5 maggio 1960
Termini Imerese (PA)

Cosimo Cristina

Cosimo Cristina è un ragazzo allegro, gioioso, che non si abbatte mai, nonostante le difficoltà, è sempre entusiasta della vita. Ma Cosimo è anche un tipo curioso e attento a ciò che accade nel suo territorio e, sin da piccolo, sente di voler fare il giornalista. Infatti, inizia la sua carriera di giornalista nel 1955, a soli vent'anni.

Cosimo Cristina nasce a Termini Imerese, comune della Provincia di Palermo, l’11 agosto del 1935. È figlio di un ferroviere e ha tre sorelle alle quali è legatissimo. Anche con la mamma ha un legame molto forte e speciale ed è affettuoso e premuroso con tutte le donne di casa.
È un ragazzo allegro, gioioso, che non si abbatte mai, nonostante le difficoltà, è sempre entusiasta della vita. Ma Cosimo è anche un tipo curioso e attento a ciò che accade nel suo territorio e, sin da piccolo, sente di voler fare il giornalista. Infatti, inizia la sua carriera di giornalista nel 1955, a soli vent'anni. 
Ama profondamente la sua professione e, nel giro di pochi anni, assieme all’amico e collega Giovanni Cappuzzo, fonda e dirige il periodico “Prospettive Siciliane”. Data la sua bravura e professionalità, dal 1959, inizia anche a collaborare come corrispondente per “L'Ora” di Palermo e per l'agenzia ANSA. Inoltre, collabora con alcune testate nazionali quali: “Il Giorno” di Milano, “Il Messaggero” di Roma, “Il Gazzettino” di Venezia e il “Corriere della Sera”.

Con il suo settimanale punta, oltre che sull'attualità, sulla cronaca nera e giudiziaria e sul fenomeno mafioso e le sue ramificazioni nei territori di Termini Imerese e della vicina Caccamo. Da subito, infatti, la testata comincia a pubblicare denunce, inchieste, scavando dietro la realtà, indagando su omicidi di mafia facendo nomi e cognomi di boss. Le minacce e le intimidazioni arrivate non fermano però lo spirito di giustizia di Cosimo. Lui, giovane e ambizioso, scrive in particolare inchieste sugli intrecci tra mafia e politica nella zona delle Madonie, perché vuole rompere il velo di omertà e far emergere la verità sui tanti fatti di cronaca che si stanno succedendo in questi anni. È un cronista libero, non asservito a nessuno, onesto: “un giornalista senza peli sulla lingua”, amava definirsi da solo.
Sono questi gli anni in cui la mafia sta mettendo le mani su vari settori dell’economia locale, Cosimo, da giornalista attento e scrupoloso qual è, coglie questi segnali di cambiamento dei clan e vuole raccontarli.

Cosimo poi, oltre a essere uno stimato professionista, è un bellissimo ragazzo. Porta i baffi a punta e il pizzetto, molti lo chiamano appunto D'Artagnan, e gli piace vestire accuratamente: porta sempre eleganti camicie, giacche doppiopetto e papillon a giro collo al posto della cravatta. È solito girare in paese con la su bici, elegante e sorridente. È un ragazzo profondamente garbato e onesto, ed è fidanzato con Enza Venturelli, suo grande amore. I due ragazzi si sono incontrati in una sera di agosto a Caltanissetta, nel bar vicino al Duomo dove lei lavora. Lui era andato lì per lavoro, per seguire un processo, ed era entrato per caso in quel bar. I due ragazzi si piacciono subito. Da quel momento inizia una forte corrispondenza epistolare, Cosimo le scrive tantissime lettere, dolcissime, cariche di amore e frasi poetiche, attraverso le quali le fa sentire il suo profondo sentimento. I due sognano un futuro insieme, progettano il matrimonio, desiderano dei figli, si promettono amore eterno. Si vedono appena possibile, amano fare lunghe passeggiate sul mare, mano nella mano, godendosi ogni istante di vita insieme. Lui le regala un anello, segno del fidanzamento e della promessa di sposarla presto.

Aveva un particolare fiuto della notizia-sensazione, della notizia da prima pagina. Se l’era fatto tutto da sé, con la sua ostinata capacità, con il suo grande intuito, ed aveva un programma ben definito: sapeva quello che voleva. Per primo, in un periodo in cui era pericoloso muoverci nella nostra provincia in un certo modo, affondare il bisturi su certi temi tabù, affrontare certi argomenti spinosi, egli ebbe questo coraggio. Il mestiere lo conosceva, con un istinto da sbalordire anche i più preparati giornalisti.
Giovanni Cappuzzo - collega e amico di Cosimo

Le inchieste di Cosimo

Tra le tante inchieste a cui Cosimo dedica anima e corpo, c’è quella riguardante l’uccisione del sacerdote Pasquale Culotta, avvenuta a Cefalù nel 1955 e del processo dell'omicidio di Carmelo Giallombardo, il cui cadavere fu trovato mutilato lungo la strada ferrata Palermo-Messina. Particolare interesse suscitano in Cosimo tutta una serie di estorsioni e di attentati, avvenuti a Mazzarino alla fine degli anni ‘50, culminati con l’omicidio del cavaliere Angelo Cannada, il 5 maggio 1959, e con il tentato omicidio del vigile urbano, Giovanni Stuppìa. Venne arrestato l'ortolano del convento dei monaci, Carmelo Lo Bartolo, ma il magistrato non farà in tempo a interrogarlo: lo troveranno morto nella sua cella. Secondo il medico legale la causa del decesso fu: "asfissia da ostruzione meccanica delle vie respiratorie". Eppure la moglie sosteneva a gran voce: “Me lo hanno suicidato”. Poi, il 16 febbraio del 1960, il procuratore Lamia emette ordini di arresto per quattro frati del convento di Mazzarino. L'accusa per tutti era di associazione per delinquere, simulazione di reato, omicidio, estorsioni e violenze private. Cosimo segue con attenzione tutto ciò che accade e il 26 febbraio del 1960, sulla prima pagina del periodico da lui diretto appare un titolo a nove colonne che recita così: "Avvocato di Mazzarino, corrispondente di un noto giornale siciliano, è il capo della famigerata banda dei monaci". 

Affronta una serie di beghe legali, tutte queste attività di cronaca non sono certo ben viste dalle cosche mafiose locali e, anzi, gli costeranno proprio la condanna a morte da parte di alcune famiglie mafiose.

Il 3 maggio del 1960

La mattina del 3 maggio Cosimo esce di casa verso le 11. Come sempre, è ben vestito, col solito cravattino, la barba appena fatta e accuratamente profumato.
La sera, i genitori e le tre sorelle, non lo vedono rientrare ma non si preoccuparono più di tanto perché già altre volte era capitato che Cosimo tornasse a casa molto tardi e l'indomani raccontasse i particolari di un'inchiesta alla quale stava lavorando. Il giorno prima ha detto in famiglia che sarebbe uscita una notizia bomba sul giornale "L'Ora" di Palermo, così i suoi familiari collegano il ritardo a questa informazione ricevuta da Cosimo.

Ma la mattina dopo, al risveglio, lui non c’è. Non è rientrato e allora si allarmano: vengono allertate le Forze dell’ordine e iniziano subito le ricerche, senza sosta. Tutti lo cercano, i familiari, la fidanzata, gli amici, i Carabinieri. Sono giorni di ansia e disperazione ma anche di speranza, che sarà spezzata due giorni dopo.
Il suo corpo sarà ritrovato alle 15:35 del 5 maggio: è disteso al centro dei binari, a pancia in su e con la testa che sfiora la rotaia, nei pressi della galleria Fossola, vicino Termini Imerese. Il suo giovane corpo è dilaniato e il suo cranio sfondato. Per terra verranno trovati il portafoglio, un mazzo di chiavi e un portasigarette. In tasca aveva una schedina del totocalcio appena giocata e un bigliettino per il suo caro amico Giovanni Cappuzzo, con quale si scusava per il gesto estremo. Il biglietto contiene solo un brevissimo accenno alla sua adorata fidanzata mentre nessun messaggio c’era per la mamma e per le tre sorelle: cosa molto strana dato l’amore per la sua fidanzata e il fortissimo legame che ha con sua mamma e le sue sorelle.
Tra i primi ad accorrere sul luogo del ritrovamento ci sarà proprio il padre di Cosimo, Luigi, che non può certo immaginare di ritrovare il corpo di suo figlio senza vita.

Cosimo è stato ucciso perché scriveva sui giornali e io glielo dicevo di essere prudente. Non mi ascoltava. Mi hanno riferito che qualcuno rideva quando lo avvicinavano per strada e lo minacciavano senza mezzi termini. Fondò il suo giornale per poter scrivere di più e meglio contro la mafia. La sua condanna a morte fu decisa quel giorno. Mi portò la prima copia di «Prospettive Siciliane». Era felice. Io tremai a leggere i soli titoli. Quando il pomeriggio di quel giorno maledetto mi dissero che l’avevano trovato morto tra i binari il cuore mi si fermò. Dissi: ecco lo hanno fatto!
mamma di Cosimo

Vicenda giudiziaria

Il ritrovamento del suo corpo sui binari delle ferrovie all'interno della galleria fa in un primo momento concludere agli inquirenti che si sia trattato di un suicidio. Così il caso venne subito archiviato.
Infatti, le circostanze dell'assassinio vennero studiate dai suoi killer per far apparire tutto come se si trattasse davvero di un suicidio.
Eppure troppe cose non quadrano, troppe sono le domande rimaste senza risposte e a farlo notare sono dapprima i familiari di Cosimo, supportati poi dai colleghi de “L'Ora" di Palermo e dal collega giornalista Mario Francese – anche lui poi barbaramente ucciso dalla mafia. Ma bisognerà attendere ben sei anni prima che le loro voci vengano ascoltate e il caso venga riaperto. 
Infatti, il 16 aprile del 1966, durante una riunione tra i questori della Sicilia, si decide di dare vita al "Centro regionale di coordinamento per la lotta alla criminalità organizzata" con lo scopo di indagare sui tanti delitti rimasti impuniti in quegli anni. La direzione di questo coordinamento verrà affidata al vice-questore di Palermo, Angelo Mangano (colui che è riuscito a far arrestare il boss e pluriricercato Luciano Ligio e altri boss locali), che si mette subito al lavoro e, in poco più di due mesi di indagini, prese vita il c.d. "Dossier del nucleo Mangano sui misteri delle Madonie" e così, il caso di Cosimo sarà riaperto.
Nel corso delle indagini fu più volte sentito dagli inquirenti il professor Giovanni Cappuzzo, amico d'infanzia di Cosimo con cui aveva condiviso gli ultimi anni nella redazione di "Prospettive Siciliane". Giovanni racconterà di essere stato avvicinato da Accursio Mendola, figlio adottivo del boss Emanuele Nobile, il quale gli consigliò di stare molto attento e di abbandonare al suo destino Cosimo, già condannato a morte da un "tribunale di mafia". Interrogato dai magistrati, Mendola incredibilmente confermerà l'episodio.
Il funzionario di polizia è convinto che a uccidere Cosimo siano state le cosche mafiose termitane, con l’assenso della famiglia di Caccamo, che tenevano sotto controllo la zona. Il movente dell’omicidio sarebbe da ricercare in un’inchiesta che scavava dietro i misteri dell’uccisione del pregiudicato Agostino Tripi, denunciato per un attentato dinamitardo a una gioielleria, poi eliminato dalla mafia perché “parlava troppo”.
Secondo la sua ricostruzione Cosimo sarebbe stato tramortito da un colpo di spranga alla testa e solo successivamente gettato sui binari della galleria per simulare il suicidio.
Alla luce di questi importanti sviluppi, il 12 luglio 1966, il corpo di Cosimo sarà riesumato per l'autopsia. Ma, nonostante gli importanti elementi raccolti, la relazione depositata dai periti Marco Stassi e Ideale Del Carpio, andrà in contrasto con le tesi del nucleo di coordinamento coordinato da Mangano, stabilendo che si era trattato di un chiaro caso di suicidio.
Il caso venne perciò nuovamente archiviato come suicidio.
Quando tutto sembra perduto, nel 1999, il giornalista catanese Luciano Mirone torna sul caso e, anche se a distanza di molti anni, riprende la documentazione di Mangano e mette in luce le chiare contraddizioni del referto autoptico, sottoponendolo all'attenzione di Vincenzo Milana, professore di Medicina legale dell'Università di Catania. Ma non si ferma qui. Organizza una raccolta di firme con la quale chiede alla Procura di Palermo la riapertura dell'inchiesta. Tuttavia, nonostante il grande impegno, il suo appello resterà inascoltato.

Andai a Termini e – malgrado gli anni trascorsi – trovai una città spaventata. C’era da capirlo: dopo un quarto di secolo comandava ancora la famiglia Gaeta, un nome che Mangano nel 1966 aveva indicato fra i mandanti del delitto. La paura era palpabile, al punto che ebbi l’impressione che la versione del suicidio fosse un formidabile alibi sociale per evitare problemi con i mafiosi.
Luciano Mirone - giornalista

Memoria viva

Dopo molti anni di silenzio su questo caso, in tanti hanno cominciato a occuparsene e a ricordare la vita e l’impegno di Cosimo, continuando a chiedere giustizia per il suo omicidio.
Il 5 maggio 2010, per il cinquantesimo anniversario della morte di Cosimo, la rivista Espero insieme al Comune di Termini Imerese e all’Ordine dei Giornalisti di Sicilia decidono di mettere una lapide nel luogo in cui venne trovato il suo corpo.
Il 5 maggio 2013, durante la manifestazione “Infiorata Termitana”, il giornale Espero ha organizzato un recital di poesie dedicate a Cosimo e ha raccontato la vita del giornalista alla presenza di tutti i cittadini.
Ancora, nel settembre 2016, durante una cerimonia nel Giardino della Memoria di Ciaculli, sono stati piantati due alberi per ricordare il giudice Alberto Giacomelli e il giornalista Cosimo Cristina. L’iniziativa è stata realizzata dall’Unione nazionale cronisti italiani e dall’Associazione nazionale magistrati. Gli alberi sono stati piantati in un terreno confiscato alla mafia.
Luciano Mirone nel 1999 ha pubblicato con Castelvecchi il libro "Gli insabbiati", storie dei giornalisti siciliani uccisi dalla mafia e il primo capitolo è dedicato proprio a Cosimo Cristina. Ispirandosi al suo libro sulle storie dei giornalisti uccisi dalla mafia, Mirone nel 2011 ha scritto un recital-monologo dal titolo “Uno scandalo italiano. Storia di Cosimo Cristina, il primo giornalista 'suicidato' da Cosa Nostra”. Nel 2015 la Round Robin editrice ha pubblicato la graphic novel “Cosimo Cristina. Il ‘cronista ragazzino’ ucciso dalla mafia”, con i testi di Luciano Mirone e la copertina illustrata da Antonio Bonanno, prefazione di Giancarlo Caselli.
Nel 2015, Enza Venturelli, la fidanzata di Cosimo, assieme a Roberto Serafini ha scritto un libro: “Vi racconto il mio Cosimo Cristina”, Edizioni Youcanprint.

È stato uno dei primi promotori della legalità. Non si è fermato di fronte alle minacce. È andato avanti nel suo lavoro con coraggio e determinazione anche se questo gli ha causato la morte. Deve essere un esempio per i giovani. Per questo ringrazio calorosamente tutti i cronisti e i cittadini che, con varie iniziative, tengono viva la memoria di mio zio e di tutti gli altri giornalisti.
Natalina Di Fatta - nipote di Cosimo