25 ottobre 2012
Serra San Bruno (VV)

Filippo Ceravolo

Un ragazzo instancabile Filippo. Le sue giornate iniziavano prestissimo, lavorava con il padre in giro per la Calabria con il loro banco di dolciumi. E poi c'era il calcio, gli amici e la fidanzata. Una vita interrotta bruscamente dalla violenza della 'ndrangheta, che in Calabria pretende di decidere della vita e della morte della sua gente.

Soriano Calabro è un paesino di poco più di duemila anime, adagiato sui rilievi della Serra e della Sila. Siamo in provincia di Vibo Valentia, nella zona dell’Alto Mesima. Terra di Calabria. Tra Pizzoni e Soriano ci sono esattamente 15 minuti di auto. Neanche 8 chilometri a dividere questi due piccoli centri. Otto chilometri che quella maledetta sera del 25 ottobre del 2012 Filippo avrebbe percorso senza problemi, come era accaduto tante altre volte. Otto chilometri che invece, quella sera, Filippo non è riuscito a percorrere. Perché a Soriano, a casa sua, Filippo non è mai più ritornato.

A Soriano Filippo era nato nel 1993. La sua era una famiglia con alle spalle una lunga tradizione nel settore del commercio al banco dei dolciumi. Papà Martino e mamma Marianna lo avevo cresciuto in un ambiente semplice, tranquillo. Era una famiglia perbene, di onesti lavoratori, composta, oltre che da Martino, Marianna e Filippo, da altre due sorelle più piccole, Maria Teresa e Giusy. La sveglia in casa suonava spesso, perché c’era da spostarsi con il banco, raggiungere le città nei dintorni, a volte spostarsi anche per molti chilometri. Ma quel lavoro era un vanto per la famiglia Ceravolo. Al punto che lo stesso Filippo, dopo la licenza media, aveva deciso di dedicarcisi. In fondo era lui l’erede naturale di quella tradizione quasi secolare e ne andava orgoglioso.

Era un ragazzo solare, che, sebbene ancora così giovane, conosceva il valore e la dignità del lavoro. Aveva una passione molto forte per il calcio, che lo aveva spinto a giocare nelle giovanili della squadra locale. Una passione che trovava sfogo soprattutto in una profonda fede calcistica, quella per la Juventus. Ne era un tifoso sfegatato. E poi c’era la sua fidanzata. Ecco, attorno a questi poli - il lavoro, la famiglia, gli affetti, il calcio - si dipanava, con semplicità, l’esistenza di questo bel ragazzo.

Il 25 ottobre del 2012

Quella sera del 25 ottobre del 2012 Filippo aveva raggiungo Pizzoni per trascorrere qualche ora in compagnia della sua ragazza e di un’altra coppia. Un aperitivo, due chiacchiere e poi di corsa a casa. Il giorno dopo la sveglia era all’alba, perché con suo padre avrebbe dovuto spostarsi a Reggio Calabria per lavoro. Ma c’è un intoppo. Finita la serata, la macchina in panne lo costringe a trovare una soluzione alternativa per rientrare a Soriano. Il ragazzo che è con lui si offre di dargli un passaggio. Lui accetta volentieri. Sale a bordo della Fiat Punto di Domenico Tassone e occupa il posto passeggeri. I due si avviano ma sono gli ultimi chilometri di vita di Filippo. In pochi minuti si consuma la tragedia che sconvolge per sempre questa onesta famiglia di lavoratori. Gli ultimi minuti.

A poca distanza dal paese, in zona Calvario, la macchina viene bloccata. È un inferno di fuoco. Qualcuno imbraccia un fucile caricato a pallettoni e spara senza pietà all’indirizzo di Filippo. Due proiettili lo raggiungono alla testa. Domenico, alla guida, rimane illeso. Per Filippo invece le ferite appaiono immediatamente gravissime. Morirà poche ore dopo in ospedale, tra la disperazione dei suoi genitori. A 19 anni.

Vicenda giudiziaria

È un’esecuzione spietata, di una violenza brutale. Perché Filippo è stato ucciso in quel modo? La domanda fatica a trovare una risposta nell’immediatezza dei fatti. Ma poi il quadro si chiarisce velocemente. Filippo non c’entrava niente. Banalmente e drammaticamente, Filippo non doveva morire. Probabilmente - ritengono gli inquirenti - tutto ruota attorno a Domenico Tassone. Questo ragazzo di 27 anni era già noto alle Forze dell’Ordine. Aveva all’attivo qualche reato di poco conto. E però aveva una parentela ingombrante, quella con il boss Bruno Emanuele, che invece sulle spalle aveva una condanna all’ergastolo ed era stato protagonista, insieme a tutta la sua famiglia, della cosiddetta faida dei boschi, una guerra senza esclusione di colpi con la ‘ndrina dei Loielo per il controllo delle Preserre Vibonesi, tra i comuni di Soriano, Ariola e Gerocarne. Sembra la pista giusta. Due persone finiscono nel mirino degli inquirenti, ma le indagini non riescono a raccogliere elementi sufficienti per arrivare a qualcosa di concreto. Così, nel maggio del 2016, vengono archiviate. La morte di Filippo non ha responsabili. Nessuna verità da consegnare alla famiglia, nessuna giustizia.

Nel 2014 intanto arriva però il riconoscimento dello status di vittima innocente per Filippo. La sua famiglia non si arrende e, con determinazione, continua a chiedere che si faccia luce su quella storia tragica, che si assicurino alla giustizia i responsabili di quel delitto così efferato che ha strappato alla vita un ragazzo di 19 anni. Papà Martino e mamma Marianna combattono come leoni, chiedono la riapertura delle indagini, minacciano gesti eclatanti, protestano sotto al Palazzo della Prefettura. Non mollano e si sforzano in ogni modo di tenere viva la memoria di Filippo e, con essa, la loro richiesta di verità e giustizia.

Nel 2020 la famiglia riceve una lettera anonima che sembra promettere rivelazioni importanti e dare nuovamente vigore alla speranza di una riapertura delle indagini. Fino ad ora, però, ancora nulla.

Memoria viva

La battaglia della famiglia continua, senza tentennamenti. Martino continua a raccontare la storia di suo figlio e non si ferma davanti a niente. Come quando, nel 2015, fu realizzato un monumento che ha resistito tre anni, prima di essere vandalizzato. Per poi essere risistemato. Quella memoria deve rimanere viva.

Una storia che finisce nel libro “Vite spezzate” di Maria Maiolo. Tante le iniziative in sua memoria in questi anni e non solo in Calabria.

A Filippo è dedicato il presidio di Libera a Savona.

Non c’è giorno in cui non pensi a mio figlio, perché la sua assenza si fa sentire quotidianamente. Questi vigliacchi hanno privato un padre, una madre e due sorelle dell’amore di un figlio e di un fratello. Abbiamo affidato Filippo a Dio e alla giustizia e, nonostante il caso sia stato archiviato, sono certo che presto gli assassini saranno arrestati e puniti con l’ergastolo. Abbiamo grande fiducia nella Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e nella Procura di Vibo. Sappiamo che stanno lavorando intensamente come se Filippo fosse un loro figlio. Noi di fiducia ne abbiamo parecchia e la verità verrà presto fuori. (...) Gli angeli non si archiviano.
Martino - padre di Filippo