Florentina Motoc nasce nel 1980 a Dorohoi, una municipalità rumena di 30.661 abitanti, situata nella regione storica della Moldavia. La Moldavia è considerata come la culla della cultura romena ed è qui che Tina, così la chiamavano tutti, trascorre la sua infanzia.
La sua è una famiglia semplice, ma forte è il legame che gli unisce. Il padre e i fratelli lavorano come operai in una fabbrica di vetro, ma la crisi li colpisce e la fabbrica chiude. Così all’improvviso la famiglia si ritrova senza più alcuna fonte di reddito. L’unica soluzione possibile che Tina riesce a trovare, nonostante la sua giovane età è andare via, per cercare fortuna altrove e poter aiutare la sua famiglia. Accetta una proposta allettante, un lavoro in Turchia e parte.
Si ritrova in un Paese che non conosce, da sola e soprattutto è stata ingannata. La promessa di un lavoro onesto con un buono stipendio, in realtà nasconde la difficile realtà. Tina è finita nella rete dei trafficanti che la obbligano a prostituirsi. Non ha scelta, non sa a chi rivolgersi. È diventata una merce nelle mani di altri uomini.
Tina rimane incinta e i suoi protettori le concedono di tornare nel suo Paese, dalla sua famiglia per dare alla luce la sua bambina. E’ la cosa più preziosa che abbia, scopre un amore senza confini e si sente responsabile della vita di sua figlia, ha solo lei.
Riesce a passare un po' di tempo con sua figlia, scacciando i fantasmi del suo recente passato. Ma lei non è stata dimenticata e poco dopo, i suoi protettori la costringono a ripartire. Questa volta la destinazione è l’Italia, Torino.
Tina è costretta a tornare in strada. Ogni giorno uguale a quello precedente, con il pensiero rivolto sempre a est, verso casa. Lì dove sua figlia è al sicuro insieme ai nonni. E’ questo che le dà la forza di non soccombere, di non cedere. Con la speranza un giorno di poter tornare da sua figlia.
Il 9 febbraio del 2001
E’ una fredda giornata invernale a Torino il 9 febbraio del 2001, ma Tina come sempre è in strada. Quella notte le si avvicina un cliente e i due si appartano. Ma Tina non torna indietro, non si sa che fine abbia fatto. Non si sa se qualcuno abbia provato a cercarla.
Soltanto otto giorni dopo, il suo corpo viene ritrovato senza vita nei pressi dello svincolo Pianezza Collegno, nei pressi della tangenziale di Torino. L’orologio di Tina segna le 4.46, è fermo a quell’ora. Le mani sono legate dietro la schiena, sul corpo gli evidenti segni di ciò che ha subito. Tina muore, uccisa, a soli ventuno anni senza aver avuto la possibilità di costruirsi un futuro diverso, senza l’ultimo abbraccio di sua figlia.
Per tanto tempo nessuno può riconoscere quel corpo, che resta nell’obitorio di comunale di Mirafiori per diverso tempo.
Ma la sua morte non è passata nel silenzio. La società civile si mobilità e la Chiesa ortodossa insieme al Gruppo Abele onlus e ad Acmos si attivano per restituire il nome a quella giovane donna e darle sepoltura. Sarà proprio grazie alla mobilitazione dei fedeli della chiesa ortodossa che le verrà restituita la sua identità e ritrovata la sua famiglia.
Un mese dopo la sua morte si organizza a Torino una marcia intitolata “Un Fiore Per Tina”, che vede una straordinaria partecipazione cittadina. Durante la manifestazione le associazioni, i rappresentanti delle istituzioni e centinaia di ragazzi delle scuole si danno appuntamento ai Murazzi e le dedicano componimenti e riflessioni, lanciando simbolicamente nel fiume Po dei fiori.
Il 9 marzo del 2002, esattamente un anno dopo che la città si era unita intorno alla triste storia di questa donna, l'associazione Libera ottenne il nulla-osta dalla Procura per portare il suo corpo a Dorohoi. nessuno ha dimenticato Tina e nei mesi precedenti in molti si erano attivati per riportarla a casa. Una grande cerimonia interreligiosa e laica ha permesso ai torinesi di darle l'ultimo saluto prima del suo ritorno a casa, dove la sua famiglia e sua figlia la stavano aspettando.
Vicenda giudiziaria
Subito dopo il ritrovamento del suo corpo, gli organi inquirenti riescono a individuare il suo carnefice. Il 7 marzo del 2001 Maurizio Minghella, già noto alle forze dell’ordine, è arrestato per aver aggredito e derubato una prostituta albanese, vicino al luogo in cui era stata ritrovata Tina. Non ci volle molto tempo per unire i due eventi. A casa di Minghella, le forze dell’ordine trovano il telefono cellulare di Tina e degli scarponi ancora sporchi di fango e foglie secche, identici a quelli ritrovati sul corpo di Tina.
Minghella resta in carcere, accusato non solo dell’omicidio di Tina, ma di altre rapine e violenze nei confronti di altre prostitute della stessa zona. Il processo si conclude con la sua condanna il 4 aprile del 2003.
Memoria viva
Le associazioni che hanno preso parte a questa storia continuano a coltivarne la memoria perché la storia di Tina è la storia di tutti coloro che rimangono soli, in balìa delle organizzazioni criminali. L’impegno nel nome di Tina è di sconfiggere l’indifferenza per far sì che nessunìaltra vita si consumi nell’invisibilità sociale.
A Tina Motoc sono dedicati Casa ACMOS e un presidio di Libera a Torino.
La sua storia non è stata dimenticata ma è stata ripresa e raccontata a centinaia di persone. Rappresenta tutte quelle vite di persone che vivono e spesso muoiono, discriminate, costrette a condizioni di vita non dignitose, senza alcun merito o colpa, ma solo a causa delle ingiustizie strutturali su cui si regge il nostro sistema, culturale prima ancora che socio-economico. Tutte quelle storie che vengono dimenticate, ritenute meno importanti, sacrificabili, in nome del progresso collettivo. A fronte di questa consapevolezza vogliamo reagire senza rassegnazione e senza cinismo, consapevoli dei limiti, ma disposti a fare il massimo per cambiare il corso delle cose e rendere la realtà un più giusta di com’è.