29 agosto 1991
Palermo (PA)

Libero Grassi

Un omicidio pedagogico: colpirne uno per educare tutti gli altri. Ma i mafiosi si sbagliano, e se ne accorgeranno presto. Perché la morte di Libero Grassi è davvero un momento di svolta nella storia del movimento antimafia e antiracket

Nomen omen dicevano gli antichi. Erano convinti che nel nome delle persone vi fosse una scintilla del loro destino, un presagio, il segno stesso del loro essere. La tentazione di richiamare questa antica credenza per raccontare la storia di Libero Grassi è troppo forte per non partire da qui. Perché in quel Libero con cui i genitori decisero di chiamare il loro bambino il giorno della sua nascita, il 19 luglio del 1924, c’è davvero l’essenza di tutta la sua vita, di tutte le sue scelte, del suo spirito.

La formazione antifascista

In realtà l’idea di quel nome aveva, nelle intenzioni dei genitori di Libero, una radice diversa. Doveva essere l’omaggio alla scelta di libertà di Giacomo Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario ucciso da una squadra fascista per volontà personale di Benito Mussolini, il 10 giugno del ’24, dunque poche settimane prima della nascita del bambino. Era una famiglia profondamente antifascista quella dei Grassi ed è nel segno di questi valori che Libero crescerà e sarà educato. Nella sua vicenda, antifascismo e antimafia finiscono con l’essere costantemente le due facce di una stessa medaglia.

Era nato a Catania Libero, ma il suo trasferimento a Palermo era avvenuto quando aveva solo 8 anni. Il padre era un commerciante, circostanza, anche questa, che condizionerà fortemente le scelte e la vita di questo intransigente imprenditore.
Nel capoluogo siciliano Libero trascorse gli anni della formazione fino al diploma conseguito al Liceo classico Vittorio Emanuele. Poi, nel 1942, il primo trasferimento lontano dalla Sicilia, a Roma, dove Libero decise di andare a studiare Scienze politiche. Qui entrò in contatto con gli ambienti del Partito d’Azione, costituitosi in clandestinità il 4 giugno di quello stesso anno.

È in un clima di fervente e deciso antimilitarismo che Libero maturò la decisione di sottrarsi a tutti i costi all’arruolamento, rifiutandosi con convinzione di combattere quella guerra - che lui riteneva profondamente ingiusta - al fianco di fascisti e nazisti. Per non farlo, scelse di entrare addirittura in seminario, insieme ad alcuni altri compagni. Ne uscì dopo la Liberazione, nel 1945, per tornare a Palermo e terminare gli studi universitari alla facoltà di Giurisprudenza, avendo la dittatura fascista soppresso il corso di laurea in Scienze politiche.

La sfida imprenditoriale

Nonostante sognasse di intraprendere la carriera diplomatica, la necessità di dare continuità alla florida tradizione commerciale della sua famiglia lo portò a cambiare strada. Con il fratello Pippo, si trasferì allora a Gallarate, in provincia di Milano, dove, entrato in contatto con gli ambienti dell’imprenditoria milanese, nel 1951 fondò l’azienda MIMA - Manifattura Maglieria ed Affini, riuscendo in poco tempo a dare lavoro molte decine di operai. Un’esperienza importante, che lo convinse, qualche anno dopo, a tornare nella sua terra per dare vita ad un’altra significativa realtà imprenditoriale, la SIGMA, fondata nel 1958 e specializzata in pigiameria maschile.

A Gallarate, Libero aveva conosciuto e sposato una giovane ragazza siciliana. Si rese conto però ben presto di aver commesso un errore e chiese l’annullamento del matrimonio. Tornato in Sicilia, nel 1954 ritrovò Pina Maisano, una ragazza conosciuta da adolescente che intanto aveva studiato per diventare architetto. I due si innamorarono e, nonostante alcune resistenze della famiglia di lei dovute al precedente divorzio di Libero, decisero di sposarsi con rito civile e di stabilirsi al sesto piano di uno stabile in via D’Annunzio, a Palermo. Dalla loro unione nacquero due figli, Davide e Alice.

L’impegno politico

Il lavoro di imprenditore e gli impegni familiari non gli impedirono, tuttavia, di dedicarsi anche all’altra grande passione della sua vita, coltivata sin dai tempi degli studi universitari e forse ancor da prima, sotto la spinta di quei decisi valori antifascisti cui era stato educato sin da bambino: la politica.
Nel 1955 contribuì, insieme a sua moglie, alla fondazione del Partito Radicale di Marco Pannella. Sono anni di grande impegno, nel corso dei quali la sua passione politica si consolida anche attraverso numerose collaborazioni con testate quali Il Mondo e L’Espresso. Sciolto il Partito Radicale, aderisce al Partito Repubblicano Italiano, per il quale viene nominato, nella seconda metà degli anni Sessanta, rappresentante in seno al consiglio di amministrazione dell'azienda municipalizzata del gas. In questa veste, conduce una vera e propria battaglia per ottenere l’allacciamento della città alla rete del gas, entrando in contrasto con gli ambienti che invece continuavano a trarre beneficio economico da quella situazione. Alla fine riuscirà a spuntarla, prima di lasciare l’incarico nel giugno 1969. Nel 1972 si candida, senza successo, alle elezioni provinciali.

La battaglia antiracket

Intanto, con il figlio Davide, riesce a fare della SIGMA un’azienda leader nel settore della pigiameria, la terza in Italia. Alla fine degli anni ’80, però, cominciano i problemi con Cosa nostra. Nel 1989 i locali che storicamente avevano ospitato l’azienda vengono venduti dall’immobiliare milanese che ne era proprietaria. Libero dunque è costretto a trovare una nuova sede per la sua azienda. Ed è esattamente in questo momento che iniziano ad arrivare le richieste estorsive. La prima è di 60 milioni di lire. Libero si rifiuta di pagare e immediatamente si rivolge alla Polizia. Poco dopo, il cane da guardia dello stabilimento, Dick, viene rapito e restituito in fin di vita qualche giorno dopo. Le minacce, le intimidazioni e le richieste della mafia si fanno sempre più insistenti. L’ultima, di 50 milioni, arriva da un sedicente geometra Anzalone.

Di fronte a tutto questo Libero non cede. Comincia anzi una battaglia a viso aperto contro gli estorsori, denunciando ogni singolo episodio e decidendo di esporsi in prima persona. Il 10 gennaio del 1991 il Giornale di Sicilia pubblica la sua famosissima “lettera al caro estorsore”:

Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui.
Libero Grassi, Caro estortore, Giornale di Sicilia, 10 gennaio 1991

L’effetto di queste righe è dirompente. Se ne parla in tutt’Italia e molti percepiscono queste parole come un momento di svolta nella storia della battaglia contro il dominio mafioso. L’11 aprile Libero è ospite di Michele Santoro a Samarcanda:

Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non divido le mie scelte con i mafiosi.
Libero Grassi, intervista a Samarcanda, 11 aprile 1991

Meno di un mese prima, il 19 marzo, le sue denunce consentono l’arresto dei fratelli Antonino e Gaetano Avitabile, del clan Madonia di Resuttana. In totale, grazie al suo coraggio, in otto finiranno in manette.

Libero non si ferma, continua la sua battaglia di dignità e libertà. Lo fa, però, in un clima di generale e aperta ostilità. In molti gli voltano le spalle, negano il problema, minimizzano la sua battaglia, lo accusano di voler fare l’eroe. La stessa Sicindustria, l’associazione degli industriali siciliani, lo isola e lo lascia solo. Lui rifiuta la scorta: non vuole che altri rischino la vita a causa sua. Accetta però la protezione della sua azienda.
È in questo clima che Cosa nostra decide di agire. Il seme del coraggio di questo commerciante libero, di nome e di fatto, fa paura alla mafia, che non può correre il rischio che diventi un esempio di ribellione per altri imprenditori.

Il 29 agosto del 1991

La mattina del 29 agosto del 1991 Libero esce di casa per recarsi al lavoro. Sono le 7.40. L’azione dei killer è chirurgica: gli esplodono addosso quattro colpi di pistola che lo uccidono sul colpo, poi scappano. Un omicidio pedagogico: colpirne uno per educare tutti gli altri.
Ma i mafiosi si sbagliano, e se ne accorgeranno presto. Perché la morte di Libero è davvero un momento di svolta nella storia del movimento antimafia e antiracket. Ai suoi funerali partecipa una folla commossa. C’è anche il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

Pochi mesi dopo il suo omicidio, il Governo emana il decreto-legge n. 419, convertito poi nella n.172/92, il primo intervento legislativo in materia di antiracket, con l’istituzione del fondo di solidarietà in favore delle vittime di richieste estorsive e di usura. Un mese dopo la sua morte, Maurizio Costanzo e Michele Santoro gli dedicano una lunga trasmissione condotta a reti unificate su Rai 3 e Canale 5.

La vicenda giudiziaria

Le indagini sull’agguato puntano naturalmente agli ambienti mafiosi. È evidente il nesso di quella morte con il coraggio di Libero. Nell’ottobre del 1993 viene arrestato il killer dell’imprenditore. Si tratta di Salvatore “Salvino” Madonia, figlio di Francesco Madonia, boss di Resuttana. Con lui finisce dietro le sbarre Marco Favaloro, che guidava l’auto a bordo della quale viaggiava il commando di morte. Favaloro decide ben presto di collaborare con la giustizia e le sue dichiarazioni consentono agli inquirenti di ricostruire nel dettaglio i fatti.
Le indagini sull’omicidio di Libero Grassi vengono fatte confluire nel processo "Agate Mariano + 56", nato anche grazie alle dichiarazioni dei collaboratori Gaspare Mutolo e Pino Marchese. Sul banco degli imputati c’è tutto il gotha di Cosa nostra, alla sbarra per oltre dieci anni di delitti.
I collaboratori di giustizia indicano chiaramente il movente dell’assassinio: scoraggiare altri commercianti a seguire l’esempio di Libero. Savino Madonia è stato condannato in via definitiva all'ergastolo, sotto regime di 41-bis. Con lui, la sentenza del 18 aprile 2008 condanna l’intera Cupola di Cosa Nostra, accusata di aver ordinato l'omicidio.

Memoria viva

Libero Grassi è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile:

Imprenditore siciliano, consapevole del grave rischio cui si esponeva - si legge nella motivazione - sfidava la mafia denunciando pubblicamente richieste di estorsioni e collaborando con le competenti Autorità nell'individuazione dei malviventi. Per tale non comune coraggio e per il costante impegno nell'opporsi al criminale ricatto rimaneva vittima di un vile attentato. Splendido esempio di integrità morale e di elette virtù civiche, spinte sino all'estremo sacrificio.

E in effetti davvero Libero è diventato un esempio. La sua memoria ha generato frutti straordinari di speranza e di cambiamento, in Sicilia e nel resto d’Italia. Ovunque, questo imprenditore dalla schiena diritta è diventato testimone di dignità e libertà. La sua battaglia civile non è morta con lui, anzi.

Sulle sue orme ha continuato Pina Maisano, sua moglie, che nel 1991, pochi mesi dopo la morte di suo marito, è diventata Senatrice per i Verdi nel collegio di Torino. Sulle sue orme hanno continuato alcuni importanti movimenti antimafia ed associazioni antiracket, come Addiopizzo e Libero futuro. A Libero Grassi è stato intitolato un Istituto tecnico commerciale a Palermo e inoltre strade, piazze, aree produttive, associazioni antiracket, parchi. Portano il suo nome il Presidio di Libera a Cascina (Pisa) e il Presidio di Libera a Santena-Villastellone (Torino).

Sia chiaro: chi sottostà alle leggi criminali della mafia può considerarsi complice: povero o ricco, commerciante o artigiano, agricoltore o impiegato (…) peggio se personalità politica (…) Gli anticorpi sono la libertà e la dignità del proprio lavoro (…) Non mettiamo a tacere la nostra coscienza critica (…) Le emozioni, purtroppo, passando il tempo perdono di intensità e il rischio è che l’oblio (…) cali su tutto, compreso il ricordo seppellendolo. Io per questo continuo a testimoniare con la mia presenza il sacrificio di chi è caduto nell’adempimento del dovere per proteggere la società civile e la libertà di coscienza (…) Siamo niente senza memoria.
Pina Maisano - moglie di Libero Grassi

È stata ed è tuttora enorme l’influenza della sua vicenda sulla cultura di massa. Nel 2011 la stessa Pina Maisano con Chiara Caprì ha pubblicato il libro Libero. L'imprenditore che non si piegò al pizzo. Ma è copiosa la bibliografia sulla figura di Libero Grassi. Tra i vari libri che ne raccontano il coraggio e l’esempio, Libero Grassi. Storia di un siciliano normale e Libero Grassi. Storia di un'eresia borghese di Marcello Ravveduto; Lotta civile di Antonella Mascali; Il raccolto rosso 1982-2010. Cronaca di una guerra di mafia e delle sue tristissime conseguenze di Enrico DeaglioLibero Grassi. Cara mafia, io ti sfido di Laura Biffi, Riccardo Innocenti e Raffaele Lupoli.

Anche la televisione e il cinema hanno dato il loro contributo alla memoria di Libero Grassi. Nel 2011 Pietro Durante ha realizzato il docufilm Libero nel nome, trasmesso da Rai 2 nel 2011 e da Canale 5 nel 2016. Nello stesso anno su Rai 1 è andata in onda la docufiction Io sono Libero dedicata ai suoi ultimi mesi. Nel 2018 Canale 5 ha trasmesso la fiction Liberi sognatori, la cui prima puntata è stata dedicata proprio alla vita dell’imprenditore palermitano, interpretato da Giorgio Tirabassi. Nello stesso 2018, infine, è uscito il film tv A testa alta - Libero Grassi diretto da Graziano Diana.