Giancarlo era nato il 19 settembre del 1959 a Napoli, nel quartiere del Vomero, cuore della media borghesia partenopea. Era un bambino vivace, sveglio, attento. Amava conoscere, studiare, approfondire. Era curioso, ecco. Di quella curiosità in grado di alimentare la voglia di capire. Ma anche di quella curiosità e vivacità intellettuali che, di fronte all’ingiustizia, diventano volontà di cambiamento, azione politica.
E' il più piccolo di casa Giancarlo, suo fratello si chiama Paolo e da grande vuole fare il medico. La mamma Maria Pia si prendeva cura dei figli; mentre papà Mario lavorava in Regione.
Il suo grande amore era la scrittura, a cui Giancarlo attribuiva quella capacità di diventare strumento concreto di denuncia e cambiamento.
Negli anni del Liceo classico Vico di Napoli tutto questo era confluito nelle battaglie del movimento studentesco del 1977, erede delle battaglie politiche del ’68. Dopo la maturità, conseguita con il massimo dei voti, Giancarlo sceglie la facoltà di Sociologia e comincia a collaborare con alcuni periodici napoletani, tra cui Il lavoro nel Sud, testata dell'organizzazione sindacale Cisl. Fonda con alcuni colleghi il Movimento democratico per il diritto all’informazione, di cui diviene portavoce, evidenziando la sua bella personalità carismatica.
Era un ragazzo come tanti, ma con uno sguardo curioso sul mondo e un sorriso ironico. Gli piaceva passare i pomeriggi a giocare a flipper con gli amici. E il mare. Tanti i pomeriggi in cui fuggiva dalla città con Daniela, la ragazza che amava, per godersi una gita in barca. Percorreva le strade della penisola sorrentina a bordo della sua Mehari verde per raggiungerla. Lei che viveva a Vico Equense, dove la famiglia gestiva un hotel.
La passione per il giornalismo
Giancarlo è attratto dalle tematiche dell’emarginazione. Ne scrive continuamente, nella convinzione che sia in queste fasce di disagio materiale e culturale che si nasconda il vero serbatoio di manovalanza e di consenso sociale delle organizzazioni criminali. Continua a scriverne anche sulle pagine de Il Mattino, con il quale inizia la sua collaborazione come corrispondente da Torre Annunziata, città stretta nella morsa della camorra e saldamente controllata dal potente clan guidato da Valentino Gionta. Aveva cambiato anche la residenza da Napoli a Torre Annunziata, presso un amico del padre, per poter seguire la cronaca da questa città, in cui aveva capito si stessero cercando i nuovi equilibri della criminalità organizzata. E se ne occupa dando una mano all’Osservatorio sulla camorra, fondato proprio in quegli anni dal sociologo Amato Lamberti.
Scrive di droga, abusivismo, lavoro. Denuncia le connivenze con la politica e le istituzioni, le dinamiche di un sistema criminale che, in particolare dopo il terremoto del 23 novembre del 1980, sta evolvendo sempre di più nella direzione di un sistema di potere economico e imprenditoriale. I suoi articoli non sono mai solo di cronaca, ma diventano sempre un’analisi lucidissima delle strategie criminali, dei patti indicibili, degli intrecci di interessi. Una fotografia della realtà in cui la denuncia coraggiosa è figlia di quell’amore per la verità e di quella sete di giustizia che non lo hanno mai abbandonato. Lui è un giornalista e sa che quello è il suo dovere: lo aveva sempre sognato e ora lo stava facendo.
I Gionta e gli altri gruppi della camorra locale - tra cui i Nuvoletta di Marano, alleati dei Gionta - cominciano a pensare che questo giornalista alle prime armi stia esagerando. Ficca il naso ovunque negli affari del clan.
Un vero e proprio impero finanziario costruito in pochi anni: Valentino Gionta, boss della “Nuova Famiglia”, era riuscito a fare di Torre Annunziata il centro di tutti i suoi affari di camorra. Una citta? con circa sessantamila abitanti, un apparato produttivo in crisi...Un ottimo terreno per reclutare disoccupati e trasformarli in killers. Ma anche una grande occasione per controllare tutti i flussi finanziari in citta?
Ma c’è un articolo che proprio alla camorra non andrà giù e che per Giancarlo segnerà la condanna a morte. 4000 battute che sono la fotografia chiarissima delle dinamiche che avevano portato all’arresto di Valentino Gionta, avvenuto nel giugno del 1985, in una tenuta dei Nuvoletta a Marano di Napoli, a poco meno di un anno da quella strage di Sant’Alessandro che, il 26 agosto dell’84, aveva decimato gli uomini dei Gionta, uccidendo otto persone e ferendone altre sette. A decidere la carneficina era stato Antonio Bardellino, preoccupato per l'espansione considerevole del clan di Torre Annunziata. A eseguire materialmente l'eccidio erano stati invece gli uomini di Alfieri. In quell’articolo, pubblicato il 10 giugno del 1985, Giancarlo compie una lettura attentissima dei fatti.
La sua cattura (di Valentino Gionta, ndr) potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di “Nuova Famiglia”, i Bardellino. Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo da pagare proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana.
In sostanza, nel codice mafioso, i Nuvoletta sarebbero degli infami. Giancarlo dovrà pagare quest’affronto.
Il 23 settembre del 1985
La sera del 23 settembre del 1985, il giornalista ancora precario è a bordo della sua Citroën Méhari verde con la cappotta di tela nera. Sta tornando a casa, in via Vincenzo Romaniello, nel quartiere napoletano dell’Arenella. Intorno alle 20.50 si ferma a pochi passi dalla sua abitazione, ma non ha il tempo di scendere dall’auto. Dieci colpi esplosi da due Beretta 7.65 lo raggiungono alla testa. I due assassini scappano su una moto. Giancarlo muore per amore di verità e giustizia, a soli 26 anni. In tasca, due biglietti per il concerto di Vasco Rossi per quella serata.
Vicenda giudiziaria
Dodici anni di processi e le dichiarazioni di tre pentiti hanno portato alla verità giudiziaria: nei piani della camorra, Giancarlo doveva morire per la sua attività di denuncia giornalistica, con particolare riferimento al suo interesse sugli appalti pubblici per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto dell'Irpinia del 1980 nell’area vesuviana.
Il 15 aprile del 1997, la Corte d'Assise di Napoli ha condannato all'ergastolo come mandanti dell'omicidio i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, Luigi Baccante e lo stesso Valentino Gionta. Come esecutori materiali vengono individuati Ciro Cappuccio e Armando Del Core.
La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Cassazione, che però ha disposto per Gionta la celebrazione di un altro processo in Corte di Assise di Appello, da cui, il 29 settembre del 2003, il boss è uscito con una nuova condanna. Il giudizio della Cassazione lo ha però definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto.
Nel 2014, sulla scorta di particolari inediti contenuti in alcuni libri - inchiesta, l’allora coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli, Giovanni Melillo, ha riaperto le indagini sull'omicidio Siani.
Memoria viva
Sono centinaia e sparsi in tutta Italia i segni della memoria viva di Giancarlo: scuole, strade, aule, opere di street - art, sale stampa, cinema, teatri. A lui è stata dedicata la rivista Narcomafie, fondata dal Gruppo Abele. A lui gli attivisti di Libera hanno dedicato i Presidi di Portogruaro, Pisa, Ostia, di Casalnuovo ed Ercolano. Ma anche l’ostello L’Alveare di Bardonecchia e Radio Siani di Ercolano, esperienze nate entrambe in beni confiscati alla criminalità organizzata. La famiglia di Giancarlo ha sostenuto la nascita della Fondazione a lui dedicata, che ha sede a Napoli e ha istituito il premio Giancarlo Siani. Ovunque, la testimonianza e il messaggio di Giancarlo continuano a ispirare la lotta di migliaia di giovani che, come lui, si impegnano per costruire verità e giustizia.
Noi non dimentichiamo e ci siamo battuti con tutte le nostre forze per tenere vivo il ricordo di Giancarlo. Vi chiediamo di non dimenticare e di provare, come Giancarlo a cambiare questa città, questa Italia. Dipende anche da noi.