21 febbraio 2018

Jan Kuciak

Jan Kuciak aveva ricostruito gli affari della 'ndrangheta in Slovacchia, con "tentacoli così lunghi da arrivare alla politica". La mafia e la politica corrotta hanno avuto paura delle sue parole

Giornalista investigativo appassionato e determinato, Jan Kuciak scriveva per Aktuality.sk, il coraggioso giornale online diretto da Péter Bardy. Allo stesso tempo, collaborava con varie piattaforme giornalistiche tra le quali il Czech-Center for Investigative journalism, il consorzio italiano di giornalisti investigativi Investigative reporting project Italy (Irpi) e il network internazionale Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp).

Così come Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa nell’ottobre del 2017, anche Kuciak aveva indagato sui Panama Papers, i dossier sulle società offshore che svelavano i nomi di manager e azionisti che le possedevano. Successivamente Jan si era concentrato sulla figura dell’oligarca Márian Kocner, sospettato di corruzione e di avere rapporti con alti esponenti politici del Paese, e in particolare con il premier socialista-sovranista e autocratico Robert Fico. Dalle prove raccolte da Kuciak, Kocner avrebbe venduto fittiziamente appartamenti per frodare la legge nazionale in materia di Iva e, per farlo, si sarebbe servito di legami con la criminalità organizzata, con alcuni membri della politica, della polizia e della magistratura slovacche.

Proprio contro Kocner, Kuciak si era scagliato su Facebook, raccontando di aver sporto denuncia perché era stato minacciato: “Troverò prove su di te e sulla tua famiglia: tutti hanno uno scheletro nell'armadio”, aveva detto l'oligarca al cronista. Jan lo aveva denunciato, ma la polizia non prese nessun provvedimento.

Non ci è mai venuto in mente, nemmeno nel peggior incubo, che qualcosa del genere sarebbe accaduto in Slovacchia. Dopo le minacce di Kocner, eravamo preoccupati, ma Jan non voleva che avessimo paura e ci rassicurava sempre che non gli sarebbe potuto succedere nulla.

Sulla scia dell’inchiesta su Kocner, Jan aveva dato voce al sospetto che alcuni imprenditori italiani, tra cui Antonio Vadalà, risultato vicino al crimine organizzato e che vantava conoscenze di alto livello nelle istituzioni slovacche, avessero cominciato a fare affari, finanziandosi coi fondi europei di cui la Slovacchia era beneficiaria.

A fare gola a quella che il procuratore generale Jaromír Cižnár ha definito “mafia dell’agricoltura”, in collegamento con i “colletti bianchi”, attivi sia nel settore pubblico che in quello privato, sono i terreni agricoli della Slovacchia orientale, divenuti il terminale delle false attestazioni per il rilascio dei contributi europei, e oggetto di remunerative speculazioni edilizie. Dentro questo contorto sistema a metà strada tra modernità ed arcaismo, a soffrire sono i contadini che vengono picchiati, vedono i loro raccolti bruciati e le loro famiglie intimidite. 

Jan non poteva sopportare che il suo Paese si macchiasse d’odio e di sangue, così scavava per cercare la verità. E scriveva. Aveva trovato le tracce del legame tra uomini d’affari sporchi e politici slovacchi come Jasa, esponente del partito SMER-SD al governo nel 2018, seguendo le loro attività commerciali. Proprio Antonio Vadalà ed altri colleghi avevano rilevato una società di sicurezza privata, Prodest, di cui Jasa era proprietario. Il cerchio si stringeva sempre di più attorno all’allora primo ministro Fico, a cui Jasa era vicino, e ad alcuni oligarchi come Kocner e risultavano evidenti le irregolarità nelle inchieste di polizia. L’intento del giornalista era quello di dimostrare che i soldi delle loro attività commerciali non provenissero solo dallo Stato e dall’Unione Europea, ma anche dalle cosche calabresi, che sfruttano i business per riciclare denaro proveniente dalla droga e da altri traffici illeciti.

Il giornalista aveva riportato tutto in un articolo, in cui menzionava i nomi e tracciava la storia di alcuni uomini calabresi che avevano fatto fortuna in Slovacchia: Vadalà, Cinnante, Roda e Catroppa.

“La relazione tra Jasa e Vadalà – scrive Kuciack - può essere dimostrata soprattutto nelle attività commerciali. Il politico del partito SMER-SD al governo era proprietario di una società di sicurezza privata, Prodest. Vadalà e i suoi colleghi hanno recentemente rilevato questa azienda. Inoltre, il figlio di Jasa, Slavomír, ha ancora una joint venture con gli italiani, chiamata AVJ Real. Inoltre, quando una delle aziende di Vadalà è fallita di recente, è stato rivelato che Vadalà ha affermato di essere in debito con un servizio di sicurezza privato in cui Jasa e suo figlio Slavomír sono stati coinvolti in passato. Ciò significa che due persone molto vicine ad un uomo venuto in Slovacchia, accusato di avere legami e di essere coinvolto con la mafia italiana, hanno accesso quotidiano al primo ministro della Slovacchia Robert Fico, che le ha scelte personalmente”. Questa è la domanda che più inquietava il giornalista, colpito dal fatto che un imprenditore italiano, vicino alla ‘ndrangheta, potesse vantare conoscenze così ad alto livello nel mondo delle istituzioni slovacche. Gli uomini di cui fa i nomi il reporter hanno cominciato a fare affari facendosi finanziare con i fondi europei, di cui la Slovacchia è beneficiaria. Questa la tesi di Kuciak. Con i piani di sviluppo Ue gli imprenditori italiani hanno fatto buoni affari, fino a diventare nomi noti del panorama imprenditoriale slovacco.

“Antonino Vadalà e Carmine Cinnante non sono i soli ad agire in Slovacchia. Nella parte orientale del paese operano altri quattro rappresentanti della famiglia italiana della Calabria, culla della 'Ndrangheta. Oltre ai Vadalà e ai Cinnantes, ci sono anche le famiglie Roda e Catroppa. L'agricoltura è diventata la loro attività principale in Slovacchia. Possedevano o ancora possiedono dozzine di società. La loro proprietà varia in decine di milioni di euro. Gestiscono centinaia di migliaia di ettari di terra, per i quali ricevono milioni di sussidi, dallo stato e dall’Ue".

Il sospetto del giornalista è che i soldi a quelle aziende, oltre che dallo stato e dalla Ue, arrivino anche dalle cosche calabresi, che utilizzerebbero quei business per fare riciclaggio di denaro che arriva dalla droga e dai traffici illeciti.

La chiusa dell’articolo recita: “nel 2017, i nomi dei familiari di Antonino Vadalà sono comparsi in un mandato di arresto per 18 membri della banda che dovevano contrabbandare centinaia di chilogrammi di cocaina in Europa per la 'Ndrangheta. I Vadalà sono menzionati solo nel mandato di arresto. I dettagli del caso non sono ancora noti”

L’articolo è rimasto una bozza. Jan Luciak non ha mai avuto la possibilità di finirlo.

21 febbraio 2018

La sera del 21 febbraio 2018, Jan Kuciak si trovava nella sua casa di Velká Maca in compagnia della fidanzata Martina Kusnírová. Sente bussare alla porta e apre. Ad attendere c’era Miroslav Marcek, ex militare 37enne, che lo fredda a colpi di pistola. Sentendo gli spari, Martina accorre sul luogo. Marcek uccide anche lei.

Il racconto di Marcek al processo è agghiacciante e fa parte della dichiarazione da lui resa spontaneamente durante la confessione dell’omicidio. “Ho suonato il campanello. Ján Kuciak è venuto subito ad aprirmi la porta. Io avevo la mia pistola in pugno, ho puntato al cuore e gli ho sparato un colpo a bruciapelo. Mi sarei fermato a quel punto, ma, purtroppo, mi sono accorto che in casa era presente anche un'altra persona. Ho udito rumori, i suoi passi. Allora sono entrato, l'ho trovata. Cercava di nascondersi fuggendo in cucina, ho sparato anche a lei”. L’uomo ha proseguito la testimonianza dicendosi addolorato per le famiglie e per il gesto compiuto.

Sono stati uccisi con due colpi di pistola, uno al petto per lui e uno alla testa per la compagna. Vicino ai cadaveri sono stati lasciati alcuni proiettili, un gesto non casuale che secondo gli investigatori sarebbe una "firma" d'avvertimento dei killer.

Vicenda giudiziaria

Nel 2020 Marcek è stato condannato a 25 anni di carcere. Le sue dichiarazioni hanno permesso ai giudici di definire anche il ruolo di Tomáš Szabó, ex investigatore di polizia, che ha pianificato con Marcek l’omicidio e ha fatto da staffetta al killer sul luogo del delitto. Anche lui dovrà scontare 25 anni di carcere.

Sono stati assegnati 15 anni invece al mediatore Zoltán Andruskó, colpevole di aver fornito a Marcek e Szabó informazioni e foto del giornalista. La testimonianza di Andruskó ha permesso ai giudici di raccogliere prove indiziarie a carico di Alena Zuzova, anche lei mediatrice alle dipendenze di Kocner, su cui Jan stava da tempo indagando.

Tuttavia, nel 2021, tanto Kocner quanto la Zuzova sono stati assolti dal Tribunale penale specializzato di Pezinok. Il caso ha portato a proteste diffuse, che hanno provocato prima le dimissioni dell'allora Ministro della Cultura Marek Madaric, e successivamente del Ministro dell'Interno Robert Kalinák. Pochi giorni più tardi anche il primo ministro Robert Fico ha annunciato che si sarebbe dimesso. A questo punto la Corte Suprema slovacca ha annullato l’assoluzione del Tribunale di prima istanza di due imputati, invitando i giudici a riconsiderare le accuse.

A maggio del 2023, nel Tribunale slovacco della città di Pezinok, la giudice Ruzena Sabova ha assolto Kocner per la seconda volta, nonostante fosse ritenuto dai più il vero mandante dell’assassinio di Jan e Martina, asserendo che le prove non erano sufficienti. Per Alena Zuzova, invece, l’accusa è di aver mediato per la commissione dell’omicidio. La pena è stata fissata a 25 anni di detenzione e 160 mila euro da pagare ai familiari delle vittime.

Sebbene Kocner sia attualmente in carcere per altri reati, tra cui la frode fiscale di cui Kuciak lo aveva accusato, i familiari di Jan e Martina non si fermano e continuano senza sosta la loro battaglia per ottenere giustizia. A sostenerli, ci sono tanti esponenti del mondo del giornalismo, della politica e della società civile, come la Rete CHANCE – Civil Hub Against orgaNised Crime in Europe - la rete europea di associazioni promossa da Libera, che continua a chiedere con forza verità e giustizia per Jan e Martina, continuando a fare memoria viva del loro impegno.

Memoria viva

Dopo gli omicidi di Jan Kuciak e Martina Kusnirova, niente è più come prima in Slovacchia: sono state scoperchiate frodi, corruzione, e le pressioni sui piccoli agricoltori delle terre a Ovest della Slovacchia. Questi fatti, che hanno avuto poco risalto dall’opinione pubblica europea, in realtà sono stati documentati da alcune inchieste giornalistiche, come quelle di New York Times e Deutsche Welle, e anche dallo stesso Parlamento Europeo, che grazie al lavoro di una delegazione, ha raccolto numerose prove degli avvenuti abusi dei sussidi previsti dall’UE per lo sviluppo dell’agricoltura.

Dopo l’omicidio di Jan e Martina, la società civile è scesa in piazza reclamando pulizia da ogni corruzione e illegalità. Nel giugno del 2019 si è svolta la “marcia dei trattori” su Bratislava al grido di una richiesta di “ripristinare lo stato di diritto nelle campagne".

Nel nome di Jan è stato fondato il Jan Kuciak Investigative Center (Jkic) grazie al sostegno di suoi amici personali, come la giornalista Pavla Holcova del Czech:

È fondamentale che la gente si interessi all’informazione e ai giornalisti, riconoscendo il valore del buon giornalismo e capendo il potere che l’interesse dei cittadini verso la buona informazione possiede. Non basta una legislazione che ci protegga: importante è che vi sia attenzione alla verità e sostegno al buon giornalismo di inchiesta, come ci ha insegnato Jan e prima ancora Daphne.
Pavla Holcova, giornalista e amica di Jan Kuciak

A novembre 2019, nel nome di Jan Kuciak e Martina Kusnirova è stata indetta la Prima Conferenza Internazionale contro tutte le mafie in Slovacchia, a cui hanno partecipato il Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo d’Italia Federico Cafiero De Raho e il presidente di Libera Luigi Ciotti, che ha esortato l’Europa a promuovere una legge sui beni confiscati per “tagliare i fili tra l’economia illegale e quella pulita”.

A Ján Kuciac e Martina Kusnirova è dedicato il primo Presidio studentesco dell’Alessandrino di Libera.

Non c'è bisogno di monumenti per un ricordo duraturo, è solo necessario che le persone siano più attente a ciò che li circonda, non siano manipolate e cerchino di essere corrette in ogni attività che svolgono.
Jozef Kuciak senior, padre di Jan Kuciak