Lollò Cartisano, il volto fiero di chi non si piega alla prepotenza mafiosa
di Maria Joel Conocchiella
Adolfo Cartisano, chiamato da tutti Lollò, è un fotografo di Bovalino, nella provincia di Reggio Calabria. Un uomo buono, caparbio e coraggioso che ama la sua terra e rivendica il diritto a vederla libera. Sorriso accennato, occhi profondi e felici, il volto fiero di chi non si piega alla protervia mafiosa ma la affronta a viso aperto certo, che ci possa essere un futuro diverso.
Quando bussano alla porta del suo negozio di fotografia per chiedere il pagamento del pizzo, quest’uomo ostinato e profondamente libero, non ha bisogno neppure di pensarci. Denuncia.
Denuncia in anni in cui farlo era impensabile, quando la signoria territoriale della ‘ndrangheta aveva un elevato grado di fidelizzazione di un territorio succube e silente. Lollò denuncia e rende partecipe tutta la famiglia di questa sua piccola grande rivoluzione.
Era il 22 luglio di una calda sera d’estate del 1993, quando Lollò viene sequestrato mentre stava rincasando con la moglie Mimma, stordita anch’essa, abbandonata e legata ad un albero.
Da quel momento, sul fotografo grande appassionato di calcio, cade un buio silenzioso, la disperazione della famiglia si acuisce giorno dopo giorno, ma non pietrifica le loro speranze. La figlia Deborah tenace e ostinata proprio come il papà, tira le redini del comitato “Per Bovalino Libera”, che riversa nelle strade della città, allora conosciuta come la capitale dei sequestri di ‘ndrangheta, tantissimi giovani stanchi della paura, del silenzio e dell’omertà, stanchi dello stigma schiacciante della criminalità organizzata. Mostrano il dissenso, mostrano un altro volto di quella terra, quello fresco e genuino di chi si ribella.
Nonostante il pagamento del riscatto da parte della famiglia, di Lollò nessuna notizia.
Dopo le lettere aperte che ogni anno Deborah mandava ai sequestratori del padre, affinchè rivelassero il luogo in cui giaceva il suo corpo, in un giorno di giungo del 2003 arrivò una risposta che forse, in cuor loro, temevano di non ricevere mai. E’ del carceriere di Lollò che pentito, chiede perdono, rivelando il luogo che custodiva il corpo esanime del fotografo. Quel luogo è Pietra Cappa, monolite cangiante che sovrasta l’Aspromonte, soggetto prediletto dello stesso fotografo che amava immortalare questo immenso gigante buono, attraverso diverse prospettive.
Sui passi che il pentito descrisse per permettere il ritrovamento di Lollò, ogni anno, ogni 22 luglio, giovani e meno giovani da ogni parte d’Italia e non solo, percorrono i Sentieri della Memoria, marcia in ricordo dell’uomo, padre e marito brutalmente portato via agli affetti più cari, e di tutte le vittime innocenti della ‘ndrangheta. Quel sentiero di dolore e violenza si tinge dei colori vivi della speranza, dell’impegno e della responsabilità, quel luogo simbolo del potere occulto della criminalità, diventa catartico. Quel monte che ci guarda sornione scolpisce nelle nostre coscienze e nei nostri cuori, l’imperativo categorico di una memoria resistente e di un impegno effettivo per difendere la dignità e costruire una società ribelle e responsabile che ci permetta, come ci ha insegnato Lollò, di guardare in faccia le nuove generazioni. Il 22 luglio un grande abbraccio riscalda un sud che ha pianto, che soffre ancora ma che vuole iniziare a sorridere, un sud che inizia a raccontarsi dai luoghi delle sue contraddizioni, una Calabria che vuole scrivere una nuova storia e lo fa iniziando a riappropriarsi di quei luoghi che sono stati usurpati dalla violenza bruta della ‘ndrangheta.
Abbiamo gridato “l’Aspromonte è nostro”. Un grido liberatorio, un grido deciso, un grido che unisce chi non vuole abbassare la testa, un grido che si alimenta di memoria.
Abbiamo dunque, il dovere di farci gelosi custodi di una memoria scomoda che febbrilmente ci sveglia dal torpore di una quotidianità inerte e inerme, una memoria viva che deve trasformarsi in fiamma morale che alimenti le nostre lotte civili e il nostro impegno sociale. Una memoria dirompente, faro delle nostre azioni. Una memoria che si innalza a pilastro, di verità e giustizia.
La ‘ndrangheta ha sottratto le carezze di un padre, i baci di un marito, le attenzioni e le coccole di quello che sarebbe stato un nonno amorevole e premuroso, ma non ha potuto portar via la sua essenza, il patrimonio immenso che quell’uomo felice ci ha lasciato. Lui ha vinto e grazie a lui, possiamo vincere anche noi continuando a camminare a schiena dritta e testa alta.
A venticinque anni dalla morte, Lollò vive. Lo vedi nell’amore della moglie Mimma, che silenziosa cammina vicino alla figlia. Lo vedi negli occhi vispi dei suoi nipoti, lo senti nella voce e nei pugni chiusi di Deborah che instancabilmente racconta la sua storia, lo vedi negli sguardi di chi, grazie al suo esempio, ha deciso da che parte stare.
Oggi, a te a Lollò, va il nostro impegno, la nostra fiducia di un futuro libero.