8 febbraio 1993
Mercogliano (AV)

Pasquale Campanello

Pasquale Campanello, 33 anni è un agente della Polizia Penitenziaria. È in servizio al carcere di Poggioreale di Napoli, al Padiglione Venezia, il padiglione del regime di carcere duro per i boss della criminalità organizzata.

È originario di Avellino, dov’è nato il 14 novembre del 1960, e lì vive con la sua famiglia.
Si diploma in agraria e inizialmente pensa di fare l’enologo, ma poi, con il passare degli anni, cambia idea e sceglie di indossare la divisa, rinunciando ad altri sogni. Ma quella decisione non è affatto un ripiego per Pasquale, lo fa con convinzione e con alto senso del dovere e dello Stato. È felice di questa scelta perché pensa, nel suo piccolo, di poter dare il suo contributo per la giustizia.
Così, poco più che ventenne, si arruola nel Corpo degli Agenti di Custodia.
Sono questi gli anni in cui la camorra ha dato inizio a una delle guerre più sanguinose per il dominio del territorio. Nel carcere di Poggioreale la criminalità organizzata cerca di imporre il proprio dominio, che viene però messo a rischio dalle prime collaborazioni dei pentiti. Ma il pericolo più grande, per la criminalità organizzata, sono gli uomini come Pasquale che non abbassano la guardia, che applicano e fanno rispettare la legge dello Stato e non si piegano alla “legge” della camorra.

Il matrimonio

Pasquale è immerso nel lavoro ma nel frattempo conosce Antonietta, di cui si innamora subito. I due giovani ben presto decidono di sposarsi coronando il loro sogno di metter su famiglia. Pochi anni più tardi conosceranno la gioia di diventare genitori, prima di Silvia e qualche anno più tardi di Armando. Pasquale è un papà premuroso e affettuoso. Stravede per i suoi due bambini e non appena finito il turno non vede l’ora di tornare a casa per coccolarli e giocare con loro. 
Nel 1990 ci sarà una riforma con cui avverrà la smilitarizzazione e quindi l’istituzione del Corpo di Polizia Penitenziaria, così Pasquale diventa sovrintendente della Polizia Penitenziaria, facendosi apprezzare per il rigore e la serietà con cui svolge il suo lavoro. Pasquale, infatti, è un uomo attento e preciso, che mette sempre impegno in ogni cosa che fa e non si tira mai indietro difronte al suo dovere.
Viene assegnato al padiglione di massima sicurezza “Venezia” del carcere di Napoli Poggioreale, quello cantato nel “Don Raffaè” di De André. Il padiglione “Venezia” è uno dei reparti più difficili e impegnativi dello storico carcere napoletano; ospita infatti detenuti appartenenti alla criminalità organizzata, camorristi e mafiosi di altri territori, detenuti al regime del 41bis. Pasquale sa di correre seri rischi per la sua vita, eppure non chiede di essere spostato in un altro reparto ma porta aventi il suo lavoro con passione e rettitudine. Nonostante il trasferimento vuole continuare a vivere a Mercogliano, piccolo paese della provincia di Avellino dove si è stabilito con la sua famiglia, così, ogni giorno, percorre quotidianamente la tratta Avellino-Napoli, come tanti altri lavoratori di quella zona. 

L'8 febbraio 1993

L’8 febbraio del 1993 Pasquale si alza presto, come sempre, per andare al lavoro. È pronto e sta scendendo di casa quando sente Armando piangere nella sua culla; così torna indietro, lo prende tra le braccia per cullarlo e poi portarlo nel lettone con Antonietta. Li bacia entrambi e va al lavoro.
Il pomeriggio Pasquale ha finito il suo turno; come ogni giorno smette la divisa e lascia la pistola d’ordinanza in Istituto, per fare ritorno a casa, dalla sua famiglia che è lì ad aspettarlo. Durante il tragitto in autobus che lo separa dai suoi cari pensa a quali nuovi giochi farà quel giorno insieme a Silvia, alle coccole da dedicare al piccolo Armando e al tempo da trascorrere con la sua amata Antonietta.
Sono quasi le sei quando arriva a Mercogliano, scende dall’autobus con cui ha viaggiato da Napoli e si dirige verso la sua abitazione. È felice e non può certo immaginare che ad attenderlo nei pressi di casa ci sono quattro sicari. Non sa che qualcuno ha deciso che quel giorno a casa non ci sarebbe dovuto arrivare. I quattro killer, armati di fucili a pompa e pistole, lo aspettano sotto casa per punirlo: Pasquale è per la Camorra colpevole di applicare le regole con rigore, colpevole di non essersi piegato a intimidazioni e minacce. Va punito per aver dichiarato, attraverso il comportamento incorruttibile e deciso, la sua scelta di stare dalla parte dello Stato. Pasquale entra nel cortile di casa ed è allora che i sicari fanno fuoco, sparando per ben quattordici volte mentre lui è di spalle. Quattro di quelle pallottole lo centreranno alla testa. Una vera esecuzione. Gli assassini fuggono a bordo di un’Alfa mentre Pasquale giace a terra, in una pozza di sangue, a pochi passi dai suoi bambini, Silvia di appena 4 anni, e Armando, di soli pochi mesi, e dalla sua Antonietta che lo aspetta per accoglierlo dal lavoro.

Silvia aspettava sempre il papà: per quanto piccola fosse, aveva imparato che Pasquale, a quell’ora, rincasava dal lavoro e lo aspettava con trepidazione.
Antonietta Oliva - moglie di Pasquale

Pasquale, un ragazzo coraggioso, onesto, un ligio servitore dello Stato, ha pagato con la vita la propria integrità morale. Ucciso per essere stato fedele ai valori in cui credeva fortemente, per difendere l’onore della divisa e del Corpo di Polizia Penitenziaria e per non essersi piegato alla violenza della camorra.

Quando ascolto notizie di uccisioni e sparatorie effettuate dalla criminalità, mi indigno perché penso che il valore della vita sia impagabile, motivo per il quale nessuno può decidere della vita o della morte di altri, né per i propri interessi né vedere che effetto faccia uccidere una persona. E in questo, il rispetto delle regole assume un ruolo fondamentale: le regole non costituiscono un limite, tutt’altro. Solo chi è onesto e vive nella legalità può considerarsi realmente libero. Come mio padre che se ne è andato da uomo libero. Tutti dovremmo indignarci dinanzi alla violenza camorristica, alla corruzione: è dato a noi tutti reagire ed opporsi ad esse.
Silvia - figlia di Pasquale

Vicenda giudiziaria

Purtroppo, a oggi, non è stato possibile individuare e assicurare alla giustizia gli esecutori materiali e i mandanti dell’omicidio Pasquale. Ma quello che è emerso a seguito delle indagini è che la morte di Pasquale Campanello rientra nel più ampio quadro della strategia della tensione attraverso la quale la criminalità organizzata ha puntato a ottenere una modifica e un alleggerimento del regime di carcere duro in vigore proprio al braccio “Venezia” nel quale operava il sovrintende avellinese. Il movente risulta così legato alla grande professionalità di Pasquale, agente incorruttibile, che non si piega né gira la testa dall’altro lato. La sua colpa è la ferma volontà di non tradire l’onorabilità della sua divisa, i principi fondanti del suo lavoro, il rispetto delle leggi.

Memoria viva

Per tenere viva la memoria di Pasquale è stato realizzato un docu-film, dal titolo “Un giorno come tanti”, realizzato da Giovanni Centrella. 
È stato inoltre istituito il Premio “Pasquale Campanello”, promosso dall’associazione Libera e il presidio di Libera Atripalda, nato nel 2015, ha scelto di intitolarsi alla memoria di Pasquale, servitore dello stato, vittima innocente di mafia.