Salvatore Raiti nasce a Siracusa il 6 agosto del 1962. È il primogenito di quella che sarà una famiglia numerosa, avrà infatti cinque fratelli: Massimo, Francesco, Vincenza, Giovanna e Concetta.
Mamma Paola e papà Roberto decidono di chiamarlo Salvatore come il nonno paterno e il destino vorrà che nasca proprio nel giorno in cui si festeggia quel santo.
Salvatore è un bambino moro, simpatico e divertente, in famiglia riesce sempre a strappare un sorriso a tutti e, anche quando fa le sue piccole marachelle, è impossibile non ridere.
All’età di 9 anni viene colpito da una gravissima meningite; i medici dell’ospedale di Siracusa dove è ricoverato lasciano intendere che non ci sono speranze. Ma papà e mamma non si arrendono così, senza pensarci troppo, papà Roberto decide di portarlo all’ospedale di Catania. Durante il tragitto, in quella corsa disperata per quelle strade impervie, viene fermato da una pattuglia dei Carabinieri. I militari, accorgendosi del piccolo Salvatore sofferente sul sedile posteriore e ascoltando la tenacia del suo papà, decidono di scortarli a sirene spiegate, per raggiungere prima l’ospedale etneo. I medici dicono che Salvatore avrà gravi conseguenze, mentali e fisiche, eppure, grazie alle cure dei medici, all’amore della sua famiglia, e alla sua forza di volontà, Salvatore si rimette senza riportare nessuna conseguenza.
Questi sei mesi di ricovero e di sofferenza lo rendono più maturo e più attento alle difficoltà dei più deboli e fanno maturare in lui il desiderio di vestire la divisa dell’Arma dei Carabinieri.
La scelta di arruolarsi
E’ ancora minorenne quando Salvatore fa domanda per arruolarsi, ma mamma Paola non gli dà il consenso e deve quindi aspettare di compiere i 18 anni. Caparbio e desideroso com’è di indossare quella divisa, l’anno dopo, ormai maggiorenne, ci riprova. Mamma Paola, che è ancora convinta nella sua opposizione, dovrà arrendersi al desiderio del suo Salvatore. Il suo sogno si avvera il 7 marzo del 1981, quando viene ammesso a frequentare il corso d’istruzione presso la Scuola Allievi Carabinieri di Iglesias, in provincia di Cagliari. Al termine del ciclo formativo, il 19 settembre 1981, viene promosso Carabiniere e l’11 ottobre successivo destinato alla Stazione di Enna.
Già durante i primi mesi di servizio, un collega gli consiglia di lasciare la Sicilia per via dei troppi morti. Salvatore però non vuole andar via da Enna, dalla sua amata terra, dai suoi affetti e dalla sua famiglia.
E’ un ragazzo sensibile, legato alla famiglia, pieno di vita e di passioni; ama il calcio e la musica ed è un fan dei Pooh tanto che, ogni volta che va a casa dei genitori entra cantando alla mamma, con cui ha da sempre un legame particolare, “Tu sei, tu sei, l’unica donna per me”.
Il 16 giugno del 1982
Il 16 giugno del 1982 Alfio Ferlito, una delle più importanti figure della mafia catanese, deve essere trasferito da Enna al carcere di Trapani.
Il giorno precedente al trasferimento, i militari addestrati per quelle operazioni si rifiutano di prestare servizio per quel trasporto, così viene chiamato Salvatore, insieme ad altri due colleghi, Silvano Franzolin e Luigi Di Barca. I tre ragazzi, seppur senza aver mai frequentato dei corsi specifici, per l’alto senso del dovere e il profondo rispetto per la divisa che indossano, accettano senza esitazione.
La sera di quel 15 giugno, Salvatore fa una telefonata alla sua famiglia, li saluta tutti con affetto e commozione; loro percepiscono che c’è qualcosa di strano nel suo tono di voce, ma non capiscono cosa. Poi chiama la sua giovane e bella fidanzata, una ragazza di Enna che aveva da poco conosciuto e con la quale aveva intenzioni serie, e le confida che teme che da quella trasferta non sarebbe più tornato. Chiuso il telefono trascorre quella che sarà la notte più tormentata della sua vita: è consapevole del rischio che corre. La preoccupazione e la paura lo assalgono, ma non torna sui suoi passi, è convinto della sua scelta e vuole onorare al meglio il suo giuramento all’Arma.
Così, la mattina del 16 giugno, i tre colleghi si mettono in auto; alla guida c’è Giuseppe Di Lavore, autista della ditta privata che ha in appalto il trasporto dei detenuti e che quella mattina sostituisce suo padre. Dietro, al centro tra due Carabinieri, siede il boss Alfio Ferlito.
La tensione è tanta, sono tutti attenti e vigili, nonostante questo, non appena l’auto giunge sulla circonvallazione di Palermo, sotto il monte Pellegrino, viene affiancata da due autovetture di grossa cilindrata, rubate pochi mesi prima, da cui alcuni killer esplodono centinaia di colpi di fucile Kalashnikov e di lupara.
Un attentato violento, sanguinoso, che seppur diretto al boss catanese, non lascia scampo a nessuno.
Oltre a lui, quattro vite innocenti saranno stroncate, interrotte, deturpate. Salvatore, i suoi colleghi e l’autista, non faranno più ritorno a casa, dalle proprie famiglie, dai propri affetti. Moriranno in quell’auto, in quel giorno caldo in cui l’estate sembrava già prendere il sopravvento sulla primavera.
Dopo il mortale agguato, il commando mafioso si allontana, incendiando le auto che avevano usato e cambiando veicolo per non lasciare alcuna traccia.
I sogni e il sorriso di Salvatore vengono bruscamente interrotti su quella circonvallazione, a soli 20 anni.
Il papà di Salvatore, nell’atto del riconoscimento, non riuscirà a pronunciare parola; prenderà tra le braccia il suo ragazzo e gli canterà una dolce ninna nanna: l’ultima.
L’adorata mamma di Salvatore non resisterà a tutto quel dolore, si lascerà morire, a poco a poco.
Vicenda giudiziaria
Gli inquirenti riescono subito a capire che il mandante di quella strage è il boss catanese Nitto Santapaola, che da anni combatteva contro Ferlito una guerra per il predominio sul territorio etneo.
L'attentato, materialmente, era avvenuto per mano dei “Corleonesi” di Totò Riina, alleati di Nitto Santapaola.
A vent'anni dall'accaduto e grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, si riusciranno a individuare con esattezza gli attentatori e gli esecutori materiali: sono Francesco Paolo Anzelmo, Calogero Ganci, Salvatore Cuccuzza - tutti e tre poi pentiti - e i boss Antonino Madonia, Antonino Lucchese e Giuseppe Greco, detto Scarpuzzedda.
Quella strage voleva dimostrare la forza di Cosa Nostra che poteva agire impunemente, godendo di appoggi e di preziose informazioni provenienti da talpe annidate in ogni posto, senza alcun timore di coinvolgere nella tracotante azione stragista, anche le forze dell'ordine.
Memoria viva
La famiglia di Salvatore, e in particolare sua sorella Giovanna, sono da sempre impegnati per tenere viva la memoria di Salvatore.
Il presidio di Libera di Canicatti Bagni è intitolato alla sua memoria e, dal 13 maggio 2009, alla memoria di Salvatore è intitolata anche la Caserma, sede del Comando Stazione Carabinieri di Nissoria.
Salvatore viene insignito della Medaglia d'Oro al Valor Civile con la seguente motivazione: "Nel corso di un servizio di scorta, veniva raggiunto da numerosi colpi d'arma da fuoco esplosigli contro da alcuni malfattori, al fine di uccidere il detenuto tradotto. Sebbene gravemente ferito, impugnava l'arma in dotazione per affrontare gli aggressori ma, colpito a morte, si accasciava sul sedile. Splendido esempio di sprezzo del pericolo ed alto senso del dovere, spinti sino all'estremo sacrificio."
Per me è un dovere non fermarmi nel raccontare la storia di mio fratello e delle altre vittime! Finché c’è vita abbiamo la speranza di cambiare la cultura mafiosa!