10 Maggio, Dia de las Madres, giornata dedicata a tutte le mamme
Intervista a Yolanda Moran Isais, madre e attivista di Fundem che lotta per i desaparecidos
Cara Yolanda, in occasione del Dia de las Madres, giornata dedicata a tutte le mamme, vogliamo chiederti di raccontare la tua storia di madre impegnata con altre decine di madri in Messico nella ricerca di tuo figlio, Dan Jeremeel, scomparso 9 anni fa.
Tutto è cominciato il 19 dicembre del 2008. Vivevo a Città del Messico e per le vacanze di Natale decisi di andare a Torreón – nello stato di Coahuila - a trovare mio figlio Dan Jeremeel e la sua famiglia. Quel giorno mio figlio doveva arrivare alle 23 a prendermi alla stazione, ma non arrivò mai. Al suo posto ad aspettarmi c'erano sua moglie e l'altro mio figlio. Eravamo molto spaventati perché non avevamo sue notizie dalle 4 del pomeriggio. Provammo subito a fare la denuncia di scomparsa, ma alla Procura di Coahuila ci dissero che dovevano passare almeno 72 ore prima di poter procedere. Oggi sappiamo, però, che le prime ore sono le più importanti per poter localizzare una persona desaparecida (scomparsa) e, senza dubbio, queste ore senza poter fare nulla sono state le più tragiche per noi. Dopo 4 giorni, le autorità avevano infatti trovato la macchina di mio figlio: la stava guidando un militare con a bordo altri due complici. Questi, una volta arrestati, non hanno rilasciato nessuna testimonianza e c’è stato solo detto dal procuratore militare che questi uomini dell'esercito 'erano delinquenti nel loro giorno di riposo'. Sono 9 anni che chiedo informazioni alle autorità: nessuno sa niente, nessuno ci aiuta. L’unica cosa che mi è stata detta è che mio figlio 'aveva un problema'. Ci sono molti militari coinvolti nei sequestri, pagati dai cartelli del narcotraffico, che poi vengono uccisi perché non parlino, come hanno fatto con quelli trovati nell’auto di mio figlio. Dopo la loro uccisione ho cambiato città per sicurezza. Da allora ben 18 volte mi hanno minacciato, in vario modo, ma io continuo a non avere né informazioni né mio figlio.
Continuo a vivere con il dolore e l’ansia del non sapere nulla di lui. Io lo cerco vivo, perché lo voglio vivo, non posso dire ai miei nipoti che il loro padre non è vivo. Però questi anni di condivisione con le altre madri che cercano i propri figli mi hanno insegnato che potrebbe anche non esserlo più, perché 9 anni sono tanti. Senza dubbio conservo la mia speranza di poterlo incontrare. Per questo continuiamo a investigare, a cercare informazioni e a sperare.
- Com'è nato il tuo impegno con l'associazione FUNDEC-M? Come si articola il vostro lavoro in rete?
Ricordo che tutto è cominciato grazie ad un incontro in Procura con tre madri che denunciavano la scomparsa dei loro figli: loro mi hanno scambiato per un avvocato, mi hanno chiesto consiglio e io le ho ascoltate, confidando loro che ero una madre 'en busqueda' (alla ricerca) anche io e che le avrei aiutate. Da subito abbiamo iniziato le ricerche dei nostri figli insieme e abbiamo incontrato nel nostro cammino don Raul Vera Lopez, un padre dominicano, che ci ha aiutato e consigliato su come iniziare a creare una rete di familiari e di madres per la ricerca dei nostri figli scomparsi. Con il passare del tempo il numero dei familiari che si univano a questa ricerca cresceva sempre più: da 4 madri ci siamo ritrovati in 33 famiglie, già dopo un anno siamo arrivati a 85 famiglie. Ora siamo più di 604 famiglie che fanno parte della associazione FUNDEC-M: Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Coahuila y México. Il 10 maggio del 2010 abbiamo organizzato la prima 'Marcia della Dignità Nazionale: Madri cercando i propri Figli, Giustizia e Verità' a Città del Messico. In questa data cade infatti la festa nazionale della mamma, giorno molto significativo nel nostro Paese. Noi, però, non avevamo niente da festeggiare. Da quell'anno in poi ogni 10 maggio organizziamo la marcia. I rapimenti e i sequestri infatti sono in aumento e ancora molto frequenti soprattutto al confine con gli Stati Uniti, e in particolare nello Stato di Chihuahua, di Sinaloa, di Sonora, nella Bassa California e nello stato di Tamaulipas.
Come Libera nel 2012 abbiamo lanciato la campagna 'Pace per il Messico, México por la Paz' per denunciare insieme alle associazioni locali della rete ALAS – come FUNDEC-M - la 'guerra invisible' che si sta perpetrando nel Paese dal 2006. Quali sono i danni causati sino ad oggi da questa guerra invisibile in cui sono scomparse più di 33.000 persone innocenti?
Noi la chiamiamo “guerra” perché non esiste un altro conflitto armato né in Argentina, né in Uruguay o in Cile che superi gli atroci numeri messicani di morti e scomparsi, in continua crescita dal 2006 a oggi. In Messico è senza dubbio in corso una guerra interna, una guerra contro i cittadini, con lo scopo di diffondere il terrore e impaurirci, lasciandoci soli e immobili. Questo conflitto danneggia il Messico stesso, non solo i cittadini messicani, ma anche le autorità stesse che non sanno come investigare, come processare i delinquenti, che nel frattempo si arricchiscono e crescono dietro questo sistema corrotto. E’ un sistema dove la semplice denuncia è mal vista e sappiamo che l’impossibilità di sviluppare un sistema efficace di contrasto alla violenza criminale si deve alla corruzione che si è infiltrata in tutti i livelli dello Stato messicano, anche nel settore imprenditoriale. E’ un paese meraviglioso che è stato rovinato dai suoi stessi leader, i quali sono parte integrante dei traffici di droga, e non solo, tanto che trattano i cartelli della droga come dei qualsiasi cartello commerciale.
- Come donna, come madre e come nonna cosa cerchi di trasmettere ai tuoi cari per condividere la tua lotta di Verità e Giustizia per Dan Jeremeel?
Mio figlio Dan Jeremeel ha cinque figli, il più piccolo aveva 2 anni quando lui è scomparso e oggi ha 11 anni. Tutti gli orfani, tutti coloro che non hanno più un padre, tutti i figli, le spose, i genitori, i fratelli, tutti, emotivamente siamo distrutti. Come dico sempre, il tessuto sociale messicano è ormai 'offeso a morte' perché definiscono i nostri familiari scomparsi dei criminali, uccidendoli due volte. Chi sono le nostre famiglie ora? Le nostre famiglie ora sono tutte le mamme e i figli dei desaparecidos, loro ora sono la nostra famiglia. La nostra vita è cambiata. Deve esserci una risposta alla sparizione di mio figlio, e questo vale per tutte le case e le famiglie dove c’è un desaparecido. Ora,in queste famiglie non c’è più nessuna sicurezza, che sia in ambito economico, affettivo, dell’immagine paterna. l presidente Calderón, che ha iniziato questa guerra contro il narcotraffico nel 2006, ha chiamato i figli e le spose dei desaparacidos “danni collaterali”. Ma tutti abbiamo un nome, siamo esseri umani e questa definizione conferisce un vuoto, come qualcosa di cui non importa a nessuno. Non esiste una strategia per proteggere questa gente, nessun sostentamento statale. Dobbiamo lavorare perché questo si realizzi. All’inizio non volevo che gli altri miei figli mi aiutassero a cercare Dan, perché avevo paura del crimine organizzato e ancora più dei militari e delle autorità, ma col tempo l'ho fatto. Soprattutto ora che vedo che la maggior parte delle madri si sono ammalate, e so che potrebbe accadere anche a me. Io provo a essere più forte possibile, però ci sono molte madri che se ne sono andate senza avere nessuna notizia dei loro figli e noi abbiamo continuato questa staffetta, promettendo che avremmo trovato i loro figli. Questa promessa la manterremo. Credo che abbiamo creato davvero una grande famiglia: capiamo il grande dolore che ci pervade e mentre né gli amici di mio figlio né i vicini mi chiedono come sto (per paura spesso di essere coinvolti), queste madri mi sostengono ogni giorno.
- Quali sono le tue speranze per il futuro?
Ai miei nipoti ho promesso di cercare il loro padre con tutte le mie forze e che con tutte le mie forze lo troverò vivo e lo voglio vivo. Sappiamo che esistono campi segreti di lavoro forzato per esempio, dove potrebbe essere mio figlio. Purtroppo non ho ancora avuto la fortuna di incontrarlo né vivo né non-vivo. Non voglio pronunciare l’altra parola, perché io vivo di speranza per incontrarlo, come tutte le altre madri. Noi continuiamo a lavorare per il ricordo e per la memoria, perché abbiamo la speranza che arrivi la pace e vogliamo soprattutto che ciò non si ripeta per nessuna madre del mondo.
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