Quei due fratelli, cresciuti insieme dapprima nel ventre di mamma Annamaria e poi nella vita di tutti i giorni, erano più che gemelli. Si faceva addirittura fatica a distinguerli fisicamente. Uguali. Persino nel secondo nome che, con papà Antonio, la madre aveva scelto per loro: Celestino Maria e Antonino Maria.
Erano la gioia della famiglia. Una famiglia umile e semplice di Palizzi, paesino del reggino, che si era costruita una vita dignitosa e onesta, grazie al lavoro di Antonio, impiegato nelle Ferrovie. Un lavoro duro, fatto di fatica e sacrifici, che però Antonio affrontava con la gioia di chi sa che ne vale la pena, di chi sta costruendo il futuro della propria famiglia. La casa, lo studio dei figli, le loro passioni. Celestino e Antonino conoscevano il valore di quei sacrifici. Erano stati educati al rispetto, all’amore, alla generosità.
Celestino Fava era un ragazzo dolce, pieno di voglia di vivere, sempre vivace e sorridente. Rispetto a suo fratello gemello, più aperto e meno timido. Amava viaggiare, conoscere, studiare. Si era diplomato in ragioneria e aveva in animo di continuare gli studi dopo il servizio militare. Amava anche la musica. Suonava il sassofono nella banda musicale di Palizzi e i sacrifici dei suoi genitori gli avevano consentito di frequentare anche il Conservatorio. E poi ancora la parrocchia, il calcio, il volontariato. Insomma, una vita piena di vita. E tra le cose che amava c’era di certo anche la sua terra di Calabria, le sue bellezze, la sua campagna. La amava davvero tanto, ma da un po’ di tempo aveva deciso che l’inizio del nuovo anno, il 1997, avrebbe coinciso con il suo trasferimento al Nord e con l’inizio di una nuova avventura.
Il 29 novembre del 1996
Il 1997 per Celestino non è mai arrivato. La mano assassina della ‘ndrangheta ha troncato, insieme alla sua vita, i suoi sogni, i suoi progetti, le sue speranze e le sue aspirazioni. È successo tutto in quel maledetto 29 novembre del 1996. Antonino non era in casa quella mattina. Aveva accettato un lavoro per il periodo delle feste di Natale. Una proposta che invece Celestino aveva rifiutato. In fin dei conti, di lì a poco sarebbe partito per il servizio militare. Quanto Antonino Moio bussa alla porta di casa Fava, Celestino era ancora a letto. Ma era una bella giornata di sole e il ragazzo accetta di accompagnare il giovane amico, che in realtà era venuto a chiamare suo fratello, a prendere della legna in campagna. Insieme i due andarono prima al bar e poi si allontanarono verso i campi, a poco più di due chilometri dal centro di Palizzi.
Verso mezzogiorno non era ancora rientrato e allora espressi a mio marito la mia preoccupazione ma lui mi tranquillizzò dicendomi che per prendere la legna ci voleva tempo. All’una ritornò Antonino e anche lui chiese del fratello. Verso le 14 mio maritò uscì per andare a vedere di trovare il figlio in campagna, nel luogo dove si erano recati i due ragazzi. Ma ritornò e disse che non aveva visto nessuno. A quel punto mi allarmai e mandai Antonio a casa del giovane che aveva chiamato mio figlio. Il trattore era parcheggiato di fronte l’abitazione e all’interno non c’era nessuno. Quando ritornò Antonio e me lo riferì mi preoccupai molto. Antonio uscì di nuovo per andare a cercare Celestino e io intanto sentivo passare ambulanze, macchine della polizia a sirene spiegate, ma mai avrei pensato che erano per mio figlio.
E invece purtroppo si sbagliava.
Il corpo di Celestino fu trovato accanto a una Renault. Poco distante, il cadavere dell’altro ragazzo. Celestino aveva appena 22 anni quando fu ammazzato a colpi di lupara a Palizzi Marina.
Nell’immediatezza, la città sembrò reagire, con gli studenti che scesero in piazza contro la ‘ndrangheta e la sua cultura di morte e violenza. Ma poi l’oblìo tornò a coprire quella storia.
Il dolore ancora oggi è insopportabile. Nel racconto dei suoi cari, c’è ancora tutto lo strazio e la sofferenza per una morte inaccettabile, per questa vita innocente strappata troppo presto. E così la commozione si mischia alla tenerezza dei ricordi: “la sera - racconta ancora Annamaria - Celestino si metteva a letto per vedere la televisione e cominciava a chiamarmi. Io dopo aver fatto la cucina, mi lavavo, mi mettevo il pigiama e mi infilavo nel lettino con lui e dovevo stare ore e ore a grattargli la testa e le spalle. Voleva ancora le coccole mio figlio. Fino alla sera prima siamo stati così”. Il dolore per la morte di Celestino ha condizionato la vita di un’intera famiglia, costringendo Antonino Maria a crescere ancora più in fretta. «Durante i primi anni, dopo la scomparsa di mio fratello - racconta - sì, ho perso la mia famiglia. Non riuscivamo più a parlare e mi tenevo tutto dentro. Con Celestino anche se eravamo due persone, ci sentivamo una cosa sola e credo di essere morto anche io con lui quel 29 novembre. Ho lasciato la musica, ho abbandonato tutte le cose che facevamo insieme”. Nel 2000 Antonino si trasferisce a Milano, per provare a riprendere in mano la sua vita.
Il 2007 è un anno di svolta nella vita della famiglia Fava. Quel dolore esce dalle mura di casa, riesce a farsi spazio, a trovare una canale di comunicazione. Si fa dolore condiviso. E la storia di Celestino, a poco poco, diventa memoria collettiva. L’incontro con Libera, il 21 marzo a Polistena, l’abbraccio con gli altri familiari, diventano per Annamaria, Antonio e Antonino una nuova speranza a cui aggrapparsi, un nuovo orizzonte di senso, una nuova ragione per continuare a lottare, a chiedere giustizia, a pretendere verità.
Vicenda giudiziaria
Gli investigatori si convinsero immediatamente che il vero obiettivo dei killer fosse Antonino Moio e che Celestino era stato ucciso perché aveva visto troppo. Ma gli assassini non hanno mai avuto un volto e quella morte grida ancora giustizia e verità. Nell’ottobre del 2002 il GIP del Tribunale di Locri ha chiesto e ottenuto l’archiviazione per “mancanza di indizi ed elementi validi per poter procedere”. Nessun processo, nessun colpevole, nessuna verità. Poco meno di un anno dopo, il 17 luglio del 2003, il Ministero dell’Interno riconosce Celestino “vittima innocente della criminalità mafiosa”. Antonio, Annamaria e Antonino Maria però non si sono arresi e continuano a chiedere verità e giustizia, alla ricerca incessante di un indizio o di un elemento che possa consentire la riapertura delle indagini.
Memoria viva
Il presidio universitario di Libera Trento è dedicato alla memoria di Celestino. E' stata la scelta di un gruppo di ragazzi, coetanei di Celestino, di dedicare il proprio impegno a lui e grazie alla quale la famiglia Fava ha trovato a 1300 chilometri di distanza un nuova famiglia.