Sì, le banane, che in Somalia, in quel 1995, potevano essere la ragione giusta per uccidere, per superare quel confine. Le banane per le quali due multinazionali non si facevano scrupolo di assoldare miliziani armati che si affrontavano a colpi di mitragliere. E così, dietro al profumo tropicale delle banane che arrivavano sulle tavole di tutta Europa, c’era la puzza di morte di chi si combatteva nel Corno d’Africa.
Una vita intensa la sua, cominciata a San Michele Salentino, in provincia di Brindisi. Cinque figli e una famiglia molto unita. Si ritrovavano spesso, tutti insieme, soprattutto in estate, quando Marcello tornava volentieri in Puglia per trascorrere qualche giorno di vacanza nella sua casa di campagna nella zona di Carovigno, a nord di Brindisi, pochi chilometri da San Vito dei Normanni. Si era diplomato al Liceo Classico e poi si era spostato dapprima in Svizzera, dove aveva lavorato qualche anno come operaio, e poi in Germania, dove invece aveva cominciato a impegnarsi per trasformare in lavoro la sua passione per le telecamere, conseguendo il diploma di cameraman e facendo le prime esperienze professionali in una televisione svizzera. Tornato in Italia, aveva messo a frutto quella passione, cominciando a chiudere i primi importanti contratti con la RAI, sebbene si trattasse ancora di lavori saltuari. Il salto di qualità, nel 1972, quando finalmente dalla RAI viene assunto come telecineoperatore. Ruolo che, a partire dal 1978, ricoprirà stabilmente nella squadra tecnica del TG2. Marcello aveva il fiuto del giornalista. Nel luglio del 1987 lo diventa anche formalmente, con l’iscrizione all’ordine del Lazio. Era un gran lavoratore, innamorato del suo lavoro, al quale si dedicava con sincero entusiasmo e una grande disponibilità. Quella stessa disponibilità che lo aveva spinto ad accettare senza remore alcune trasferte ritenute assai pericolose. La sua telecamera, in quegli anni, filma alcuni dei più importanti avvenimenti sulla scena italiana e internazionale: la caduta del muro di Berlino, l’invasione sovietica dell’Afghanistan, gli sbarchi dei profughi albanesi in Puglia. E poi la Cambogia, il Vietnam, la Libia, il Libano. All’attivo anche numerose inchieste e servizi su fatti e storie di criminalità organizzata.
E poi c’è il Marcello intimo e privato. Quello che amava stare in casa con la sua famiglia, dedicarsi ai lavoretti domestici. Il Marcello che, nel 1980, nel corso di una missione di lavoro a Bassiano, in provincia di Latina, conosce e si innamora di Maria Cristina Scaccia, una decina di anni più giovane di lui. Dal loro amore nascono ben presto due splendidi figli: Davide appunto e Adelaide, più piccola di 6 anni. Con loro, Marcello si stabilisce a Roma, in una casa di via dei Giornalisti, al quartiere Trionfale. Ed è da questa casa che Marcello esce, quasi di corsa, la sera del 6 febbraio 1995 per salire su un aereo diretto a Mogadiscio.
Il 9 febbraio del 1995
Marcello Palmisano era partito per Mogadisco la sera di lunedì 6 febbraio 1995. Una partenza improvvisa e forse anche non prevista, dal momento che quel viaggio avrebbe dovuto compierlo per sostituire un collega in malattia. C’era da raccontare il ritiro delle truppe ONU dalla capitale somala, insanguinata dalla faida tra i signori della guerra. Avrebbe viaggiato con Carmen Lasorella, giornalista di fama e volto noto del TG2 della RAI. Non riuscì, Marcello, a salutare neanche Davide, il suo primogenito di 15 anni. Ma non se ne rammaricò più di tanto: dopo pochi giorni sarebbe tornato a casa e del resto la sua famiglia a quelle fughe di lavoro improvvise era abituata.
La troupe con Marcello e Carme Lasorella arriva nella capitale somala il 9 febbraio e si mette subito al lavoro. I due viaggiano, scortati, su un Land Cruiser. Poco fuori dall’aeroporto, il convoglio viene intercettato e bloccato da un pick-up armato di una mitragliatrice di grosso calibro. Le chiamano “tecniche” queste macchine di morte. I miliziani aprono il fuoco, improvvisamente. Ne nasce uno scontro armato infernale con la scorta. Marcello è seduto dietro e rimane incastrato tra il sedile anteriore e quello posteriore. Viene colpito in più parti e non riesce a scappare. Quando la vettura si incendia, lui è già morto. La giornalista invece riesce a sottrarsi alla pioggia di fuoco. Rimane ferita, ma viene prelevata e portata al sicuro. Sono momenti di grande concitazione, che non è facile ricostruire. Poco dopo, la jeep su cui viaggiava la troupe scompare, insieme al corpo di Marcello, che verrà recuperato solo il giorno dopo per essere trasportato sulla portaerei Garibaldi e rientrare in Italia. Il 17 gennaio aveva compiuto 55 anni.
Nel pomeriggio, Davide prende la telefonata che parte dagli uffici della RAI per dare alla famiglia la notizia della morte di Marcello. Poco dopo, parte un’edizione straordinaria del TG2. I fratelli di Marcello scoprono così della sua morte, guardando la sua foto in televisione. Nelle stesse ore, arrivano in via dei Giornalisti Letizia Moratti, all’epoca Presidente della RAI, e Clemente Mimun, direttore del telegiornale della seconda rete. È difficile spiegare a quella famiglia perché Marcello è stato ucciso. In fondo, si tratta di banane.
Rientrato in Italia, il corpo di Marcello Palmisano fu sepolto dapprima al cimitero del Verano di Roma e poi da qui, nel 2007, trasportato a San Michele Salentino e inumato in un’area del cimitero dedicata ai cittadini illustri. A volere il trasferimento della salma, la moglie Maria Cristina, rimasta vedova a 42 anni. Davide, all’epoca quindicenne, e Adelaide, di appena 9 anni, si sono dovuti rassegnare a crescere senza un padre, coltivandone però la memoria di un uomo appassionato e coraggioso e rendendo la sua una vicenda esemplare, in grado di gettare luce sulle degenerazioni di un sistema economico troppo spesso malato.
Vicenda giudiziaria
Pochi giorni dopo, il 13 febbraio, la Procura di Roma apre un’inchiesta. Viene ascoltata innanzitutto Carmen Lasorella, che ricostruisce davanti ai magistrati la sequenza di quei giorni e di quei minuti drammatici. L’ipotesi più accreditata è che il convoglio su cui viaggiavano Palmisano e Lasorella fosse stato scambiato dai miliziani per quello su cui avrebbero dovuto muoversi i dirigenti della Somalfruit, una joint venture italo-somala che combatteva per il controllo del commercio di banane con la concorrente Sombana, di cui la principale azionista era la multinazionale americana Dole. Intrecci difficili da ricostruire, fatti di rapporti ambigui con i signori della guerra e di dinamiche che hanno a che fare più con le logiche criminali che con quelle di mercato. Le aziende si difendono e smentiscono ogni tipo di coinvolgimento diretto nell’agguato, anche a colpi di querele. Nel marzo del ’95, a seguito di alcune denunce presentate da cinque produttori somali di banane legati alla Somalfruit, anche a Venezia la Procura apre un’indagine. Vengono individuati e identificati gli 11 componenti del commando che attaccò la jeep. Nessuno di loro ha trascorso in carcere un solo giorno.
Memoria viva
La Provincia di Brindisi, con il patrocinio della Rai, negli anni seguenti l’omicidio, ha istituito un concorso giornalistico per cineteleoperatori intitolato alla memoria di Marcello.
Spente le momentanee luci mediatiche, la Somalia finisce presto nel dimenticatoio e mio padre ne diventa l’apolide della memoria: pur sopravvivendo il ricordo, muore la “ragione”.
La “ragione”: presupposto irrinunciabile per avere giustizia. La giustizia però, dall’aggettivo latino “iustus”, è pertinenza dell’essere. Essere giusti significa capire il contesto in cui ventidue anni fa Marcello Palmisano ha perso la vita. Significa riflettere sul lato violento, rapace e aggressivo del sistema economico di cui l’umanità si è dotata.
Significa raccontare che dietro un apparentemente innocuo frutto esotico potrebbe esserci la brutale spietatezza di capitale estratto in modo criminale.
Cerchiamo di essere giusti dunque: raccontiamo cosa è successo, affinché nessuno dei nostri cari sia caduto invano e nella speranza che qualche coscienza si risvegli.