Giuseppe Mizzi, che tutti chiamavano Pino, nasce a Bari il 23 dicembre del 1972. Non appena consegue la licenza media, per aiutare economicamente la sua famiglia, inizia a lavorare assieme al suo papà nei cantieri, svolgendo lavori edili. Un paio d’anni più tardi parte per il servizio militare e non appena rientra a Bari si dà subito da fare per trovare un lavoro e non pesare sulla sua famiglia. Cerca di aprire una propria impresa di pulizie, nonostante questo progetto non riuscì a concretizzarsi, Giuseppe non si arrese, svolgendo altri lavori.
Giuseppe è un ragazzo umile, dedito alla famiglia e al lavoro, molto socievole e solare. Ben presto conosce Katia di cui si innamorerà e insieme decideranno di metter su famiglia. Così, coronato il loro sogno d’amore, Giuseppe diventerà papà di due bambini, Carlo e Andrea, e pur di non far mancar loro nulla, svolge più lavori contemporaneamente: esce di casa la mattina alle 3 e rientra la sera per cena. Ma lo fa con amore, senza mai lamentarsi, felice della famiglia che sta costruendo assieme a sua moglie. Non appena ha un po’ di tempo libero corre dai suoi figli; nonostante la stanchezza si dedica a loro con il sorriso cercando di trasmettergli tutti i suoi valori e il suo amore, a gioire sempre delle piccole cose quotidiane.
La musica era la sua grande passione. Aveva a casa un impianto di karaoke che ogni domenica mattina accendeva per cantare. Trascorrono così le sue giornate, segnate dal lavoro e dall’affetto familiare, ma questa quotidianità è destinata a interrompersi bruscamente in un giorno qualunque di marzo.
C’era tranquillità nella nostra famiglia. - dice Katia - Mio marito era una persona positiva, piena di risorse. In casa aggiustava tutto, lavorava il legno con grande passione. Diceva sempre che avrebbe voluto studiare e per questo diceva ai suoi figli di impegnarsi a scuola. E poi amava cantare. Era un po’ stonato ma con il microfono ci faceva tanto ridere quando cantava le sue canzoni preferite a squarciagola.
Il 16 marzo del 2011
È il 16 marzo del 2011, Giuseppe è andato a comprare un pacchetto di sigarette e sta ritornando a casa. Cammina per strada, in via Venezia, a pochi passi dalla piazza principale del quartiere Carbonara, alla periferia di Bari, quando all’improvviso succede l’inimmaginabile: viene freddato con sei colpi di pistola alle spalle da killer che lo affiancano e non gli danno neanche il tempo di provare a fuggire. E, forse, neanche il tempo necessario per rendersi conto di ciò che sta succedendo. Ma Giuseppe non è il destinatario di quei colpi, l’agguato è infatti diretto a un pregiudicato affiliato al clan rivale degli Strisciuglio, che i sicari avrebbero dovuto uccidere per vendicare il ferimento del cognato del boss Di Cosola, avvenuto il giorno precedente, sempre a Carbonara. Si interrompe così, bruscamente, la vita di un uomo onesto, un umile lavoratore, un uomo normale di appena 39 anni.
Giuseppe è vittima innocente di un tragico scambio di persona, vittima di un agguato mafioso commesso in pieno centro cittadino, in una piazza in cui sono presenti molte persone. Gli assassini non hanno avuto alcuna preoccupazione per l’incolumità di coloro che si trovavano nei pressi e sulla traiettoria dei colpi di pistola esplosi contro Giuseppe, tanto che uno di questi proiettili raggiunge anche un’altra persona, ferendola fortunatamente in modo non mortale. Giuseppe è l’ennesima vittima innocente di una guerra di mafia che senza timore spadroneggia tra le strade della città di Bari.
Vicenda giudiziaria
La Procura di Bari segue le indagini e individua e arresta i due esecutori materiali del delitto, Emanuele Fiorentino e Edoardo Bove. I due sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, rispettivamente a 20 anni e a 13 anni e 4 mesi di reclusione.
Il boss Antonio Battista, affiliato al clan Di Cosola, è stato invece ritenuto il mandante dell’omicidio e condannato all’ergastolo in primo grado. La posizione di Battista come mandante era stata inizialmente archiviata, fino alle dichiarazioni di sua moglie, Lucia Masella, che dopo essere diventata collaboratrice di giustizia, ha accusato il marito aiutando gli inquirenti della Dda a riaprire il caso. Si è così riusciti a ricostruire che il boss ordinò ai suoi di rispondere all’agguato subìto, uccidendo un uomo del clan rivale Strisciuglio. "Il primo che trovate" fu l'ordine impartito e in quella serata i due esecutori spararono a Giuseppe, scambiandolo per uno spacciatore.
I giudici della Corte di assise di appello di Bari hanno però escluso la contestata aggravante della premeditazione, e pertanto ridotto dall'ergastolo a 20 anni di reclusione la condanna inflitta. Nel settembre del 2019 la Corte di Cassazione ha poi accolto il ricorso della Procura Generale, annullando con rinvio la sentenza: il processo d'Appello è quindi da rifare. I giudici della corte di Appello di Bari a giugno 2020 hanno riconosciuto l'aggravante della premeditazione, condannando all'ergastolo il boss del clan Di Cosola. La Corte di Cassazione nel maggio 2021 ha confermato la condanna all'ergastolo per il boss barese e ha riconosciuto l'aggravante della premeditazione.