Antonio Esposito Ferraioli
di Federico Esposito e Riccardo Christian Falcone
Pagani è un agglomerato di chiese e cemento che segna il confine tra le province di Napoli e Salerno. Un paesone che non sa scegliere a quale periferia aderire in quella terra di mezzo che è l’Agro nocerino-sarnese.
È il 30 agosto del 1978. L’accozzaglia di abitazioni popolari a due passi dal centro è il rione palazzine. A pochi minuti da mezzanotte una A112 blu con i fari spenti si ferma all’angolo di via Zito. È un attimo. Due colpi di lupara alla schiena e Tonino si accascia a terra in una pozza di sangue. L’auto scappa, le finestre restano mute nel caldo umido di agosto, nessuno pare accorgersi di niente. Lei ha visto tutto. Angela è affacciata, urla di disperazione. Tonino stava rientrando a casa dopo la solita serata trascorsa insieme. Lei lo accompagnava dall’alto con lo sguardo verso la sua Citroen. Avrebbero dovuto sposarsi di lì a breve, ma il sogno di una vita si frantuma in quegli istanti, con quei colpi secchi risuonati nel silenzio della sera. La corsa all’ospedale serve a poco. Dopo un’ora Tonino muore ammazzato. A 27 anni.
Antonio Esposito Ferraioli, Tonino, era un giovane cuoco che lavorava alla mensa dello stabilimento paganese della FATME, azienda leader nel settore dell’elettronica. In quegli anni la passione per l’impegno sociale avuta fin da giovanissimo con gli scout si era trasformata in fervore politico con l’iscrizione al Pci e alla Cgil. In azienda era delegato sindacale. Amava il suo lavoro, scrupoloso nel preparare i pasti per i colleghi operai e per i loro figli, ospitati nell’asilo nido dello stabilimento. Un posto tranquillo, lontano dalla “monnezza” di quegli anni. A Pagani la guerra di camorra imperversava per le strade. Da un lato i fedelissimi di Raffaele Cutolo, decisi ad espandere il dominio del “professore”, dall’altro i camorristi locali legati alla Nuova Famiglia di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso. Si sparava così tanto che alla città fu dato un soprannome eloquente: “far west”.
Tonino era a lavoro quando si accorse che la fornitura di carni arrivata nella sua cucina era marcia, avariata. Era da tempo che, in veste di delegato sindacale, si batteva per migliorare la qualità delle forniture e per i diritti salariali dei suoi colleghi. Quando la partita di carni arrivò in mensa pensò che il limite era superato: quella “fetenzia” era il risultato di una truffa ai danni della Comunità Europea messa in atto dalla camorra e da alcuni amministratori comunali. Le battaglie in fabbrica allora non bastavano più. Decise di denunciare. Ma non fece in tempo. La notte del 30 agosto del 1978 fu ammazzato da due colpi di lupara alla schiena. Nell’anno di Aldo Moro, come per Peppino Impastato, di Tonino nessuno si accorse. Eppure era un’altra morte che puzzava di politica e mafia. In pochi restarono a lottare. I compagni di partito, il sindacato, gli amici di sempre. I familiari si rinchiusero in un silenzio di dolore mentre la città dimenticava in fretta quel ragazzo, chiusa in silenzi di vergogna. Oggi ricorre il quarantesimo anniversario dalla morte e giustizia non è stata fatta. Gli assassini sono tuttora a piede libero in una città che conosce facce e nomi. Perché per Tonino non c'è mai stato un processo. Dopo la morte gli inquirenti avviarono una intensa attività investigativa non arrivando però a riscontri concreti. Voci e sospetti negli anni hanno circondato la vicenda. Il barbaro omicidio, secondo quanto stabilito in un dibattimento alla Camera dei Deputati nel 1980, sarebbe riconducibile ad ambienti vicini al clan di Salvatore Serra, detto “Cartuccia”, che all’epoca esercitava un controllo diretto sulle aziende della zona. Sotto accusa finirono il pregiudicato Giuseppe De Vivo, detto “o russ”, e l’imprenditore e politico della Dc cittadina Aldo Mancino, poi prosciolti per insufficienza di prove. Nel 2001 un’apparente svolta. Le dichiarazioni del pentito Biagio Archetti fecero riaprire l’inchiesta, proprio quando l’amministrazione comunale di allora istituiva il Premio Legalità “Esposito Ferraioli”. Il collaboratore di giustizia accusava nuovamente Mancino e De Vivo di essere i mandanti dell’assassinio. I due erano i titolari della ditta che aveva appaltato la mensa in fabbrica. Le indagini, riavviate dal PM antimafia Vito Di Nicola, si risolsero comunque in un nulla di fatto. La svolta arriva però negli ultimi anni. La battaglia della famiglia e di un gruppo di avvocati per il riconoscimento dello status di vittima innocente riesce a raggiungere un esito positivo. Una sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, ricostruendo il contesto di quegli anni e il clima che si respirava in quella fabbrica, ha restituito a Tonino un pezzo di verità che soltanto in pochissimi avevano pronunciato fin dall'inizio. Quello di Tonino è un omicidio di camorra. Tonino è una vittima innocente.
Sì, una vittima innocente. Una di quelle quasi mille vittime innocenti delle mafie i cui familiari, in oltre il 75% dei casi, non ha conosciuto e non conosce verità e giustizia. Una storia, quella di Tonino, che sta perfettamente - e drammaticamente - nel paradigma dell’assurdo che tanto ci tormenta, per cui la verità cammina liberamente per le strade delle nostre città. Accompagnata da un silenzio durato tanto, troppo tempo.
Bisognava tirarla fuori dall’oblio la storia di Tonino. A tutti i costi. Bisognava mettersi al lavoro, accanto alla famiglia, per restituire a questo ragazzo la dignità della memoria. Il Premio che ne porta il nome, la rassegna enogastronomica dell’Alberghiero di Pagani dedicata a lui, la masseria Antonio Esposito Ferraioli confiscata alla camorra e restituita alla collettività ad Afragola, una strada ancora a Pagani, una scuola - un altro Alberghiero - a Poggioreale intitolata a lui, proprio di fronte al carcere di Napoli. Due marciapiedi opposti, due percorsi di vita opposti.
Sono tutti segni di memoria che, a quarant’anni da quella tragica notte, ci raccontano una storia di vita prima che di morte. Frutti di impegno e di speranza, luoghi di cambiamento.
Ma non basta, lo sappiamo. Ecco perché quest’anno in via Zito, nel luogo esatto in cui l’asfalto fu bagnato dal sangue di Tonino, sono passati 150 ragazze e ragazzi ospiti dei campi di E!State Liberi! di Battipaglia. Un pellegrinaggio civile, attento e silenzioso, accanto a Mario, il fratello di Tonino. Il racconto, la commozione, un passaggio di testimone che chiede ai giovani di diventare moltiplicatori di memoria e di impegno. Tonino non è passato invano. Non sono passati invano quarant’anni. Non passeranno invano, finché i sogni, le speranze, le battaglie di Tonino a difesa del lavoro e della sua dignità troveranno testa, gambe e cuore in chi non lo ha conosciuto di persona ma ha imparato ad amarlo. Amare lui e la sua grande lezione di libertà.
“Vigliacchi”, recita uno dei post-it lasciato dai campisti in via Zito. È la rabbia che parla, che urla indignata per il piombo che ha strappato la giovane vita di Tonino. Proprio accanto, un altro foglietto rosa. C’è la parola “coraggio”. Una risposta alla vigliaccheria senza volto degli assassini. Tonino non è morto invano.