Il delitto Carnicella, storia di un sindaco assassinato dalla mafia
Classe II A Cat dell’Itet “G.Salvemini” di Molfetta
La mafia. Sì, siamo abituati a sentir parlare di questo fenomeno come di qualcosa di “lontano”, come se non possa toccarci. Ma la mafia non è affatto lontana, anzi è molto vicina a noi! Ci sono molte vittime innocenti di mafia in Puglia e tra queste c’è Gianni Carnicella. Sono passati ormai quasi 30 anni da quando è stato ucciso. Siamo nel 1992, a pochi mesi di distanza dal 23 maggio e dalla “Strage di Capaci” e anche a Molfetta, una città pugliese in provincia di Bari, accade qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato: Gianni Carnicella, il sindaco, viene ucciso ai piedi della chiesa San Bernardino, precisamente il 7 luglio del 1992.
Ma facciamo un passo indietro. Gianni Carnicella era stato scelto come sindaco di Molfetta solo nel febbraio del 1992, era in carica da soli 5 mesi, ma già tanto aveva fatto per bloccare quei processi degenerativi della società molfettese. In quegli anni (fine anni ‘80 e primi anni ‘90) Molfetta era una piazza di “spaccio” per tutto il sud Italia, come ci ha raccontato la prof.ssa Marta Palombella, all’epoca consigliera comunale e amica del Sindaco.
(...) Dell’idea di governo ho un concetto preciso e si coniuga con l’efficienza e il rigore, non col clamore...è il mio modo di onorare la funzione che mi è stata affidata e la fiducia che in me è stata riposta.
Carnicella voleva che sulla mafia e il malaffare vincesse la legalità, l’onestà e la giustizia, così da far tornare Molfetta una città “tranquilla”. E invece, quel 7 luglio 1992, intorno alle ore 14:30, è stato raggiunto da un colpo di fucile a canne mozze nei pressi di quello che era il palazzo comunale all’epoca dei fatti ovvero sulla scalinata della Chiesa San Bernardino di Molfetta, perché aveva detto “No!”.
Questi i fatti ricostruiti dalla Corte di Assise di Trani che l’anno dopo dichiarò colpevole di omicidio il signor Brattoli Cristoforo. (...) Cristoforo Brattoli, soprannominato Piedone, era un “imprenditore” che con la sua società “PALCOSCENICI SUD” in quegli anni aveva ottenuto spesso l’affidamento per l’allestimento di palchi e transenne in occasione di feste e manifestazioni, anche dal Comune di Molfetta. Brattoli stava tentando il “salto” nel mondo dello show business e stava organizzando un concerto di un noto cantante neomelodico, Nino D’Angelo per il 18 Luglio. Il concerto avrebbe attirato molti spettatori e, molto probabilmente, molti malavitosi della zona. Come ci ha spiegato la prof.ssa Marta Palombella da noi intervistata, a Molfetta non c’era e non c’è ancora oggi un luogo adatto ad ospitare un evento con un numero così alto di spettatori: non era il luogo adatto il Seminario Regionale e non lo era neanche lo Stadio Poli, campo sportivo comunale.
Sin dall’inizio Carnicella era stato inflessibile col suo “No!”, ma Brattoli per vari giorni aveva continuato ad insistere fino a quel caldo pomeriggio del 7 luglio. Per l’ennesima volta quel giorno Piedone si recò al Comune richiedendo urgentemente di poter parlare con il primo cittadino, ma la sua richiesta non fu accettata. Brattoli rimase tutto il giorno dinanzi alla sede comunale e nel pomeriggio, dopo aver ricevuto un ultimo rifiuto da parte del sindaco Carnicella, prese dalla sua autovettura, un’ Opel Ascona, un fucile a canne mozze e gli sparò al fianco.
Un delitto atroce. Assurdo. Sproporzionato (se mai ci può essere proporzione quando uno dei due termini del rapporto è la vita umana) nel movente e nell'esecuzione. E la città che rimane sgomenta mentre si ripercorre all'indietro la sua storia, e vede per la prima volta le pagine della sua civilissima vicenda millenaria macchiate da un così funesto sfregio di sangue.
Ma chi ha sparato non è un mostro, e neppure un pazzo e forse neppure un criminale nel senso classico del termine. Non è un mostro, è un “nostro! Ecco perché quel fucile a canne mozze apre un discorso alla cui logica nessuno di noi può sottrarsi dichiarando ipocritamente la sua estraneità.
(...) Carnicella, primo sindaco ucciso “nell’esercizio delle sue funzioni”, è morto semplicemente per aver fatto rispettare le regole, per la sicurezza stessa dei tanti che avrebbero partecipato a quel concerto. Gianni Carnicella è morto per tutte quelle persone che di fronte a infrazioni del genere hanno girato il viso dall’altra parte ed hanno fatto finta di non vedere. L’indifferenza, l’omertà, il silenzio sono atteggiamenti che vanno sconfitti per il bene di tutti, delle nuove generazioni e della società in cui viviamo.
Per non dimenticare “non un martire, non un eroe”, come disse il vescovo don Tonino, ma semplicemente “un servo della città, alle cui leggi non ha voluto disobbedire” il 7 luglio 1993 è stata posta una fioriera, creata e forgiata gratuitamente dall’Architetto Franco Arbore sulla scalinata della Chiesa di San Bernardino, nel punto in cui fu ucciso. Le nuove generazioni conoscono il suo nome grazie al fatto che a lui sono state intitolate l’aula consiliare, una via della Città, una sede comunale, una scuola elementare. Il 7 luglio 2018 il presidio locale di Libera, intitolato a Carnicella, ha fatto apporre ai piedi della fioriera, una pietra d’inciampo che ricorda il suo sacrificio in nome della legalità, con su scritte le parole pronunciate da don Tonino Bello durante l’omelia:
Resta la consolazione che a cadere sia stato un uomo onesto, un amministratore coraggioso che stava dando chiari segni di inversione di marcia su certe arroganze consolidate.
In allegato la versione integrale dell'inchiesta "Il delitto Carnicella. Per non dimenticare il coraggio e la paura" a cura della Classe II A Cat dell’Itet “G. Salvemini” di Molfetta, classificatasi al secondo posto del Concorso nazionale "Premio Libero Grassi"