Sebastiano Bosio nasce a Palermo, il 18 agosto del 1929.
Sin da bambino si distingue per la sua attenzione agli altri, è bravo a scuola, e nutre il sogno di diventare medico. È determinato Sebastiano e così, finite le scuole superiori, si iscrive alla facoltà di Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Palermo. Dopo una carriera universitaria brillante consegue la laurea e poi segue diversi corsi di specializzazione in Francia. La specializzazione in Francia gli permette di imparare le tecniche più moderne e all’avanguardia e una volta rientrato a Palermo, viene assunto presso l'Ospedale Civico.
Sebastiano è un medico sempre attento al paziente, per lui sono importanti la cura e il rispetto di ogni persona e, soprattutto, non accetta le ingiustizie.
Difatti, agli inizi degli anni Sessanta diviene protagonista di contestazioni e proteste contro l’inefficienza della pubblica amministrazione e per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica allestisce, con altri colleghi, una sala operatoria in un casello ferroviario abbandonato che collega le città di Palermo e Messina.
Passano gli anni e Sebastiano non abbandona i suoi atteggiamenti polemici e contestatari che ne fanno una figura scomoda, ma è anche un eccellente medico e chirurgo, stimato e ben voluto dai suoi pazienti.
La sua vita scorre serena tra il lavoro di chirurgo e la sua famiglia; Sebastiano ha conosciuto Rosaria, una giovane ragazza palermitana, educata, bella ed elegante, di cui si innamora subito. Il loro amore è vero e sincero e presto decidono di sposarsi. Dal loro amore nasceranno presto due splendide bambine, Lilli e Silvia.
Nel 1974, in concomitanza con la nascita del reparto autonomo di chirurgia vascolare, staccato da quello di cardiochirurgia, viene nominato primario. Sul finire degli anni Settanta, decide di aprire anche un suo studio nella città palermitana, in via Simone Cuccia; così Sebastiano si divide tra l’ospedale e lo studio privato, pur senza far mancare presenza e affetto alle sue tre donne.
A settembre del 1981 invita il professor Regis Courbier, direttore dell'unità cardiovascolare presso l'Hospital San Joseph di Marsiglia, e con lui effettua un delicatissimo e complicato intervento, su di una ragazza diciannovenne.
La guerra di mafia
Sono questi gli anni in cui a Palermo è in corso la seconda guerra di mafia, che vede scontrarsi due diverse fazioni: quella capeggiata da Totò Riina e l'altra da Stefano Bontade. Sparatorie e delitti sono all'ordine del giorno tra le vie del capoluogo siciliano e spesso i boss, feriti negli scontri, per essere curati si rivolgono con grande discrezione ai medici. Ma Sebastiano non ci sta, si rifiuta di curare di nascosto i mafiosi o di concedere loro corsie preferenziali, è intransigente nella gestione nel suo reparto, non si lascia corrompere e per questo è lasciato solo.
E in questi stessi anni sono continue le liti tra Sebastiano e il direttore sanitario dell'ospedale Civico di Palermo, Giuseppe Lima, fratello del deputato Salvo Lima.
I primi di novembre del 1981 riceve una telefonata durante la cena. Dall'altro capo della linea, c’è il responsabile di Sebastiano, Giuseppe Lima. La famiglia di Sebastiano sente dire ad alta voce e con tono deciso “No, mi dispiace. Non lo faccio neppure se scende Dio in terra e se continui ti denuncio!”. Quando poi chiude la telefonata e torna a tavola sua moglie Rosaria è spaventata, ma lui le dice di non preoccuparsi.
Tutta la mafia della zona era interessata agli appalti sia per l’edilizia sia per la fornitura di macchinari e strumenti medici. Bosio si era opposto ad alcune segnalazioni dell’onorevole Salvo Lima per gli appalti. Secondo la mafia, erano un rompicoglioni, uno sbirro, una persona rigida nei confronti della mafia.
Il 6 novembre del 1981
Il 6 novembre del 1981 sembra un giorno come tanti altri; in quel periodo Sebastiano non è sereno, il clima è teso, sente le pressioni che gli vengono fatte e sa di non essere ben visto a causa dei suoi rifiuti.
È pomeriggio e come sempre è stato a visitare nel suo studio privato, sua moglie Rosaria è andata a trovarlo e, alla fine di tutte le visite, si accingono a tornare a casa assieme. Escono dallo studio e non sanno che di lì a pochi secondi succederà l’inimmaginabile.
Eravamo appena usciti dallo studio medico. Mio marito si trovava qualche passo davanti a me perché stava andando a prendere l’auto. Io ero girata. All’improvviso ho sentito una voce che lo chiamava. Pensavo fosse un paziente. Ma dopo una frazione di secondo ho sentito gli spari, mi sono girata e ho visto un giovane, in jeans, maglione e scarpe da tennis che ha iniziato a sparare contro mio marito. E ha continuato anche quando Sebastiano si era già accasciato. Aveva uno sguardo di ghiaccio, occhi freddi, glaciali e non ha esitato un attimo a sparare. Vicino a lui c’era un complice e dopo pochi secondi sparirono. Dopo l’assassinio i passanti si nascosero nei negozi che provvidero immediatamente ad abbassare le saracinesche.
Sebastiano muore così, all’età di 52 anni, in una giornata fredda di novembre, sotto gli occhi atterriti della sua amata Rosaria.
Vicenda giudiziaria
Le indagini sull’assassinio di Sebastiano hanno avuto un percorso lungo e travagliato: sono state archiviate negli anni '80, riaperte tra il '95 e il '96, per poi essere riprese nel 2005 grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Francesco Di Carlo e Francesco Marino Mannoia, che hanno consentito di individuare come mandante il boss Antonino Madonia.
Secondo gli inquirenti, Sebastiano aveva scatenato la reazione violenta della mafia, quando si era rifiutato di concedere delle vie preferenziali nelle liste d'attesa e nei ricoveri nel reparto da lui gestito per gli appartenenti al clan. Eppure, nonostante le dichiarazioni dei collaboratori, non si trovavano riscontri e l’inchiesta stava per essere nuovamente archiviata; il gip così ha chiesto nuove indagini grazie alle quali, finalmente, sono stati ritrovati i proiettili del delitto rimasti per quasi 30 anni dentro una cassaforte dell’istituto di Medicina legale del Policlinico. Ed è proprio grazie alla perizia effettuata su quei proiettili che è emerso un importante elemento per riaprire il processo: gli stessi erano stati sparati da una pistola calibro 38 e l’arma utilizzata nell'assassinio di Sebastiano era la stessa che aveva ucciso due meccanici di Palermo, fatto per il quale Madonia era già stato condannato. Secondo i giudici della Corte d'Assise, però, gli elementi emersi non erano sufficienti a dimostrare la responsabilità di Madonia che quindi, in primo grado, è stato assolto.
Ma la Procura generale di Palermo ha presentato ricorso in appello e sono stati sentiti come testi i collaboratori di giustizia Vito Galatolo e Giovanni Brusca, i quali hanno dichiarato e confermato che per Sebastiano fu fatale la scelta di non volersi piegare al potere mafioso e di non essere corruttibile. Venne chiamato a testimoniare anche Massimo Ciancimino il quale ha dichiarato che: "Mio padre mi disse di avere appreso dal suo amico Bernardo Provenzano che a uccidere il chirurgo Sebastiano Bosio nell'81 era stato Nino Madonia, lo stesso che uccise Libero Grassi.”
Il 27 marzo del 2017 la Corte d'Assise d'Appello ha emesso sentenza confermando le tesi della pubblica accusa; secondo i giudici, infatti, il boss Nino Madonia doveva essere condannato all’ergastolo per l’omicidio di Sebastiano. La sentenza è stata confermata dalla Suprema Corte di Cassazione. Il movente, grazie alle dichiarazioni di diversi collaboratori e testimoni, è stato quindi individuato nella mancata “disponibilità” data da Sebastiano a Cosa nostra.
Memoria viva
Il nome di Sebastiano è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Sebastiano ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa a Sebastiano che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendola vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.