Chissà quanto l’avevano sognata quella vacanza in Grecia. Chissà quanto tempo hanno trascorso a discuterne, a programmarla, a immaginarla sin nei minimi dettagli. Perché a 20 anni è così l’estate: il tempo delle opportunità, della spensieratezza, del divertimento. Un tempo che finalmente, per Gigi e Paolo, era arrivato. Sarebbero rientrati a casa, pochi giorni dopo, con le valigie cariche di storie da raccontare, di posti da descrivere, di esperienze da ricordare. Per poi riprendere a sognare un nuovo viaggio, una nuova scoperta, un’altra avventura. Insieme, amici per la pelle.
In Grecia Gigi e Paolo però non ci arrivarono quell’estate. Né quella né nessun’altra. Nessuna storia da raccontare, per loro. L’unica storia che resta di quella estate maledetta è quella, tragica, della loro morte senza senso, vittime innocenti della violenza cieca, crudele e bestiale della camorra. Nessuna colpa, nessuna spiegazione in grado di dare pace, nessun motivo per alleviare il dolore. Solo un enorme, interminabile dolore. E una domanda che risuona ancora drammatica: si può morire così?
Non c’è modo di raccontare le vite di Gigi e Paolo nella loro individualità. Avevano 20 anni il primo e 21 il secondo. Paolo lavorava al banco in un Supermercato di Quarto (NA). Gigi invece frequentava la facoltà di economia dell’Istituto Navale e coltivava il sogno di arruolarsi in aeronautica. Amavano la musica e Paolo aveva una vera e propria passione per i cani. Li raccoglieva per strada se li vedeva in difficoltà. Era arrivato ad averne sei in casa. Erano insomma due ragazzi perbene, con un’amicizia sincera, pura e leale. Dispensavano sorrisi, empatia, dolcezza. Erano così Gigi e Paolo e così sono rimasti nella memoria di chi li ha conosciuti. Due bravi ragazzi.
10 agosto 2000
Il 10 agosto del 2000 è la data che segna lo strappo nella vita di questi ragazzi e delle loro famiglie. La vigilia della partenza per quella vacanza in Grecia. Gigi e Paolo erano insieme per discutere degli ultimi preparativi. Si erano fermati in una Lancia Y sotto casa di Gigi. Non avevano pensato - o forse manco lo sapevano - che proprio lì, dove si erano fermati, c’era la casa di Rosario Marra. Lui era il genero di Pietro Lago, detto ‘o sciore (il fiore), storico capo dell’omonimo clan, da un decennio in guerra per il controllo del territorio di Pianura con il clan dei Marfella - Pesce. I Lago si erano arricchiti violentando il territorio con abusivismo, estorsioni, lottizzazioni abusive e riuscendo a conquistare una posizione di potere non indifferente nelle dinamiche criminali della città e del territorio. E uccidendo barbaramente chiunque si mettesse di traverso. Era accaduto anche pochi giorni prima, il 31 luglio, quando a rimanere ucciso era stato Vincenzo Giovenco, affiliato ai Marfella.
La sera di quel 10 agosto gli uomini del clan erano in perlustrazione con l’obiettivo di uccidere chiunque dei Lago avessero incontrato sulla strada. Quella macchina parcheggiata sotto casa di Marra si rivelò un obiettivo assai semplice. La lunga sosta convinse i killer, arrivati su due motorini, che all’interno dovessero esserci dei guardaspalle del boss. Si avvicinarono, infilarono le armi nei finestrini e fecero fuoco. Gigi e Paolo non ebbero scampo e morirono sul colpo.
Vicenda giudiziaria
Nonostante tutti, sin da subito, avessero gridato l’innocenza di Gigi e Paolo e l’assurdità di quella morte, le indagini si mossero inizialmente negli ambienti della camorra, immaginando un qualche coinvolgimento dei due ragazzi. La reazione delle famiglie e delle tante persone che li conoscevano, però, rese plastica una verità affermata solo anni più tardi: Gigi e Paolo erano assolutamente innocenti.
Ci vollero sei anni perché qualcuno finalmente parlasse e indirizzasse le indagini. Lo fecero due collaboratori di giustizia, Raffaele Bavero e Eduardo Criscuolo, entrambi ex affiliati al clan Marfella. Le loro dichiarazioni aiutarono gli inquirenti a ricostruire la vicenda, confermando l’estraneità delle vittime e la tragica circostanza che li aveva portati a finire sotto il fuoco dei killer. Bavero racconta che direttamente i Pesce gli avevano confermato il loro coinvolgimento.
Nel novembre del 2007 arriva la sentenza di primo grado e la condanna all’ergastolo per i cugini Pasquale e Eugenio Pesce. Condanna poi confermata in appello l’anno successivo. Del commando avrebbe fatto parte anche Carmine Pesce, ucciso però prima che cominciasse il processo. In un altro procedimento, celebrato con rito abbreviato, viene condannato a 18 anni un altro esponente del clan Pesce, Luigi. Infine, finisce in manette anche Luigi Mele, ritenuto il mandante del raid.
Memoria viva
A chi gli chiede come mantiene vivo il ricordo di suo figlio, Vincenzo Castaldi, il papà di Paolo, risponde in maniera ferma, estremamente determinata. Una determinazione che, col tempo, lo ha portato trasformare il suo dolore in impegno civile, rivolto soprattutto verso i giovani provenienti da contesti “difficili”.
Il ricordo di Paolo vive con l’attivismo, con le iniziative nelle scuole, con le visite ai giovani nel carcere minorile di Nisida e al centro di prima accoglienza ai Colli Aminei. In tutti questi anni non mi sono mai fermato. Sono entrato nell’associazione Libera e ho iniziato un percorso per provare ad aiutare i ragazzi che hanno già sbagliato una volta.
La speranza che nasce da una memoria viva che si fa impegno, testimonianza, amore. Per Vincenzo come per Rosaria, la mamma di Gigi.
Il dolore è una ferita che sanguina sempre, non si cura. Io non sono vedova, non sono orfana. Quando un genitore perde un figlio non ci sono parole per descriverlo (…) Parliamo agli adolescenti, che sono un terreno fertile per la criminalità. Entriamo negli istituti per dare un senso al nostro dolore, affinché possa arrivare al cuore di chi fa scelte sbagliate nella vita.
Questa memoria ha generato anche altri frutti, segni tangibili di speranza e cambiamento. Come l’associazione Le voci di Gigi e Paolo, fondata dal papà di Gigi col sostegno dei genitori di Paolo.
La casa di via Pignatiello, da cui partì il commando di fuoco quel maledetto 10 agosto, è stata confiscata al clan Mele e, nel 2013, è diventata la Casa del Giovane, un progetto di laboratori di fotografia, ceramica, teatro e altre attività dedicate ai ragazzi del quartiere nel nome di Gigi e Paolo. A loro sono intitolati anche l’Associazione Antiracket Pianura per la Legalità e i Presidi di Libera di Pianura - Soccavo (intitolato anche a Palma Scamardella) e quello delle Valli del Reno, Lavino, Samoggia, in provincia di Bologna.