27 ottobre 2009
Amelia (TR)

Barbara Corvi

È una storia intricata quella di Barbara Corvi. Una storia su cui, dopo molti anni e nonostante il lavoro degli investigatori e i continui appelli dei familiari, ancora non si è riusciti a fare piena luce.

“Le donne che affiancano questi uomini di ‘ndrangheta devono solo obbedire”. Sono parole nette e chiare quelle del Procuratore capo di Terni, Alberto Liguori. Parole che, a distanza di oltre dieci anni dall’inizio di questa storia, descrivono un “contesto di mentalità mafiosa” e che gettano una luce sinistra sulla vicenda di questa giovane donna, scomparsa dalla sua casa di Montecampano, frazione del comune di Amelia, in provincia di Terni, il 27 ottobre del 2009. Da quel giorno di lei non si è avuta più nessuna notizia. 

È una storia intricata quella di Barbara Corvi. Una storia su cui, dopo molti anni e nonostante il lavoro degli investigatori e i continui appelli dei familiari, ancora non si è riusciti a fare piena luce.

È la storia di una donna di 35 anni, sposata e madre di due figli maschi - Salvatore e Giuseppe - che all’epoca dei fatti avevano 19 e 15 anni. Una giovane mamma, dunque, che le foto ritraggono allegra e gioiosa, due grandi occhi scuri e un sorriso pronunciato. Un sorriso che forse però già nascondeva i segni di una sofferenza per una vita che non era stata esattamente quella che aveva sognato quando si era innamorata di Roberto, il padre dei suoi figli.  Aveva appena 15 anni quando si era fidanzata con lui. Poi il matrimonio e il trasferimento dalla Calabria all'Umbria, dove la coppia gestiva due negozi di prodotti per l’agricoltura.

Lo Giudice era il cognome di suo marito e, per chi mastichi un po’ di storia criminale, quello non era affatto un cognome come un altro. La ‘ndrina dei Lo Giudice dominava il rione Santa Caterina di Reggio Calabria e negli anni era stata tra le principiali protagoniste della sanguinosa seconda guerra di ‘ndrangheta, scoppiata tra il 1985 e il 1991. Tredici fratelli in tutto, figli del capobastone Giuseppe Lo Giudice, freddato in un agguato il 14 giugno 1990 ad Acilia, in provincia di Roma, dove abitava in regime di soggiorno obbligato. Roberto era uno di quei tredici fratelli. La sua, una di quelle famiglie in cui la cultura arcaica della mafia calabrese, basata su un perverso senso dell’onore, non ammette deroghe. Ed è proprio questa cultura arcaica e malata la chiave di volta per comprendere la tragica storia di questa giovane donna.

La scomparsa di Barbara

I giorni cruciali in cui si consuma il mistero della scomparsa di Barbara sono quelli sul finire del mese di ottobre del 2009. Sono giorni convulsi e difficili, nei quali il clima tra Barbara e suo marito Roberto si fa drammaticamente teso. Roberto ha il sospetto che sua moglie abbia intrapreso una relazione extraconiugale con un altro uomo. Si chiama Carlo e sarà lui a lanciare per primo l’allarme dopo la misteriosa scomparsa di Barbara, affermando di aver lui stesso rivelato a Roberto la notizia della sua relazione con lei.In quei giorni la situazione precipita fino a quel maledetto martedì 27 ottobre.

La coppia quel giorno era andata a pranzo a casa dei genitori di lei. Roberto, armeggiando col cellulare di sua moglie, aveva scoperto, poche ore prima, che lei non aveva interrotto quella storia, nonostante avesse promesso di farlo.

Barbara è costretta ad ammettere tutto davanti all’intera famiglia. Roberto si infuria, afferra il cellulare di Barbara e lo sfascia lanciandolo a terra. È un vero e proprio processo, che ha evidentemente l’obiettivo di mortificare la donna e costringerla a giustificarsi e a tornare sui suoi passi.

Ma per Barbara non è facile. Si sente oppressa, soffocata, imprigionata. Forse sogna una vita nuova, più libera, più serena. I due tornano a casa. Di lì a poco avrebbero dovuto incontrare il commercialista.

Intorno alle 17.30 l’uomo raggiunge il negozio di famiglia e sostiene di avere accompagnato e lasciato a casa sua moglie. Secondo il suo racconto, Barbara non si sentiva bene e per questo avrebbe preferito restare a casa. Ma Roberto, stando alla ricostruzione dei familiari di Barbara, era vistosamente agitato e nervoso. Sta di fatto che all’appuntamento con il commercialista la donna non si è mai presentata. E che quando, intorno alle 19.00, sua sorella Irene raggiunge la casa di Montecampano, Barbara non c’è. In casa ci sono la sua borsa, i suoi vestiti, i suoi documenti. Ma di lei nemmeno l’ombra. Di questa giovane mamma di 35 anni non si saprà più nulla. 

Vicenda giudiziaria

Qualche giorno dopo, a Montecampano arriva una cartolina da Firenze. “Sto bene, ho bisogno di stare un po’ da sola. Baci, mamma”. La perizia calligrafica alla quale gli investigatori sottopongono quelle poche righe dice che la grafia utilizzata per vergare la cartolina non è di Barbara e neanche di Carlo. Forse è un tentativo di depistaggio, un modo per sviare le indagini e convincere familiari e investigatori che la spiegazione di quella scomparsa era veramente la decisione di Barbara di allontanarsi volontariamente.

Ma molte cose non tornano in questa storia. Una su tutte, l’estrema e drammatica somiglianza di questa vicenda con quella di un’altra giovane donna, Angela Costantino, moglie di un altro fratello Lo Giudice, Pietro, sparita per sempre nel 1994 dalla sua casa di Reggio Calabria. Le indagini appureranno, molti anni dopo, che Angela era stata strangolata in casa e fatta sparire per sempre. Una punizione inflitta dalla famiglia di suo marito per la decisione della donna di intraprendere una relazione con un altro uomo, di cui era peraltro rimasta incinta, mentre suo marito era in carcere.  

Roberto si ostina a portare avanti la tesi dell’allentamento volontario, provando a convincere gli investigatori che sua moglie ha abbandonato casa e figli senza più dare notizia di sé.

Della vicenda, su segnalazione dei familiari di Barbara, comincia ad occuparsi la trasmissione televisiva Chi l’ha visto? che accende i riflettori sul mistero della scomparsa della donna. Le indagini però non riescono a raccogliere elementi utili. E così nel 2014, a cinque anni dalla scomparsa, il fascicolo con l'ipotesi di reato di sequestro per la scomparsa di Barbara viene archiviato dalla Procura di Terni.

La famiglia Corvi però non si ferma e continua a chiedere verità e giustizia. Nel febbraio del 2020, ancora attraverso la nota trasmissione Rai che si occupa di persone scomparse, le sorelle di Barbara chiedono la riapertura delle indagini. Cosa che, sulla spinta anche di alcune dichiarazioni rilasciate da un collaboratore di giustizia, accade pochi mesi dopo. A settembre si diffonde la notizia dell’indagine a carico di Roberto e di suo fratello Maurizio. Le ipotesi di reato sono pesantissime: omicidio volontario premeditato e occultamento o soppressione di cadavere.

Il 3 marzo del 2021 i Carabinieri di Terni danno esecuzione ad un’ordinanza di carcerazione per Roberto, mentre Maurizio rimane indagato a piede libero. Secondo alcune notizie, gli inquirenti sarebbero in possesso di un’intercettazione ambientale: il corpo della donna sarebbe stato fatto sciogliere nell’acido. Eppure, il 22 aprile, Roberto torna libero. Il Tribunale del Riesame di Perugia accoglie infatti l’istanza dei legali dell’uomo e annulla l'ordinanza di custodia cautelare. Il mistero della scomparsa di Barbara Corvi è ancora da svelare. 

Memoria viva

Il 21 marzo 2021, per la prima volta, il nome di Barbara è stato letto in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. I suoi familiari hanno sentito quel nome pronunciato insieme a quelle delle altre oltre 1000 vittime della violenza mafiosa:

Da una parte siamo contenti, abbiamo fiducia che questo possa dare un nuovo impulso alle indagini e che si possa finalmente arrivare alla verità dopo tutti questi anni; dall’altra vi è la perdita di quel filo di speranza che resta sempre nel cuore di chi vede scomparire una persona cara senza più notizie. Naturalmente tutto porta a pensare al peggio; ma non avendo avuto finora delle prove certe sulla sua morte, dentro di noi resta sempre un piccolo barlume di speranza. (Quella del 21 marzo, ndr) sarà una delle tante giornate che viviamo da quel giorno di ottobre del 2009; parliamo sempre di Barbara, ci piace ricordarla, lei rimane sempre tra di noi anche se non c’è più. Il dolore più grande è sicuramente quello vissuto dei nostri genitori, che vivono la tremenda esperienza di una scomparsa che lascia pur sempre una debole speranza
Monica - sorella di Barbara

Libera, in questi anni, è stata accanto ai familiari di Barbara, chiedendo a gran voce che si facesse luce sulla vicenda e sulle responsabilità per sua scomparsa e il suo omicidio. Omicidio, sì, perché, come ha dichiarato sua sorella Monica, tutto purtroppo lascia pensare a questo. Come Angela, anche Barbara sarebbe stata punita per essersi ribellata alla cultura mafiosa secondo la quale “le donne che affiancano questi uomini di ‘ndrangheta devono solo obbedire”.

Il 25 novembre del 2013 ad Amelia si è costituito il Comitato Barbara Corvi, cittadini e associazioni che hanno deciso di affiancare la famiglia di Barbara nella loro richiesta di verità e giustizia.

Il 16 luglio 2021 l'Osservatorio regionale sulla criminalità in Umbria ha lanciato la campagna "Verità ora per Barbara Corvi" per ribadire con forza l'importanza di continuare a cercare la verità sulla scomparsa della donna.