Parole di memoria

Antonio Cezza, storia di un ragazzo per bene

Antonio Cezza, storia di un ragazzo per bene

di don Marcello Cozzi

Erano i mesi a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. Nel vulture-melfese, zona a nord della Basilicata, le cosche si facevano guerra fra di loro, ma non faceva notizia, perché i clan Delli Gatti e Petrilli non avevano nomi altisonanti come se fossero stati Riina o Bagarella. Eppure estorcevano, seminavano terrore, si uccidevano. Uccidevano.
Lo stabilimento della Fiat si insedierà tra il 1991 e il 1992 in questo fazzoletto di terra lucana che si incunea tra la Campania e la Puglia, amplificando inevitabilmente gli appetiti criminali delle cosche campane, ma anche quelle calabresi e un po' meno i pugliesi. I lucani non volevano essere da meno a nessuno, e a nessuno che proveniva da fuori potevano permettere di venire in Basilicata a imporre il proprio marchio di fabbrica criminale. E così ogni occasione era buona per far capire chi erano, chi comandava, a chi bisognava dar conto.
La sera del 18 luglio 1990, verso le 21, una telefonata ai Carabinieri di Melfi segnala una rissa nella Villa comunale. Nella pattuglia che per prima arriva sul posto c'è un Brigadiere pugliese, originario di Cursi, paesino in provincia di Lecce; si chiama Antonio Cezza, è giovanissimo, ha 26 anni. Appena arriva sul posto si trova dinanzi a Domenico D'Alfonso, affiliato a un clan locale, che stringe fra le mani un fucile calibro 16. 
Antonio non fa neanche in tempo ad intimargli di consegnargli il fucile che viene raggiunto da una scarica di pallini che lo colpiscono in pieno volto. Nel conflitto a fuoco che segue con i carabinieri D'Alfonso resterà ferito, Cezza invece verrà trasportato all'ospedale di Potenza dove morirà dopo cinque giorni di agonia.
Antonio verrà riconosciuto come vittima del dovere ma non della mafia, forse perché il killer non era affiliato a Cosa Nostra, neanche alla 'Ndrangheta, o forse perché la Basilicata non è la Sicilia e neanche la Calabria. Ma poco conta: per noi è vittima innocente di una guerra che anche in Basilicata ha fatto martiri. In silenzio.