16 ottobre 1996
Niscemi (CL)

Salvatore Frazzetto

Salvatore era un uomo in continuo movimento, non riusciva a stare fermo. Aveva mille idee, mille progetti e cercava di realizzare. Era riuscito a creare una grande impresa commerciale nella suo paese, Niscemi. Il suo progetto di vita, il futuro per i suoi figli.

Papillon. Si chiamava così, con questo nome un po’ strano, quel negozio di gioielli, pellicce e abiti da sposa che la famiglia Frazzetto - Azzolina aveva aperto da qualche anno in via Terracina, a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Si trovava al pian terreno di un fabbricato di quatto piani costruito nei primi anni Ottanta. All’epoca, Salvatore Frazzetto lavorava nell’edilizia e aveva deciso di tirare su una casa per sé e la sua famiglia. Lo stabile era in fondo al paese, a poche decine di metri dal Commissariato di Polizia. Un presidio di legalità in una terra difficile, dilaniata da una presenza mafiosa asfissiante: morti ammazzati, estorsioni, bombe e incendi dolosi. Un clima irrespirabile, che nel 1992 aveva portato anche allo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.

E tuttavia, la famiglia di Salvatore, una di quelle della media borghesia, aveva pensato comunque di investire a Niscemi, in un’attività commerciale tra le più grandi della zona. Prima la pelletteria, poi i gioielli, gli abiti da sposa, le pellicce. Il negozio funzionava. Ci lavoravano, oltre a Salvatore, sua moglie Agata Azzolina e il loro primo figlio Giacomo, che tutti chiamavano Mimmo. La figlia più piccola, Chiara, aveva invece deciso di frequentare l’università a Catania, ma tornava a casa ogni volta che poteva.

In terra di mafia però la libertà d’impresa a volte può essere davvero un’utopia. E anzi, più le cose vanno bene, più ti devi aspettare che, da un momento all’altro, qualcuno venga a bussare alla porta del tuo negozio. E non solo per chiederti soldi. Perché le estorsioni si possono anche mascherare, pretendendo per esempio di portare via la merce senza pagare. A Salvatore era accaduto proprio questo. Lui, insieme a sua moglie, aveva sempre resistito, senza mai piegarsi a quella che appariva una cosa normale a Niscemi, dove in tanti non nascondevano, neanche per pudore, quella prassi, quella assurda consuetudine. Loro no, non volevano accettarlo.

Il 16 ottobre del 1996

Il 16 ottobre del 1996 è una data centrale nella storia di questa famiglia. È la data che ne cambia il destino, stravolgendolo completamente. Quel giorno due pregiudicati entrarono nella gioielleria. Agata li conosceva, perché li aveva visti già bazzicare in giro. Avevano fatto anche degli acquisti in passato, sempre utilizzando modalità strane: assegni, crediti, qualche pezzo di oreficeria sparito. Forse però, più di lei, li conosceva Salvatore, che in più circostanze, era rimasto turbato dalla loro presenza. I due chiesero di vedere delle fedi nuziali. Nonostante tutto, Salvatore li servì, mentre Agata era seduta in poltrona a sfogliare una rivista di abiti da sposa. Chiese a Giacomo di prendere le fedi dalla cassaforte e gliele mostrò. Poi d’improvviso accadde l’irreparabile. Salvatore comprese che quei due non avrebbero voluto pagare, pur pretendendo di portare via i gioielli. Si oppose, gridò. La reazione dei malviventi fu violentissima: spintoni, calci, schiaffi. Agata iniziò a urlare e Giacomo accorse per capire cosa stesse succedendo. Uno dei due impugnava la pistola che custodivano nel negozio. L’arma però era stata strappata dalle mani di Salvatore. Il primo colpo. Poi Agata riuscì a uscire dal negozio e chiedere aiuto. Il secondo, il terzo colpo, la fuga dei malviventi. Quando Agata rientrò, i corpi di Salvatore, 46 anni, e Giacomo, 23, erano stesi sul pavimento, senza vita.

La tragedia di questa famiglia però non finisce qui. Perché per Agata, scampata a quella rapina a scopo di estorsione, quel giorno fu l’inizio della fine. Un dolore insopportabile, le immagini di quella sera scolpite nella mente che non le davano pace. Cercò di aggrapparsi all’amore per sua figlia, di non cedere allo sconforto, di continuare il suo lavoro. Indicò agli inquirenti i nomi degli assassini, Salvatore e Maurizio Infuso, 26 e 23 anni, che furono arrestati poche ore dopo in un casolare di campagna, con ancora nella borsa la pistola utilizzata per uccidere Salvatore e Giacomo. Ma era tutto enormemente difficile. Difficile come continuare a sopportare le intimidazioni, le minacce e le violenze che neanche quella tragedia e tutto quel dolore avevano interrotto. Aggressioni regolari che non si fermavano di fronte a niente, neanche di fronte alla tutela che le era stata assegnata alla donna. Per Agata la vita era diventata un inferno e così la notte tra il 22 e il 23 marzo del 1997 decise di farla finita, impiccandosi a una corda fissata su una trave del soffitto della cucina. Aveva 43 anni. 

Memoria viva

Il nome di Salvatore, insieme a quello di suo figlio Giacomo e di sua moglie Agata, è stato inserito nell’elenco delle vittime innocenti curato da Libera e letto ogni anno, nel corso della Giornata della memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia. La loro memoria continua a vivere nell’impegno di chi si ostina a raccontarne la storia, perché resista al tempo e alla dimenticanza. Tra loro, anzitutto Chiara, privata giovanissima dell’amore della sua famiglia e oggi testimone di un dolore che può diventare impegno e speranza. Un impegno che, qualche anno fa, così ha voluto raccontare:

Ciao Mimmo, ciao papà e mamma.
Sono 20 anni che non sento la vostra voce, solo perché qualcuno ha deciso di mettere fine alla vostra vita per una manciata di soldi.
Non sento la vostra voce, ma la vostra immagine è scolpita nei miei occhi e nel mio cuore. È difficile la mattina alzarsi e darvi il buongiorno e non udire la vostra risposta, ma penso che voi siete solo nella stanza accanto e non potete sentire. La morte non è nulla: è questo che mi ripeto ogni giorno per andare avanti, voi vivete in me e io sono viva per voi.
Mimmo, ricordo ancora i nostri abbracci e le nostre uscite insieme: facevamo invidia al mondo, un fratello e una sorella che non litigavano mai. "Ma solo perché tu amore mio, portavi tanta pazienza".
Mamma, mi mancano i tuoi abbracci e i tuoi baci e anche le nostre litigate. Papà, che dire di te... tu eri l'aria che respiravo, il mio grande amore.
Voi siete distanti, ma sempre presenti nella mia vita. Sento il vostro odore e il vostro abbraccio, dove trova rifugio la mia martoriata anima.
Ma la forza la prendo da voi, siete voi che asciugate le mie lacrime e il vostro ricordo mi dà pace.
A presto amori miei!
Chiara Frazzetto