Roberto nasce a Roma il 27 luglio del 1960. Si iscrive al Liceo Ginnasio Statale Augusto, dove inizia il suo percorso di impegno politco, collaborando con il collettivo studentesco di estrema sinistra. Si lascia coinvolgere dall'onda dei moti studenteschi degli anni ‘70, e proprio per questo suo passato verrà in seguito soprannominato "il poliziotto comunista" o "il poliziotto con il Manifesto". I suoi sogni di giustizia sociale hanno sempre fatto parte della sua vita, i suoi ideali lo hanno accompagnato anche nelle sue scelte future. Terminati gli studi classici, si arruola nella Polizia di Stato, nel 1980. Si sposa con Monika, da cui ha una figlia.
Nel 1986 si trasferisce alla Criminalpol nella sezione anticamorra, occupandosi in particolare di investigare sul clan Moccia. Le sue indagini arriveranno fino al basso Lazio. Lavorerà poi con la squadra Catturandi di Napoli. E nel 1994 iniziano i suoi primi lavori d’indagine sul clan dei casalesi e il disastro ambientale causato dai loro traffici illeciti. Il commissario Mancini crea una squadra autonoma formata da pochi uomini, ma ben motivati.
Mancini scava con le sue stesse mani per dissotterrare i rifiuti tossici e dimostrare così la fondatezza delle sue accuse, soprattutto nei confronti dell'avvocato Chianese, il "broker" dei rifiuti del clan dei casalesi che gestiva tutto il sistema criminale, mettendo insieme domanda e offerta. Mancini si reca fisicamente sui luoghi segnalati dal collaboratore di giustizia Carmine Schiavone. Gli sversamenti dei rifiuti tossici avvenivano a 20 metri di profondità. Aree in cui si è costruito, si è coltivato e si sono allevati animali.
In un’intervista realizzata da Sandro Ruotolo per lo Speciale Servizio Pubblico Più “Inferno Atomico”, andata in onda il 29 dicembre 2013, Mancini dichiara:
Nel 1996 portammo il pentito Carmine Schiavone in volo sul casertano e individuammo un allevamento di bufale i cui terreni erano contaminati. Sequestrammo cinque siti, a distanza di due ore la camorra ci bloccò la strada che portava in quei luoghi con cumuli di monnezza. Sapevano tutto, erano potentissimi. Interravano i rifiuti a 20 metri, ma i carotaggi sono stati fatti a sette metri, dove c’era solo terra di riporto.
L'informativa, che produce in alcune centinaia di pagine, racconta tutto ciò che aveva scoperto sul traffico illegale di rifiuti e lo sversamento sotto terra. Attraverso intercettazioni, pedinamenti e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, la documentazione raccolta da Mancini svela nel dettaglio i nomi delle aziende del nord coinvolte nel traffico illecito; descrive i rapporti tra camorra, massoneria e politica; anticipa quel sistema criminale che ha portato al biocidio della “Terra dei fuochi”. In quelle carte dei primi anni ‘90 c'era già tutto il sistema svelato dalle inchieste del 2000.
L’informativa viene consegnata alla Procura di Napoli, ma resterà in un cassetto per 15 anni. Fino a quando, nel 2011, il pubblico ministero Alessandro Milita della Dda di Napoli ritroverà l'informativa di Mancini sui rifiuti interrati. Il magistrato chiede aiuto al commissario Mancini. Ha bisogno delle sbobinature di tutte le intercettazioni fatte da Roberto per inserirle tra gli atti del processo per disastro ambientale e inquinamento delle falde acquifere. Tra gli imputati, anche Cipriano Chianese.
La mia informativa è rimasta nel cassetto per 15 anni. Se l’avessero presa in considerazione, se avessero fatto ulteriori accertamenti, forse qualche morto si sarebbe potuto evitare. I cittadini si ammalano e muoiono. E lo Stato dov’è? Il nostro dovere non è arrestare qualcuno e mettergli le manette per fare bella figura con i superiori e magari prendersi un encomio. Noi siamo pagati per garantire i diritti, per migliorare, nel nostro piccolo, il mondo che ci circonda, la vita delle persone.
Negli anni successivi alle indagini, tra 1997 e il 2001, Mancini lavora come consulente per la Commissione rifiuti della Camera dei deputati, eseguendo decine d’ispezioni e sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici e in siti di stoccaggio di materiali radioattivi. È proprio in questo periodo che si ammala di Linfoma non-Hodgkin, un cancro al sangue, conseguenza dei veleni respirati in anni di lavoro tra rifiuti tossici e radioattivi.
30 aprile 2014
Dopo una lunga battaglia, Roberto Mancini muore all’ospedale di Perugia il 30 aprile 2014, a causa di un’infezione polmonare, complicanza di un trapianto di midollo osseo, unica cura per combattere la sua leucemia. Aveva 53 anni.
Vicenda giudiziaria
Nel 2010, il Comitato di verifica del Ministero delle Finanze mette nero su bianco che il tumore che ha ucciso Roberto Mancini è dovuto a “cause di servizio”. L’indennizzo è di soli 5.000 euro. Il poliziotto presenta quindi una richiesta di risarcimento danni per “malattia professionale”, ma la Camera esclude “una qualsiasi responsabilità risarcitoria”. Mancini non si arrende, così come la sua famiglia e i suoi amici.
Nel novembre 2013, Fiore Santimone, amico di lunga data di Roberto Mancini, lancia una petizione su change.org che raccoglie da subito tantissime adesioni. Alla morte di Roberto, le firme raccolte sono 75.000. I promotori della petizione le consegnano alla Camera, che poco dopo invia al Ministero dell'Interno tutta la documentazione relativa alle sue indagini sui rifiuti tossici.
Nel settembre 2014 a Roberto Mancini viene riconosciuto lo status di “vittima del dovere”, che certifica la connessione tra il servizio prestato e la malattia che lo ha condotto alla morte.
Memoria viva
La sua storia è stata raccontata nella fiction prodotta da Rai 1 “Io non mi arrendo”, con Beppe Fiorello nel ruolo di Roberto Mancini. "Io, morto per dovere" di Luca Ferrari e Nello Trocchia (Chiarelettere, 2016) è il libro che racconta la sua storia.
Alla sua memoria sono dedicati i Presidi di Libera di Tornareccio (CH), Terre di Pianura (MO) e Casale Monferrato (AL).
Spero che le sofferenze che Roberto ha dovuto sopportare per aver servito lo Stato contro le ecomafie in Campania non cadano nell'indifferenza delle istituzioni e dell'opinione pubblica e mi auguro che il suo ricordo possa servire da esempio per tutti coloro che non vogliono arrendersi a chi vuole avvelenare le nostre terre, le nostre vite.