Parole di memoria

Il ricordo di Nunzio Pandolfi

Il ricordo di Nunzio Pandolfi

di Mariano Di Palma

Nunzio, figlio mio. Nunzio, anche tu, proprio tu, così piccolo. Nunzio, che non sai neanche ancora pronunciarlo il tuo nome. Nunzio, che per farti capire usi ancora le dita per indicare e i lamenti per spiegare. Nunzio, che non hai potuto gridare “aiuto”, “fermatevi” “vi prego”, “smettetela con questa crudeltà”. Nunzio, che dal carrozzino guardi la chiesa di San Vincenzo O’ Munacone e rimani estasiato dalla sua bellezza antica. Nunzio, che tra le braccia di tua madre, guardi il Ponte della Sanità come se avessi una montagna gialla di tufo sopra la testa. Nunzio, che già impazzisci per il profumo del basilico fresco sulla pizza, per l’odore di frittura che si alza dalla tarda mattinata fino a sera. Nunzio, che a volte piangi spaventato per l’incessante rumore di clacson di auto e motorini e che a volte, invece, ridi a crepapelle per il loro roboante schizzare su e giù nei vicoli e nei “vicarielli”. Nunzio, la vita ti stupisce e guai se non fosse così. Ti stupiscono i colori dei mercati e dei condomini sgargianti e sgangherati, la maestosità del palazzo dello Spagnuolo, il mistero del Cimitero delle Fontanelle, il segreto nascosto delle Catacombe di San Gennaro. Le voci e le urla sono melodia di notte e musica al risveglio in questa città infinita che non dorme mai e non smette mai di parlare, cantare, cincischiare sulla vita, sulle miserie e sulle giornate di sole. 
Nunzio, che hai appena iniziato a camminare, a muovere i primi passi per strada e di certo non puoi correre, scappare, fuggire e nasconderti da nessuna parte. Nunzio, che hai solo due anni e che non hai alcuna colpa su questa assurda guerra per il denaro e per il potere, chiamata camorra.
Quale colpa, poi, sarebbe così grande da giustificare la morte per mano di un altro uomo? Nessuna Nunzio, non esiste alcuna colpa o ragione, soprattutto per un piccolino come te. 
Nunzio, figlio mio, quanta ingiustizia, quanta violenza questa guerra maledetta. Uomini contro altri uomini assetati di potere e di controllo; clan che giocano a controllare porzioni di territorio per vendere la droga e fare i affari illegali. Tu non puoi saperlo Nunzio, ma è il 1990. Il Napoli ha vinto il suo secondo scudetto diciannove giorni prima del giorno in cui dei killer sono piombati nel quartiere per uccidere tuo padre, autista del clan Giugliano, mentre ti teneva in braccio. Che peccato Nunzio, non poterti portare neanche una volta con noi allo stadio: “na festa esagerata” per tutta la città il giorno dello scudetto. Il “pallone” qui non è semplice tifo sportivo: è un movimento popolare dell’inconscio, fatto dalla gioia e dal riscatto di chi si è visto per secoli dominato da francesi, inglesi e spagnoli e ora, invece, se la può giocare contro tutti su un campo regolamentare, rappresentato da undici uomini in maglia azzurra. Una sensazione inspiegabile agli altri, Nunzio, ma per noi è così: vedere il Napoli superare le squadre del Nord Italia è stato un orgoglio che non si può spiegare. Ci hanno chiamato colerosi, hanno invocato lo scoppio del Vesuvio, ma noi non gli abbiamo fatto vedere la palla manco per sbaglio, come per magia. E so’ soddisfazioni. 
Purtroppo Nunzio, la vittoria dello scudetto non ha donato pace alla città. Le notti festanti, gli stendardi e i tricolori non hanno fermato le piazze di spaccio, gli interessi e gli affari dei clan, la loro rivalità, la loro violenza. E tu, Nunzio, che hai appena iniziato ad affacciarti alla vita in una città festante, paghi il prezzo di questa follia criminale. Nunzio, lo so, come si può pensare di morire tra le braccia del proprio papà? Eppure qui, a Napoli, si può. Si può perché questa guerra è fatta di vendette e crudeltà e le pedine che cadono sullo scacchiere degli affari criminali muoiono per davvero. Nuove alleanze contro vecchie si fronteggiano dentro e fuori la città; clan e famiglie in una guerra sotterranea che sembra non finire mai. E dentro ci sei finito tu. Le colpe e le pene di tuo padre dovevano essere  giudicate dalla Legge, non con le condanne a morte di gruppi criminali rivali. Per colpa di questo conflitto hai perso la vita tu, mentre eri tra le sue braccia appena tornato a casa dopo giorni in ospedale, un giorno di festa per la famiglia. 
E di te, Nunzio, chi si ricorderà? Chi lotterà in nome del tuo futuro spezzato? Chi farà in modo che altro sangue non sia più versato e che i bambini e giovani di Napoli possano avere un futuro dignitoso, felice, senza più paura? Tu, figlio di questa terra, come tutte le migliaia di donne e uomini che vivono nel gorgo delle mie stradine, non puoi essere dimenticato. 
E io che sono il tuo quartiere, una delle madri antiche di questa città; che non smetto di versare lacrime salate come il mare della nostra città, non ti dimentico. C’è una Napoli che non dimentica, che si impegna, che resiste; una Napoli che cammina per le strade a testa alta ed è la maggioranza. Sono gli altri  ad essere solo una minoranza violenta. Va trovato il coraggio collettivo per debellare questo virus. A loro, consegno la tua memoria, Nunzio; perché di questa Primavera del 1990 ci si ricordi di te, e non solo dello scudetto vinto in una straordinaria domenica di fine aprile; chè da quella memoria nasca l’impegno per disarmare le camorre, chè nessuna vita sia più spezzata, chè nessun bambino sia più vittima innocente.