Parole di memoria

A quarant'anni dalla Strage della Circonvallazione

A quarant'anni dalla Strage della Circonvallazione

In occasione del quarantesimo anniversario della “strage della circonvallazione”, in cui persero la vita i tre carabinieri Salvatore Raiti, Silvano Franzolin e Luigi Di Barca, insieme all’autista Giuseppe Di Lavore, Poste italiane creerà un annullo filatelico con un’immagine commemorativa riportante l’iscrizione del quarantennale della strage.

Il 16 giugno dalle ore 9.00, presso la Bottega di Libera Palermo, in piazza Castelnuovo 13, sarà organizzato per l’occasione un momento pubblico per la presentazione dell’iniziativa.

Per ricordare la vita di quanti sono stati uccisi in quel terribile agguato, riproponiamo le parole che ci ha regalato Giovanna Raiti, sorella di Salvatore, in memoria di suo fratello.

Il ricordo di Giovanna Raiti, sorella di Salvatore

Ciao morettino simpatico, da quanto tempo non ci vediamo! Troppi anni sono passati dall’ultima volta. Era il 7 di giugno del 1982, mamma era dalla zia che aveva partorito, io dovevo dedicarmi a fare la lavatrice alle tue bianche camicie e tu impaziente e spaventato che te le rovinassi, passeggiavi su e giù, aspettando la centrifuga. Ricordi la fototessera che mi hai lasciato, quella che ti era servita per la patente? Era in bianco e nero. Non sai quante volte l’ho guardata pensando a ciò che mi dicesti quando la mettesti in quella cornice bianca: Sembro un morto? Tanto si muore una volta sola, tienila lì può servire.

Fratello mio a cosa è servita a piangerci sopra? Dal quel 7 di giugno non ti ho più rivisto, se non al chiuso di una bara al buio e senza aria. Qui il tempo si era fermato, anche mamma si era fermata fisicamente ed emotivamente, senza stimoli per la vita e senza possibilità più di camminare. Adesso mamma è con te, avevi goduto del suo affetto per troppo poco tempo! Lei che per 29 anni non ha smesso di piangere la solita nenia: U picciriddu miu su scuddanu. Papà non ha ancora perso il ricordo di quando in quella camera mortuaria, allestita al cimitero di Palermo, ti sollevò dalla bara accarezzandoti e cullandoti, come se in braccio avesse un bimbo, ti cantò l’ultima ninna ninna, anche se poi gli mancò il coraggio di riconoscere quel corpo inerme e mai disse: questo è mio figliolo.

Fratello mio, ci siamo ritrovati dentro un fosso, improvvisamente, tentavamo la risalita ma quando qualcuno scivolava sul fondo si ritornava indietro. Ci è voluto un decennio o forse più, prima di riscoprirmi una sopravvissuta. Si, sopravvissuta a un grande dolore, ma c’ero. Sentivo i pianti di mamma e di papà e dovevo smettere i panni del “familiare vittima”, dovevo reagire. All’inizio avrò sbagliato qualcosa, perché mi ero creata troppe inimicizie tra le varie personalità di spicco, loro erano convinti che la mafia non esistesse e a Siracusa, le saracinesche che saltavano e gli spari che si udivano sembrava frutto di fantasie o visioni oniriche.

La fortuna nostra, mia e tua, è stata quella di avere incontrato amici che ci hanno teso la mano senza per forza volere nulla in cambio. Sono gli amici di Libera, da loro e attraverso loro ho trovato una culla in cui cullare un grande dolore, una culla in cui sognare di poter cambiare il mondo. Come? Raccontando alle nuove generazioni cosa accadde quel maledetto 16 giugno del 1982, quando un giovane carabiniere di soli 19 anni, si ammanettò a un boss di grosso calibro, non lo nominerò per non sporcare questa lettera con nomi d’infami, e rese quella spoglia divisa, senza stelle di merito, tanto grande quanto quella di un Generale. Ahhh!!! Se solo nell’ultima telefonata, quella del 15 di giugno, mi avessi detto la verità, forse ti avrei convinto a rinunciare, come aveva fatto il collega che sostituivi. Muto restasti, ligio al dovere e a quella divisa che tanto temevi e tanto amavi …

Salvatore, fratello mio, tutta una notte a piangere per la paura di affrontare quel 16 giugno e tanto coraggio per mettere la paura sotto gamba e compiere il tuo dovere l’indomani. Da solo eri, tu e le tue paure, tu e le tue lacrime senza il conforto della tua mamma, il consiglio del tuo papà … hai fatto tutto da solo, come un grande UOMO, hai preso la decisione più importante della tua vita, una decisione che ci ha smembrati ma allo stesso tempo inorgogliti. Adesso non sei più un carabiniere legato alla strage della circonvallazione, hai un nome, un volto e la dignità di un essere umano e quella di un carabiniere.

Vita mia, che ne sanno i tuoi assassini di come siamo stati cresciuti, quale meravigliosa donna coraggio ci ha partorito ed educato. Non conosceranno mai donne di quella risma morale, di quella rettitudine interiore, le loro donne, succubi di una cultura mafiosa, tramandano ai figli il culto del male, le loro donne non avranno mai il coraggio che ha avuto nostra madre, quella di crescere sei figli, nella miseria della nostra terra, che a quei tempi miseria offriva e a fare dei suoi figli esempi per i giovani d’oggi.

Ciao, fratellino mio, mi manchi tanto e ti voglio un bene dell’anima. Un caro saluto dai tuoi fratelli Massimo, Francesco, Vincenza e Concetta.