Parole di memoria

Il volto di Rossella Casini

Il volto di Rossella Casini

di Andrea Bigalli

Il bilancio sul tempo non si fa certo con criteri economici. Bisogna segnare negli schemi cifre di altro segno: emozioni, sentimenti, dolori, esultanze e altre risorse o mancanze esistenziali.
Nelle caselle delle emozioni, tra tante altre, c’è quella in cui ho messo quel che ho provato nel vedere, dopo molte ricerche e molti anni, come tradotta dal moto ondoso su di un lido, il volto di Rossella Casini.

La sua è una storia di donne. La sua personale, quella della madre che l’ha vista scomparire nel nulla, le sue amiche, le sue compagne di corso all’università; la storia della sorella del suo amato, tra coloro che ne hanno decretata la morte. Una storia che incrocia Libera Toscana, a cui una giornalista calabrese, Francesca, chiede riferimenti perché vorrebbe proporla in un suo libro.

E proprio altre donne, a distanza di anni, ne hanno cercato le tracce, provato a dare senso alla memoria di una vittima di mafia toscana, trovare quantomeno un volto, gli elementi minimali di una identità. Franca Selvatici, cronista, seguendo il processo ai suoi assassini ne ha narrata per prima la storia; un’altra giornalista, Francesca Chirico, appunto, dalla Calabria ne ha ripreso e ampliato i termini, in un libro corale su altre donne vittime o resistenti alla ‘ndrangheta; Fiamma Negri e Giusi Salis hanno scritto per il teatro la sua vicenda, mettendola in scena; Emanuela Gasbarroni ha realizzato un video reportage. Ad Anna D’Amico e Edi Ferrari un compito particolare: trovare una foto di Rossella. Non ne avevamo. Morti i suoi genitori, sembrava smarrito ogni fattore di memoria. Dagli archivi della segreteria della facoltà che frequentava, la foto del tesserino universitario.

Ecco, quando per la prima volta abbiamo visto il suo volto, è stata un’emozione vera. Quella della storia. Una terribile ingiustizia, il sopruso assoluto della violenza sulla donna, l’arrogante protervia di chi pensa di poter comunque aver la meglio su chiunque, su qualunque istituzione debba giudicare i loro atti. Ma non soltanto questo, oltre quelle che sembrano le dinamiche usuali della storia.

Solo una foto, ma molto più di un frammento di diritto, di dignità, di legalità. Un argine di amore contro quello che sembra un fiume inarrestabile di violenza. Non ci siamo solo illuse e illusi, non ci stiamo ingannando se abbiamo pensato e siamo convinti che sia stato molto più di una foto ritrovata in uno schedario. È stata la forza della tenerezza contro la miseria della ferocia. Di cui comunque ognuno che la esercita dovrà render conto. Finché non li lasciamo seppellire nel silenzio quanto di orribile hanno compiuto non hanno nessuna speranza di sottrarsi a tale giudizio.