Giuseppe Biccheri nasce a Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, nel 1944.
Proviene da una famiglia umile e sin da giovane si rimbocca le maniche per aiutare la famiglia. È un uomo gentile e generoso, sempre disponibile per aiutare chi è in difficoltà. È un grande lavoratore, fa il camionista e non si lamenta mai, è sempre positivo e solare.
Quando è ancora giovane conosce Annunziata, con la quale nasce subito un forte legame. I due si innamorano e decidono di mettere su famiglia. Sono una coppia felice e negli anni arriveranno quattro figli, Antonino, Raffaella, Francesca e Valentina.
Giuseppe è un papà attento e premuroso; nonostante manchi spesso per lavoro, appena può, si dedica ai suoi bambini. Ama trascorrere del tempo con loro e quando cresceranno e, a loro volta, si creeranno delle rispettive famiglie, Giuseppe diventerà un nonno affettuosissimo e giocherellone.
La vita di Giuseppe e della sua famiglia sembra così trascorrere su binari sicuri.
L’8 maggio del 1998
Il venerdì 8 maggio del 1998 Giuseppe è appena andato a prendere Annunziata, uscita da Messa. Tornano a casa e lì incontrano la loro figlia Francesca con i due nipotini: Mariangela e Giuseppe. Ci sono stati i colloqui a scuola di Mariangela e loro sono di rientro.
Mamma Francesca ha avuto grandi soddisfazioni e Mariangela si è fatta rossa sulle guance, un po’ per la timidezza e un po' per il piacere quando le sue maestre l’hanno lodata.
Così, Francesca racconta con orgoglio ai nonni che le maestre sono molto felici del suo andamento scolastico e anche del suo comportamento in classe e tutti insieme decidono di andare a comprare un bel gelato, da gustare per festeggiare questa bella notizia.
Salgono tutti e cinque in auto, la Croma grigia di nonno Giuseppe; il clima è gioioso. Dopo essersi goduti il gelato si rimettono in auto per fare rientro a casa. Sono quasi le 19 quando succede l’inimmaginabile.
In quegli istanti dei killer mafiosi hanno appena compiuto un agguato in una macelleria, appartenente a un boss della ‘ndrangheta. Gli obiettivi sono gli affiliati del clan Polimeni. L’auto di Nonno Giuseppe passa, inconsapevolmente, davanti a quel negozio proprio in quegli istanti e gli assassini, scambiatala per quella, identica, del padre di uno degli uomini che hanno appena ucciso, aprono il fuoco contro la famiglia di Giuseppe. All’interno della loro auto le urla si susseguono, senza però che siano in grado di riuscire a capire cosa stia davvero succedendo. Giuseppe, nonostante sia stato colpito gravemente da alcuni di quei proiettili, trova la forza di spingere sull’acceleratore e far ripartire la sua auto per portarla lontano da quella strada. Così, con tutte le poche forze rimastegli si dirige verso la strada principale, riuscendo ad allontanare l’auto da quella pioggia di proiettili e, soprattutto, mettendo in salvo la sua adorata famiglia.
Non tutti i suoi cari però sono salvi. Mariangela è stata gravemente colpita da alcuni di quei proiettili e per lei non ci sarà niente da fare. Un giovane ragazzo che ha visto la scena corre verso l’auto, prende in braccio il corpicino della piccola e va verso l’ospedale, che dista pochissimi metri dal luogo in cui l’auto si è fermata. Ma quella corsa disperata non servirà: Mariangela morirà pochi istanti dopo, senza aver neanche compiuto 9 anni.
Anche nonno Giuseppe non sopravviverà a quel pomeriggio, troppo gravi saranno le ferite riportate: morirà in quell’auto, non appena certo di aver messo in salvo i suoi cari.
La sua adorata Annunziata, sua figlia Francesca e il nipotino Giuseppe, raggiunto da ben 21 colpi, riporteranno gravissime ferite. Ridotti tutti e tre in fin di vita, sopravviveranno per miracolo e solo grazie al gesto generoso e carico di amore di Giuseppe. Per loro serviranno numerosissimi e ripetuti interventi chirurgici prima di poter uscire dall’ospedale e ancor più gravi e perenni saranno le cicatrici emotive: il dramma dell’assenza improvvisa di persone amate, strappate alla vita con inaudita violenza davanti ai loro occhi.
Francesca apprenderà della morte della sua bambina e del suo papà solo un mese dopo la strage, quando è ancora ricoverata all’ospedale di Polistena. I medici infatti, consiglieranno ai familiari di non farlo subito, onde evitare di compromettere la ripresa.
Noi eravamo cinque persone ma a casa ne siamo tornate una e mezza. Due sono morte e le altre tre dopo, non erano più persone intere. Quelle rimaste erano mezze persone. Purtroppo siamo passati da un posto dove c’erano delle bestie sanguinarie che stavano fuggendo dopo aver già ucciso delle persone. Erano all’incirca le 19. La nostra macchina era uguale a quella di qualcuno che pensavano potesse essere un loro nemico, e senza esitazione alcuna, appena siamo entrati nel loro spazio visivo, hanno iniziato a spararci addosso. Erano in cinque e ce li siamo visti davanti all’improvviso dietro la piazzetta del paese. All’interno della macchina le urla dei bambini, le mie e quelle di mia madre. E tutto questo senza ancora renderci conto di nulla. Sentivamo solo il dolore e vedevamo il sangue uscire da tutte le parti.
Vicenda giudiziaria
Gli inquirenti ricostruiranno che il duplice omicidio consumato nella macelleria è da ricondurre alla faida tra clan che in quegli anni sta insanguinando il paesino dell’Aspromonte, che in pochi anni ha causato 50 morti. Si tratta di una vendetta della famiglia Gugliotta nei confronti dei rivali Polimeni.
La famiglia di Mariangela, invece, è una famiglia pulita, che non c’entra niente con la mafia e con le guerre tra clan rivali. Colpevoli solo di aver percorso quella strada.
L’omicidio di Giuseppe e della sua nipotina Mariangela provoca una reazione forte da parte della comunità, tanto che il Comune si costituirà parte civile nel corso del processo.
La morte di nonno Giuseppe e Mariangela, è però, ancora oggi, senza colpevoli e attende verità e giustizia.
A noi hanno tolto dei pezzi di cuore. La nostra vita è ormai distrutta sia per i morti che per i vivi. Per i morti perché li dobbiamo piangere e non c’è giorno in cui non li ricordiamo. E per i vivi perché bisogna fare i conti con la rabbia che abbiamo dentro e che non può essere assolutamente manifestata perché io ho altri figli e non voglio che crescano con l’odio dentro.
Memoria viva
La famiglia Biccheri, colpita così gravemente dal dolore, non è mai rimasta in silenzio e con tanto coraggio e forza si è da sempre spesa con le associazioni del territorio per testimoniare l'importanza dell’impegno, della memoria, che ha scelto da che parte stare.
Nel 2002 e nel 2008, la famiglia Biccheri ha ottenuto il riconoscimento dello status di vittima innocente della mafia.