Marano di Napoli è uno dei comuni più popolosi dell’agro giuglianese alle porte di Napoli, teatro di una sanguinaria faida agli inizi degli anni Ottanta tra i cutoliani, che ne usciranno sconfitti, e la Nuova Famiglia, capeggiata dai Nuvoletta e alleata dei corleonesi.
Salvatore nasce proprio a Marano il 22 giugno del 1962 l’ultimo di sei figli. Suo padre, Ferdinando, e sua madre Giuseppina gestiscono un piccolo negozio di frutta e verdura e Salvatore cresce guardando con ammirazione i suoi fratelli più grandi che indossano la divisa. E’ affascinato dai racconti di due dei suoi fratelli che prestano servizio scorta al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Nel 1979 Salvatore ha soltanto 17 anni, ma decide di arruolarsi per seguire il loro esempio e frequenta un corso di formazione militare. E’ solo un adolescente, ma ha le idee chiare: sogna di fare carriera nell’Arma dei carabinieri e innamorarsi, per costruire la sua famiglia.
La sua prima destinazione, subito dopo il corso, è la Caserma di Casal di Principe, in provincia di Caserta, in cui dovrà trascorrere almeno cinque anni prima di chiedere un avvicinamento alla sua famiglia. Non è semplice per un ragazzo così giovane affrontare ciò che sta accadendo in Campania, solo nel 1980 ci sono stati quasi 200 omicidi. Raffaele Cutolo, il capo della Nuova Camorra Organizzata, pretende una tassa su ogni attività illecita legata al contrabbando di sigarette: questa la causa che ha scatenato la mattanza. E poi ci sono i miliardi in arrivo per la ricostruzione post – terremoto, che fa gola a tanti, troppi interessi criminali.
Salvatore prende con serietà il suo ruolo, ciò che quella divisa rappresenta incarna i suoi ideali di giustizia. Si fa riconoscere subito questo giovane militare, che non ha paura di sfidare i giovani rampolli della camorra. Li ferma per strada per accertamenti e non ha paura di dimostrare la sua contrarietà verso un atteggiamento che ritiene troppo morbido da parte di alcuni suoi colleghi.
Nella primavera del 1982, ha addirittura osato fermare Mario Schiavone Menelik, cugino di Francesco Schiavone Sandokan, autista e uomo di fiducia di Antonio Bardellino, capo indiscusso del clan dei casalesi. Lo stesso Menelik resta ucciso il 20 giugno del 1982 in un conflitto a fuoco con i carabinieri, ciò aveva scatena le ire di Sandokan che grida vendetta. La camorra sta sfidando lo Stato, non solo metaforicamente. Sandokan ha schiaffeggiato pubblicamente anche il maresciallo Matassino, proprio davanti alla caserma di Casal di Principe, vuole il nome del carabiniere che ha sparato. Soltanto molti anni dopo si verrà a sapere che il Maresciallo era a libro paga del clan.
"Fuori il nome di chi ha ucciso mio cugino, o salta in aria la caserma con tutte le persone dentro”, mandò a dire Sandokan. E un giorno passò anche alle vie di fatto direttamente con il maresciallo Gerardo Matassino, che allora comandava la stazione dell’Arma di Casal di Principe. Vicino alla caserma, proprio sulla pubblica strada, Sandokan prese a schiaffi il maresciallo chiedendo chi era stato a sparare al cugino. Più in là c’era Salvatore, mio fratello, che tentò di intervenire per arrestarlo. Sandokan stava per reagire, poi disse solo con tono minaccioso: “Fatti i fatti tuoi”. Matassino non fece cenno ad alcuna reazione dopo gli schiaffi, tanto che altri giovani carabinieri che avevano assistito alla scena rimasero sorpresi del suo comportamento. Ma il perché si venne a sapere solo molti anni più tardi, ad opera di un pentito.
E qualcuno lo consegna quel nome a Sandokan, quello di Salvatore. E non importa se quel giorno il militare era in Caserma e non aveva preso parte alla sparatoria. Salvatore lo viene a sapere, capisce di essere in pericolo e si confida con sua madre. A nulla servono le preghiere di Giuseppina, che vuole soltanto che il figlio si allontani per un po'. “So di dover morire, me lo hanno detto ma non ho paura, io sono un carabiniere”. Questa è la risposta che dà alla madre un giovane di 20 anni appena compiuti.
Il 2 luglio del 1982
E’ l’anno un cui si registra il più alto numero di omicidi in Campania, 237. Quel giorno Salvatore è a riposo e decide di trascorrere la giornata con la sua famiglia a Marano. Lì ci sono la sua mamma e il suo papà e suo fratello Antonio, l’unico che è rimasto al paese a gestire il negozio insieme ai genitori. Fa caldo quel pomeriggio di luglio, per strada non c’è molta gente. Salvatore è in compagnia di Bruno, un bambino a cui è molto legato e gli ha promesso in regalo una bicicletta, una BMX, se smette di andare in giro per le strade a chiedere soldi. Stanno giocando davanti al negozio, che è ancora chiuso, quando all’improvviso si sente chiamare.
Non esita, capisce subito che quei tre uomini che si avvicinano con le armi in mano sono lì per lui e getta per terra Bruno, che è seduto sulle sue ginocchia, e una raffica di proiettili lo travolge.
L’ultimo gesto di questo ragazzo con la testa sulle spalle è di salvare Bruno, il bambino a cui è molto legato e di cui si prende cura.
Vicenda giudiziaria
Le indagini partono a rilento, nessuno ha visto nulla. Quella che si mette subito in moto invece è la macchina del fango, il suo cognome pesa a Marano. E in molti collegano l’omicidio a una vendetta trasversale. Ma Salvatore e la sua famiglia non hanno alcun legame con la famiglia camorrista. Il caso viene ben presto archiviato, ma non la richiesta di verità da parte della sua famiglia.
Poi nel 1996, la svolta: l’operazione Spartacus 2 porta all’arresto di decine di affiliati al clan dei casalesi e di amministratori corrotti. Carmine Schiavone ha iniziato a collaborare con la giustizia e racconta anche i motivi che portarono alla decisione di uccidere il giovane carabiniere. Doveva essere vendicato il sangue di Mario Schiavone e la madre del camorrista volle che l’omicidio doveva compiersi davanti agli occhi dei suoi genitori. Salvatore fu la vittima sacrificale di una guerra cruenta e sanguinaria. I casalesi per compiere questo omicidio chiesero il permesso alla famiglia Nuvoletta di Marano e furono loro, con il supporto dei corleonesi loro alleati, a compiere il delitto, esigendo totale omertà.
Nel 2003 il Gip ha emesso la sentenza a 12 anni di carcere per l’esecutore materiale, Antonio Abbate in concorso con Raffaele Prestieri e Domenico Silvestri, già deceduti.
Salvatore me lo sono portato nel cuore. Ancora oggi mentre faccio le pizze nel ristorante italiano in cui lavoro, ogni tanto mi capita di pensare a lui, a lui che mi prometteva quella bicicletta.
Memoria viva
Nel 2003 a Salvatore è stata conferita la Medaglia d’oro al Merito Civile alla Memoria. Tanti negli anni sono stati i frutti nati dalla memoria di questo ragazzo che aveva osato sfidare lo strapotere dei casalesi. Nel 2009 è stato inaugurato il Centro Sportivo Polivalente a Casal di Principe, in un bene confiscato proprio a Francesco Schiavone, e intitolato alla memoria di Salvatore.
Il giornalista Raffaele Sardo ne parla nel libro edito da Tullio Pironti e promosso dalla Fondazione Polis, “Al di là della notte. Storie di vittime innocenti della criminalità”.
Nel 2011 è lo stadio di Marano a essere intitolato alla sua memoria, così come il presidio di Libera di Casal di Principe.
Nel 2018 l’associazione “Nuvoletta per Salvatore”, nata su volontà della sua famiglia, ottiene in gestione un bene confiscato e si inaugurano le attività del progetto Fattoria Sociale.
Nel 2019 è inaugurata la scuola dell’infanzia di Casal di Principe in un bene confiscato alla camorra e dedicata a Salvatore.