5 maggio 1971
Palermo (PA)

Antonio Lorusso

Ruvo di Puglia è un comune dell'Alta Murgia barese ricco di storia e cultura. L'agro di Ruvo, con i suoi vigneti, oliveti e seminativi, è uno dei più estesi della Terra di Bari, stretta tra le Murge e il mare Adriatico. È qui, in questo pezzo di Puglia centrale, che, il 22 agosto del 1929, nasce Antonio Lorusso.

Ed è da Ruvo di Puglia che, ancora ventottenne, parte per inseguire il sogno della carriera nel Corpo degli Agenti di Custodia. Vi si arruola il 29 marzo del 1957, a conclusione dell’esperienza di sottufficiale nel Reggimento Granatieri Sardegna. Frequenta il corso di addestramento presso la Scuola degli Agenti di Custodia di Cairo Montenotte, in provincia di Savona. Terminato il percorso di formazione e addestramento, viene subito destinato al carcere dell’Ucciardone di Palermo, con la mansione di autista presso gli uffici giudiziari del capoluogo siciliano. È un agente scrupoloso e rigoroso, che mette la sua professionalità a disposizione dapprima del Procuratore della Repubblica Palmeri e poi del Procuratore Pietro Scaglione

È proprio a Scaglione che si deve probabilmente il ritratto più autentico di questo fedele servitore dello Stato. Parole di stima e rispetto che ci consegnano il valore delle doti umane e professionali di Lorusso e che si ritrovano in una nota con il giudizio di classifica per l’anno 1964, scritta dal procuratore e inviata all’allora Ispettore Generale Reggente della direzione delle carceri giudiziarie palermitane.

Significo che l’agente Lorusso Antonio espleta le mansioni commessegli dando quotidianamente prova di spiccate capacità, di moltissima operosità e di irreprensibile condotta. Dotato di proprio intuito, disciplinato e riguardoso, si distingue per encomiabile attaccamento al dovere, e per lo zelo e la precisione con cui disimpegna i vari incarichi affidatigli. Per tali doti si è meritato la stima e la considerazione generale. Esprimo, pertanto, parere favorevole per l’attribuzione al Lorusso della massima qualifica per l’anno 1964.

A questo rigore e a questa intransigenza sul lavoro, Antonino affianca una grande semplicità nella vita privata. La sua è una famiglia assolutamente normale: sua moglie Maria Dora, poco meno di 10 anni più giovane di lui, gli ha dato due splendidi figli maschi, Felice e Salvatore. Ed è così che l’appuntato Lorusso trascorre le sue giornate, diviso tra i suoi carissimi affetti familiari e il suo appassionato lavoro di autista del procuratore Scaglione. Un rapporto di lavoro che si era con il tempo evoluto in una rispettosa e sincera relazione di amicizia, che li avrebbe legati per sempre. Antonio aveva rinunciato anche al corso di vice brigadiere per rimanere al fianco del Procuratore Scaglione.

Il 5 maggio del 1971

Antonino conosceva ormai perfettamente le abitudini di Scaglione. Tra queste, una in particolare, che da sei anni accompagnava tutte le sue giornate, da quando il procuratore aveva perso sua moglie Concetta, strappata alla vita da un male incurabile. Da allora, ogni mattina, Scaglione, prima di cominciare la sua giornata di lavoro, si recava al cimitero dei Cappuccini per fare visita alla tomba di sua moglie. Accadde esattamente così anche la mattina del 5 maggio 1971. I due arrivarono al cimitero di buon mattina. Lorusso lasciò che il procuratore si raccogliesse in preghiera per qualche minuto poi lo accolse a bordo dell’auto di servizio per accompagnarlo in Tribunale, lui alla guida, il procuratore sul sedile posteriore. Pochi minuti dopo, l’appuntato imboccò via dei Cipressi, una strada stretta che incrocia un quartiere popolare di Palermo. All’altezza di una strozzatura, l’auto viene affiancata da un’altra vettura. Antonino capisce che qualcosa non va e tenta disperatamente di svincolarsi. I killer però non gli lasciano scampo. Costringono l’appuntato a fermarsi e scaricano su Lorusso e Scaglione decine di colpi di pistola e mitraglietta. L’agente viene finito con un colpo di rivoltella. Ha 42 anni. Sua moglie ne aveva all’epoca 33. I suoi figli, Felice e Salvatore, rispettivamente 8 e 2. 

La telefonata che lancia l’allarme arriva alla Questura di Palermo intorno alle 10.55. La chiamata segnala la presenza, all’altezza del civico 242 di via dei Cipressi, di una macchina ferma al centro della strada con a bordo due morti. I soccorsi scattano immediatamente. Tra i primi ad arrivare sul posto c’è il Generale dei Carabinieri Angelo Campanella. Il destino vuole che ad accompagnarlo ci sia il giovane appuntato dell’Arma Rocco Lorusso. Rocco è il fratello di Antonino. È lui a scoprire, una volta arrivato sul luogo del delitto, che una delle due vittime è proprio suo fratello. 

Vicenda giudiziaria

L’agguato mortale ai danni del procuratore Scaglione suscita profondo scalpore. In una Sicilia che fa ancora fatica a riconoscere l’esistenza della mafia, quello di Scaglione è il primo omicidio di un procuratore, un tutore della legge in prima linea nella guerra alla criminalità organizzata. Un cambio di strategia che apre una fase nuova, con la quale Cosa nostra sceglie di alzare il livello dello scontro con lo Stato e i poteri costituzionali. Le indagini che seguirono l’omicidio sono state lunghe e articolate. E tuttavia, nonostante le numerose piste battute dagli inquirenti, ancora oggi sono sconosciuti autori e mandanti di questo duplice omicidio. Nel corso degli anni, sul delitto hanno fornito dichiarazioni anche diversi collaboratori di giustizia, tra cui in particolare Tommaso Buscetta e Antonino Calderone, riconducendo l’omicidio a Luciano Liggio, Totò Riina e Pippo Calò e legandolo ad alcuni dei più grandi misteri della storia repubblicana, tra i quali il famigerato Golpe Borghese del 1970. Tuttavia, nel gennaio del 1991, il giudice istruttore di Genova Dino Di Mattei, che si occupava delle indagini, dichiarò di non doversi procedere nei confronti dei presunti responsabili dell'omicidio del procuratore Scaglione in quanto «non è stato possibile individuare nei confronti di questi imputati gli elementi convincenti di accusa, come ad esempio il rinvenimento delle armi usate o testimonianze dirette, che giustifichino il passaggio alla fase dibattimentale». Nessun colpevole, nessuna giustizia, nessuna verità.

Memoria viva

La memoria dell’appuntato Lorusso vive oggi nella testimonianza dei suoi cari e nel ricordo collettivo di una città che non lo ha dimenticato, collocando una lapide sul luogo dell'omicidio, intitolandogli una via cittadina, piantando un albero a lui dedicato con una targa commemorativa all'interno del Giardino della Memoria e raffigurandolo in un mosaico fotografico affisso nella facciata principale del Tribunale. Nel 2017, a Lorusso è stata inoltre intitolata la casa circondariale di Palermo Pagliarelli. Dall’altro lato d’Italia, a Genova, la memoria di Antonio Lorusso e a Pietro Scaglione è diventata impegno concreto nella lotta alla cultura mafiosa del Presidio di Libera a loro dedicato. 

La mattina di quel 5 maggio mio padre, come faceva di solito, accompagnò mio fratello a scuola, quel giorno impegnato nella sua prima gita scolastica, per poi recarsi in servizio. Mia madre era a casa e mentre mi dava da mangiare, apprese da sola della terribile notizia dalla radio ascoltando il Gazzettino; emise un terribile grido. Passati diversi anni e io diventato grande, un condomino parlandomi di mio padre e di quanto accaduto mi disse "ricordando quel terribile giorno, sento ancora tremare il palazzo per quelle grida di tua madre”. Da quell'urlo è cambiata la vita della nostra famiglia. Mio padre era un fedele servitore dello Stato, un uomo semplice che ha sempre indossato una divisa e per fare il suo dovere ha pagato con la vita un debito mai contratto aprendo, purtroppo, la tragica lista degli uomini di scorta assassinati insieme a coloro che difendevano. A noi familiari, invece, è toccato convivere con sentimenti di angoscia, rabbia, sconforto e anche tanto altro e in più, almeno nel nostro caso, all'amarezza legata alla circostanza che nessun colpevole ha mai pagato per questo omicidio.
Non è facile raccontare e far comprendere come realmente si è affrontata la vita dopo quanto accaduto, le difficoltà riscontrate, la solitudine che si avvertiva nonostante tanta gente ti potesse stare attorno e, sebbene tutti questi anni ormai trascorsi, ancora oggi poco è cambiato e potrà cambiare perché una ferita del genere non potrà mai rimarginarsi.
Salvatore - figlio di Antonino