Ricordo di Antonio Zàngara per suo papà
Oggi ricorre il 35° anniversario della tentata strage dell’8 ottobre 1983, si una strage perché non fu solo mio padre Salvatore Zàngara ad essere coinvolto, ma altre 2 persone rimasero gravemente ferite, (Salvatore Giambanco e Francesco Lo Bello anche loro assolutamente estranei agli affari mafiosi). In una piazza gremita di persone i killer non esitarono a sparare nel mucchio, gruppetti di persone facevano involontariamente da scudo, cercando di colpire il boss Procopio Di Maggio e il figlio Giuseppe.
35° anniversario cifra tonda, che nel più classico dei luoghi comuni va ricordato in maniera solenne, ma oggi più che mai non intendo commemorare quel maledetto giorno che ha stravolto la vita a me, ai miei due fratelli e a mia madre, in un Comune, quello di Cinisi, che nulla fa per ricordare quel triste giorno per l’intera comunità, che ha imparato a ricordare uno dei più illustri eroi del contrasto alle mafie, il compaesano Peppino Impastato, solo dopo il successo del film di Marco Tullio Giordana, Comune che ospita dentro Casa Badalamenti (Bene confiscato) una nipote di don Tano invitata a presentare il proprio libro dall’evocativo titolo “Sono nata Badalamenti”, ma che rimane in silenzio alla richiesta di alcuni consiglieri di ricordare Salvatore Zàngara nel giorno del suo vile assassinio.
Spesso ci emozioniamo, ci commoviamo quando ascoltiamo storie di bambini uccisi dalla mafia, di bambini, che se pur appartenessero a famiglie colluse, non potrebbero che essere innocenti per definizione.
Può, invece, capitare che sfugga l’idea che dietro il nome di una vittima adulta c’è una madre, un padre, una famiglia, ci sono bambini a cui verrà tolto per sempre un genitore, colui che ti prende in braccio e ti insegna a ridere, risate che non saranno più le stesse; continua a farmi compagnia il rumore del tuo silenzio, la presenza ingombrante del vuoto.
L’8 ottobre a Cinisi non viene ricordato neppure dai familiari dei feriti, mi piacerebbe sentire la loro storia come hanno vissuto quel maledetto giorno, ma nulla, il complice oblio vuole silenzio.
Ma io fin che potrò, finché avrò fiato in gola, renderò viva la memoria di quel giorno, non mi risparmierò a raccontare di come un uomo onesto, un professionista, un dirigente politico, un padre che, per quel troppo breve tempo vissuto assieme, ha fatto di me ciò che sono oggi, muore ucciso dalla mafia.
Per questo omicidio mai un processo, il caso viene immediatamente archiviato, ignoti sparano ai danni di Procopio Di Maggio e del figlio Giuseppe restando, questi ultimi, illesi e rispondendo al fuoco mettendo in fuga gli aggressori.
L’unico atto giudiziario in cui si parla della strage dell’8 ottobre 1983 è una sentenza del Maxi processo bis (Sentenza di primo grado relativa al proc. pen. 2234/86 R.G.U.I. Maxi 2) che vede come protagonista Procopio Di Maggio, nella quale si descrive l’attentato e la conferma che l’ignara vittima, Salvatore Zàngara, era assolutamente estranea agli affari mafiosi, al pari delle persone che lo accompagnavano e che erano rimaste ferite nella medesima occasione.
Oggi dopo 35 anni il mio desiderio di giustizia è ancora più forte, confido in uno dei tanti testimoni oculari che quella sera affollavano la piazza, che hanno visto il volto di chi ha esploso i colpi mortali, confido nella gente onesta che si ribella al sonno delle coscienze, confido in chi non si rassegna alle ingiustizie, confido in chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza, confido su quella verità che ancora oggi gira per le strade del mio amato paese.
Antonino Zangara