Domenico Martimucci nasce ad Altamura il 19 agosto del 1988. È il più piccolo di 3 figli, ha due sorelle più grandi, Lea e Maddalena, che lo coccolano continuamente come se fosse il loro bambolotto preferito.
Domenico, chiamato Domi, cresce così tra l’amore della sua famiglia e la sua grande passione; il calcio.
Sin da piccolo il suo gioco preferito è il pallone e la sua famiglia decide di mandarlo subito a scuola calcio. Già dai primi allenamenti, gli allenatori si rendono conto del suo grande talento e decidono di assegnarli la maglia n. 10. Da quel momento quel numero sarà sempre il suo e con il passare del tempo assieme al suo talento cresce anche il desiderio di diventare un calciatore professionista e di poter vivere facendo della sua passione anche il suo lavoro.
Domi ha gli occhi buoni, un grande sorriso e le ginocchia spesso sbucciate a causa di quei continui calci al pallone dati con gli amici per strada, sotto casa. Le saracinesche dei negozi del quartiere dove abita e dove gioca con i compagni sono abituate a trasformarsi in porte di fortuna; i vicini, dapprima contrariati, si sono ormai rassegnati a sentire quel rumore sordo ogni qualvolta Domi segna un goal. Ormai lo ammirano dai loro balconi, osservando stupiti le acrobazie che riesce a fare quando ha un pallone tra i piedi.
Domi, infatti, cresce con il pallone incollato ai piedi, mamma e papà non riescono a toglierglielo neanche quando mangia; lui sta seduto a tavola ma con i piedi palleggia sotto il tavolo, tra le risa di Lea e Maddalena che lo assecondano sempre e lo difendono anche quando fa qualche marachella.
Gli amici della squadra in cui gioca gli attribuiscono un soprannome, quello di Zidane, come il noto campione, e quel soprannome gli calza talmente bene che, nel giro di poco tempo, tutto il paese lo chiamerà così.
Ricordati sempre da quale parte vuoi stare; credi, lotta, vivi e ama!
Passano gli anni e Domi ha una vita straordinariamente normale: tanti amici, la scuola, una famiglia che fa sacrifici per consentirgli di inseguire il suo sogno, i compagni di squadra che lo ammirano per la sua tecnica ma anche per la passione e la tenacia con cui, quotidianamente, si allena. È legatissimo alle sue due sorelle, che nel frattempo si sono sposate e Lea ben presto gli regalerà a gioia di diventare zio. Con la sua nipotina si crea da subito un legame speciale, passano interi pomeriggi insieme a giocare stesi sul pavimento, a scambiarsi facce buffe e sorrisi, a rincorrersi per tutta casa fino poi ad abbracciarsi stretti.
Ma tutta questa normalità verrà spezzata all’improvviso, in un giorno come tanti di marzo.
Una sera come tante
È il 5 marzo del 2015, quella sera si gioca una partita importante, la semifinale di “Coppa Italia” tra Juventus e Fiorentina. Domi è in giro con gli amici che gli chiedono di guardare insieme quella partita, in un locale chiamato Green Table. È una sala giochi e Domenico non c’era mai stato ma i suoi amici insistono “Dai Domi, dove la vediamo sennò?”. Così lui accetta, potranno commentare insieme le giocate di quei campioni, scambiarsi due battute e poi di corsa a casa perché domani lo aspetta un’altra giornata di duro allenamento.
La partita è finita da pochi minuti, il locale è affollato di giovani che giocano, nessuno può immaginare quello che sarebbe successo nei minuti seguenti. Un fortissimo boato, una luce accecante, pezzi di ferro e vetri che volano dappertutto, polvere, panico, tutti iniziano a scappare senza capire cosa sta succedendo. Tutti tranne Domi che è colpito gravemente alla testa da pezzi di metallo e rimane a terra. Le sue condizioni appaiono da subito disperate ma ben altre 8 persone restano ferite, tra questi un giovane rischia di perdere un braccio e un altro resta sfregiato.
In quella sera come tante è esplosa una bomba, fatta piazzare lì dal boss Mario D’Ambrosio; non una semplice bomba. E’ un potentissimo ordigno con quasi un chilo di tritolo, «pari a 20 granate da guerra» ricostruiranno in seguito i PM.
Segue la corsa in ospedale per estrarre un corpo estraneo dal cranio di Domi, che entra in un coma profondo. Seguono ben 11 interventi; parenti, amici e conoscenti si stringono con forza, unione e amore, per offrirgli le migliori cure e per salvargli la vita. Viene così trasferito in una clinica austriaca specializzata in riabilitazione neurologica, ma il suo fisico sportivo non ce la fa. Domi muore il 1° agosto 2015 dopo ben 5 mesi di agonia.
Vicenda giudiziaria
Nel primo grado di giudizio gli imputati sono stati condannati per i reati di omicidio preterintenzionale aggravato, lesioni personali e detenzione di materiale esplosivo, tutti aggravati anche dal metodo mafioso. Mario D'Ambrosio, mandante dell’attentato, è stato condannato a 30 anni di reclusione; Luciano Forte, esecutore materiale, che secondo le indagini accompagnò il sicario sul luogo della strage, è stato condannato a 18 anni. Con la sentenza della Corte d’Appello di Bari c’è stata una rivalutazione del reato e gli imputati sono stati condannati per il reato più grave di omicidio volontario, anziché omicidio preterintenzionale. La decisione è stata impugnata davanti alla Suprema Corte Cassazione, di cui si attende la sentenza. Savino Berardi, esecutore materiale, colui che materialmente ha posizionato l'ordigno, è stato invece condannato, con il rito abbreviato, a 20 anni.
La bomba era un modo per riaccreditarsi da un punto di vista mafioso utilizzando il settore dell’azzardo come luogo attraverso cui questa operazione di riaccreditamento doveva avvenire. Dunque non ci si ferma davanti a niente agendo con modalità plateali, provocando allarme sociale, rafforzando il messaggio omertoso a chi doveva intenderlo. Perfette modalità mafiose.
Memoria viva
NOI SIAMO DOMI è un’associazione che nasce a seguito dell’attentato avvenuto presso la sala giochi “Green Table” in Altamura (BA) il 5 Marzo 2015, in cui perse la vita Domenico. Le finalità dell’associazione sono di aiutare i più bisognosi, lotta alla criminalità e ricerca della legalità, nel nome e nel sorriso di Domi.
A Domi è dedicato un Memorial di calcio che si svolge ogni anno presso il campetto della parrocchia SS. Redentore di Altamura.