Tra Marsiglia e Saint-Amans-Soult ci sono poco più di 300 chilometri. È qui, in questa cittadina nel sud della Francia, che nasce Pierre Michel, il 2 luglio del 1943. La seconda guerra mondiale infiamma l’Europa e i Michel - una famiglia di stimati giuristi, avvocati e notai - decidono di lasciare la propria città di origine di Metz, quasi mille chilometri a nord-est, per sfuggire alla furia dell’occupazione nazista.
A Metz i Michel tornano a guerra finita. Nel capoluogo del dipartimento della Mosella, Pierre trascorre gli anni della sua infanzia e della sua adolescenza. Suo padre George riprende la sua attività notarile, aprendo la strada alla carriera forense anche per Bernard, il fratello di Pierre. Ci sarebbe spazio anche per lui, in realtà, per continuare quella tradizione familiare. Ma Pierre non se la sente, vuole essere autonomo e indipendente.
E così, nel 1965, a 22 anni, decide di insegnare scienze naturali in un liceo di Jarny, poco lontano da casa. È proprio in questa scuola che conosce Jacqueline, un'insegnante di geografia destinata a diventare sua moglie e la madre delle sue due figlie: Emmanuelle e Beatrice. È un amore profondo il loro e Pierre è disposto a tutto pur di salvaguardarlo. Come quando, nel 1973, non esita a seguire sua moglie a Marsiglia, cominciando qui una nuova vita.
Il ritorno nel sud della Francia, con il trasferimento a Marsiglia, segna un momento di svolta in questa storia. Pierre prende una strada nuova, che in fondo lo riporta un po’ alla tradizione della sua famiglia. Decide infatti di intraprendere un dottorato in legge con l’ambizione di diventare magistrato. Tra i suoi maestri, c’è quel René Saurel che, proprio in quegli anni, aveva dato un contributo fondamentale allo smantellamento della French Connection, il sistema criminale corso-marsigliese che aveva conquistato il dominio assoluto nel traffico dell’eroina verso l’Italia e gli Stati Uniti. Fu una scuola che condizionò fortemente la sua formazione e il suo futuro professionale: di droga Pierre si sarebbe occupato per tutto il resto della sua vita.
Del resto, già da uditore giudiziario, durante il periodo di tirocinio, aveva cominciato a lavorare ad alcuni casi che vedevano protagonisti proprio giovani e giovanissimi tossicodipendenti. Un’esperienza che lo mette a contatto diretto con le conseguenze devastanti del consumo di eroina, segnandolo fortemente e evidentemente condizionando ulteriormente le sue scelte future.
Di minori Pierre continuò ad occuparsi anche appena divenuto magistrato, nel 1974. Il 31 dicembre di quell’anno, infatti, viene nominato Giudice istruttore e comincia la sua carriera lavorando a casi di delinquenza minorile, sfruttamento della prostituzione e traffico di armi.
Ci sono in particolare due inchieste che lo vedono protagonista in questi anni. Nel 1975 viene incaricato di istruire il processo contro Christian Ranucci, un ragazzo accusato di avere rapito e poi ucciso una bambina di 8 anni. Pierre mette in campo un lavoro accurato e minuzioso, dispone perizie e chiede tempo per approfondire. Ma la pressione mediatica sul caso è fortissima e il neo giudice è costretto a cedere. Alla fine Ranucci verrà giudicato colpevole e condannato alla pena capitale, terzultimo reo nella storia del sistema giudiziario francese ad essere giustiziato. Pierre partecipa direttamente all’esecuzione, ma si dichiara apertamente e convintamente contrario alla pena di morte.
Due anni più tardi, nel 1977, lavora a un altro caso di grande risalto. Pierre indaga su un sistema di sfruttamento della prostituzione che vede al centro la caserma del secondo reggimento straniero di paracadutisti dell'esercito francese. All’interno della caserma, scoprirà che è stato messo in piedi un vero e proprio sistema di prostituzione. Il giudice porta alla sbarra 17 persone con la pesante accusa di lenocinio. Tra di loro ci sono alti ufficiali dell’esercito.
La svolta definitiva nella vita professionale di questo giovane e intraprendente magistrato arriva in quello stesso 1977, quando viene chiamato a sostituire temporaneamente un collega impegnato in indagini sulla criminalità organizzata. L’interim in realtà diventa una sostituzione lunga e, infine, Pierre viene chiamato a prendere il posto del suo collega. Viene destinato quale Primo giudice istruttore presso il Tribunale di Grande istanza di Marsiglia. Ed è in questa sede e con questo ruolo che comincia la sua guerra senza confine al narcotraffico.
È convinto che siano in atto una serie di tentativi per ricostituire il sistema della French Connection. Il suo obiettivo diviene dunque impedire ad ogni costo che questi tentativi possano andare in porto. Per raggiungerlo, utilizza un metodo investigativo del tutto inusuale, che vuole provare a ridare motivazione anche alle Forze di Polizia impegnate nelle indagini. Partecipa in prima persona alle operazioni e agli appostamenti, accresce il livello di controllo del territorio e comincia ad arrestare le donne dei boss del narcotraffico nel tentativo di indurli a consegnarsi spontaneamente. Sono metodi poco ortodossi, che da un lato gli fanno guadagnare il rispetto dei poliziotti ma dall’altro lo espongono fortemente. I soprannomi si sprecano: giustiziere, cowboy, magistrato poliziotto. Sta di fatto che, nel giro di pochi anni, quei metodi poco ortodossi gli consentono di raggiungere risultati straordinari: 70 arresti e 6 raffinerie e laboratori di droga scoperti e smantellati sono solo alcuni dei numeri di questo lavoro.
Ma Pierre non si accontenta. Da un po’ di tempo segue anche altre piste, che lo portano ad indagare alcune ramificazioni internazionali del sistema criminale marsigliese. L’Italia, in particolare, si rivela essere la nuova frontiera delle sue indagini.
Nel 1980 vola a Palermo, inseguendo il filo che lega Marsiglia a Cosa nostra, dove è convinto che i marsigliesi abbiano spostato la produzione di droga. Arriva sull’isola in piena estate e si mette al lavoro insieme ad alcuni magistrati della Procura palermitana. Tra questi c’è Giovanni Falcone, con il quale nasce un rapporto di sincera amicizia, oltre che di efficace collaborazione. Talmente efficace che, alla fine del mese di agosto, ottiene il clamoroso arresto di quattro marsigliesi e, soprattutto, del boss Gerlando Alberti. I suoi sospetti sull’esistenza di un accordo tra i due gruppi criminali trovano riscontro.
Oltre che con i colleghi palermitani, Pierre lavora anche in stretta collaborazione con la DEA, l’agenzia antidroga americana. È un lavoro delicato, che mira a stringere il cerchio attorno a Gaetan “Tany” Zampa, inafferrabile padrino dei marsigliesi. L’8 luglio del 1981 le sue indagini riescono a svelare l’ennesima raffineria di droga. Il laboratorio di Saint-Maximin-la-Sainte-Baume è chiaramente riconducibile a Zampa. Finiscono in manette dieci persone. Tra di loro, vi sono in particolare Homère Filippi e Marc Chambault, tra i più fidati uomini di Zampa. A casa di Chambault viene rinvenuta un'agenda ricca di informazioni preziose. All’uomo viene promessa una nuova vita in America a patto che si decida a collaborare. Chambault cede e l'interrogatorio viene fissato per il 23 ottobre. Ma quell’interrogatorio Pierre non riuscirà mai a farlo.
21 ottobre 1981
La mattina del 21 ottobre Pierre era andato a lavoro a bordo della sua moto. Intorno alle 12.30 decide di tornare a casa per pranzare con sua moglie e le sue figlie. Lascia il Palazzo di giustizia, sale a bordo della moto e percorre pochi chilometri. Non si accorge che, a poca distanza, un’altra moto, di colore rosso, con a bordo due uomini lo segue. All’altezza dell’incrocio con boulevard Michelet, la moto si affianca. Uno dei due tira fuori una 9 millimetri parabellum ed esplode tre colpi, che colpiscono il magistrato alla spalle, al torace e al collo. Pierre non ha scampo e muore sul colpo.
Vicenda giudiziaria
La notizia è di quelle che fanno scalpore. Michel è il secondo giudice assassinato in Francia dalla fine della seconda guerra mondiale. È evidente a tutti che quella morte sia da ricondurre all’efficacia della sua azione di contrasto ai gruppi criminali del narcotraffico.
Le indagini partono immediatamente. Grazie alla segnalazione di un testimone che era riuscito a segnare la targa, solo 48 ore dopo, viene rinvenuta la moto usata per l’omicidio, una Honda risultata rubata un anno prima. Alcune impronte digitali conducono gli inquirenti a Charles Giardina, un meccanico legato a due criminali vicini a Zampa. I tre però si rifiutano di collaborare e, in assenza di ulteriori riscontri, vengono rilasciati. L’inchiesta sembra in un vicolo cieco. Su di essa aleggia l’ombra del nemico di sempre, quel Tany Zampa che, tuttavia, arrestato in altre indagini, finisce suicida in carcere nel 1984.
La svolta nel lavoro investigativo arriva nel 1985, quando il caso dell’omicidio del giudice viene riaperto grazie alle dichiarazioni di François Scapula, un trafficante marsigliese arrestato in Svizzera in un’operazione antidroga. L’uomo rivela i nomi di mandanti ed esecutori del delitto Michel. A commettere l’omicidio sarebbero stati François Checchi e Charles Altieri. L’ordine di morte sarebbe arrivato invece da François Girard e Homere Filippi, quest’ultimo arrestato da Pierre anni prima.
Il 30 giugno del 1988 la Corte d’Assise di Aix-en-Provence condanna Checchi e Girard all’ergastolo. Il 19 aprile del 1991 arriva la condanna in contumacia per i due mandanti. Filippi sparirà nel nulla, forse ucciso in un regolamento di conti.
Ma, come abbiamo detto, questa storia ha dei lati ancora oscuri e mai definitivamente chiariti. Come quello legato al presunto ruolo di Cosa nostra nell’omicidio di Pierre. È stato Michel Debacq, giudice francese collaboratore di Michel e poi anche di Giovanni Falcone, a rivelare, nel 2017, la notizia secondo la quale ad essere convinto della responsabilità della mafia siciliana nel delitto di Pierre fosse proprio Falcone, secondo il quale, in particolare, era evidente il coinvolgimento di Gerlando Alberti. La morte di Pierre sarebbe stata dunque voluta anche da Alberti per vendicarsi del suo arresto avvenuto nel 1981 e, soprattutto, dell’efficacia delle indagini che avevano dimostrato il legame tra i marsigliesi e Cosa Nostra siciliana.
Era l’autunno dell’86. Giovanni doveva venire in Francia e io lo avviso che il 21 ottobre saremmo stati impegnati per la commemorazione dei cinque anni dall’omicidio del giudice. Lui mi chiede di partecipare e naturalmente lo ospitiamo. Era rimasto molto toccato da quella morte. Mi disse: ‘Era un uomo buono. Può succedere anche a me o a te una cosa del genere’. Ma io ho capito che parlava di se stesso.
Le voci sul coinvolgimento di Cosa nostra vengono confermate anche dal collaboratore Antonino Calderone. Interrogato dallo stesso Debacq, Calderone confermò la stessa tesi.
L’arresto (di Calderone) avviene nel 1986 per una faccenda di assegni a vuoto. Sua moglie Margherita, un’infermiera, una donna distinta, chiede di vedermi e una sera nel mio ufficio mi dice: ‘Signor giudice, dovete chiamare Falcone e dirgli che mio marito vuole parlargli’. Quando l’ho riferito a Giovanni, dall’altra parte della cornetta ho sentito il silenzio e ho pensato che fosse caduto dalla sedia. Poi si è messo a sfogliare l’agenda: ‘vengo dopodomani’, ha detto.
Tra le tante cose che ha (Calderone) confessato c’erano anche le sue impressioni sull’omicidio di Michel. Per lui era chiaro che c’era una matrice mafiosa, un coinvolgimento della mafia italiana nell’omicidio. Si era offerto per sentire cosa dicessero i criminali in carcere, ma non portò a casa niente: tra i detenuti si era diffusa la voce che non bisognava parlare della morte di Pierre Michel. Il piano piace a più parti e allora lo condividono. Il risultato è che se sul lato francese più o meno siamo arrivati a individuare i responsabili, su quello italiano c’è il black-out totale. Io sono sempre stato molto triste per la morte di Falcone: insieme avremmo potuto fare qualcosa sulla morte di Michel.
Falcone avrebbe voluto aprire un’inchiesta su questa storia. Purtroppo, l’assenza di ulteriori riscontri e, soprattutto, la morte del magistrato siciliano hanno fatto calare il silenzio su questa vicenda.
Memoria viva
Il nome di Pierre, evidentemente vittima del sistema mafioso e criminale marsigliese e, forse, delle sue connessioni con Cosa nostra, è inserito nell’elenco delle vittime innocenti che Libera legge ogni anno il 21 marzo.
Nel 2015, sulla sua vicenda umana e professionale è stato realizzato il film French Connection, diretto dal regista marsigliese Cédric Jimenez, accolto non senza polemiche soprattutto da parte di colleghi e familiari di Pierre. A lui è intitolata anche una sala del Palazzo di giustizia di Marsiglia.