, che finalmente riprendevano vita. Era veramente tanto il materiale girato dalla famiglia Ammaturo e soprattutto da Antonio. Si capisce che avesse la passione per il cinema, un’altra cosa in comune. Tutto quel materiale è stato utilissimo. È stato il valore aggiunto. Ciò che mi ha permesso di raccontarlo al meglio e di emozionare.

“È stato difficile realizzare il documentario?” mi chiede Ivan della terza G. È stata una vera e propria impresa. Ci ho lavorato un anno o forse più. Ho dovuto massimizzare il risultato ed essere il più creativo possibile. In questo percorso sono stati in molti ad aver offerto il loro contributo. “Perché lo avete fatto?” Perché la passione vale più del denaro. I ragazzi si illuminano quando parlo loro dell’importanza di curare le proprie passioni. Così come ha fatto Ammaturo che aveva la passione per la giustizia, per la vita, per l’arte, per la sua famiglia. Così come fanno i ragazzi di Libera che hanno la passione per la giustizia e lavorano quotidianamente per una società più giusta. Così come ho fatto io e i professionisti che mi hanno accompagnato in questo lungo viaggio, tra cui Carlo Lucarelli che ha prestato la sua voce e la sua professionalità al progetto. Insieme abbiamo discusso sui passaggi più importanti, abbiamo centellinato ogni parola da usare. Non è stato semplice trovare il giusto equilibrio, la giusta combinazione per rendere accessibile una vicenda così complessa, mostrarla nella sua interezza e rientrare nel tempo prestabilito dalla Produzione. Così come è stato fondamentale il contributo di Rai Teche che mi ha supportato e sopportato durante la ricerca del materiale d’archivio necessario, nonostante i mille impegni su altri fronti. Da ultimo, ma non per ultimo, è stato fondamentale il supporto avuto dal regista Giovanni Piperno attraverso i suoi consigli, le sue parole, i suoi strumenti tecnici e a volte anche le ramanzine che a posteriori ho trovato più che necessarie.

Poi però ci sono state una serie di coincidenze, che forse coincidenze non sono. Proprio mentre io stavo realizzando il lavoro, ad Avellino, un gruppo di giovani “folli” decide che era arrivato il momento di far ripartire il presidio territoriale di Libera. Il loro entusiasmo è stato contagioso, non vedevano l’ora di vedere il mio lavoro. Davide Perrotta, il più attivista tra gli attivisti di Libera, era il più entusiasta di tutti.

Si presenta un’altra coincidenza, forse quella più importante. Un’altra non-coincidenza. L’undici gennaio 2025 ricorrevano i 100 anni dalla nascita di Antonio Ammaturo. A Contrada, il suo paese d’origine, bisognava fare qualcosa. Gilda mi chiama. Era arrivato il momento di concludere, bisognava mostrare il lavoro fatto. L’ansia iniziò a crescere. Dovevo farcela.

Il giorno dell’evento il parroco di Contrada ci presta la sua chiesa. Ci sono tutti, il sindaco, il prefetto, le forze dell’ordine, i cittadini di Contrada, c’è Gilda, c’è Graziella, ci sono i familiari. La chiesa è gremita. Che ansia. Era la mia prima. 

Si spengono le luci. Parte il documentario. I presenti guardavano il documentario, io guardavo i presenti. Volevo carpire qualsiasi emozione e sensazione provassero. Ad un certo punto ho visto persone emozionarsi, ho sentito persone borbottare quando comparivano i cattivi. Tutti erano immersi nella storia. Al termine è scoppiato l’applauso generale. Gilda e Graziella si sono alzate e mi hanno abbracciato. Mi sono commosso. C’ero riuscito. Molte persone vennero a complimentarsi con me. La professoressa Rosaria Cannizzaro mi propose di proiettare il documentario nella sua scuola a Salerno. I ragazzi dovevano vederlo. E da quel momento è partito il tour nelle scuole.

Io, Graziella Ammaturo e Davide Perrotta, grazie al supporto dei docenti e dei presidi, abbiamo iniziato ad incontrare i ragazzi e le ragazze delle diverse scuole e ogni incontro è stata un’emozione, uno scambio profondo: loro imparavano da noi, noi imparavamo da loro. Da quel momento in poi, come dice spesso Davide, il ricordo di una famiglia è diventato memoria collettiva.

"Qual è la differenza tra ricordo e memoria?" È questa la domanda che spesso Davide fa ai ragazzi. I ragazzi rispondono: il ricordo è personale, la memoria è di tutti. Ed è questo quello che stiamo provando a fare. Condividendo il racconto di Antonio Ammaturo, la sua storia personale non è più solo un ricordo doloroso e intimo delle figlie e delle loro famiglie e dei loro amici, ma diviene memoria collettiva, diviene dolore collettivo.

“Quali sono le emozioni che avete provato?” È la prima cosa che Davide chiede al termine della proiezione. Loro sono timidi. “Dai, non abbiate timore, non ci sono voti.” Qualcuno allora si espone. Qualcuno risponde angoscia, altri dicono delusione, frustrazione, tristezza. “E poi?” prosegue Davide. “C’è qualche altra emozione che il regista ha provato a trasmettervi?”. “Si, la speranza.” La speranza è che guardando queste storie voi diventiate consapevoli di chi siano gli esempi da seguire e da chi invece prendere le distanze. La speranza che possiate nel vostro piccolo fare sempre le giuste scelte per voi e per gli altri. Ma il contributo più importante è la presenza costante di Graziella Ammaturo. Ogni volta che è presente rivive la sua storia. Ogni volta, senza alcuna riserva, si presta alle numerose domande che le vengono poste dai ragazzi. Graziella non si tira mai indietro per amore di suo padre, per amore dei valori che le ha trasmesso.

L’ultimo incontro lo organizziamo a giugno. I ragazzi oramai già sono con la testa in vacanza. Nonostante ciò, la docente Angela Vivarelli con tanto entusiasmo aveva organizzato un breve percorso con i suoi studenti dell’Alberghiero di Mirabella Eclano che sarebbe culminato con la visione del documentario e il dibattito a seguire. Prima degli incontri, però, mi aveva avvertito “i ragazzi non sanno niente in merito a queste vicende, non sono interessati a questi argomenti, sappi che perdono facilmente l’attenzione”. Al termine della proiezione la professoressa è contentissima. La prima cosa che mi dice: “il silenzio è stato assoluto.” Anche questa volta ci siamo riusciti.

Il giorno dopo Angela mi manda un messaggio. Mi racconta che un suo studente che sembra apparentemente non interessato a certi temi le aveva mandato uno screenshot di un video visto su Tiktok che parlava di una notizia collegata all’attentato a Giovanni Falcone: “Prof ho visto su Tiktok questa notizia e ho pensato all’incontro che abbiamo fatto sulle stragi di mafia". Angela è rimasta senza parole e mi ha detto: “come vedi anche intercettarne uno vuol dire che abbiamo vinto.”

Ad oggi più di mille ragazzi e ragazze dai 13 ai 19 anni conoscono la storia di Antonio Ammaturo. E non è finita qui, il nostro tour continua.

Spesso concludo il mio intervento dicendo ai ragazzi che se c’è qualcosa che più mi rende fiero delle mie origini è sapere che una persona come Antonio Ammaturo è stato un mio conterraneo.