27 gennaio 1991
Messina (ME)

Ignazio Aloisi

Testimoniare invece di farsi i fatti propri, credere nella giustizia al punto di perdere la propria vita. Questo era Ignazio Aloisi, un uomo che credeva nella verità, quella stessa idea che ha trasmesso alle sue figlie e per la quale è stato ucciso.

Messina è la città che una volta si diceva babba in siciliano, che significa stupida perché senza mafia, la più silenziosa dell'isola, la più lontana dai drammi e dai fermenti di Palermo, sempre in ombra, distante dai riflettori della grande cronaca.
E’ a Messina che vive Ignazio, che di professione fa la guardia giurata. E’ un uomo semplice e rassicurante, le spalle larghe e un sorriso buono. Si innamora di Rosa e si sposano. "Un uomo meraviglioso, squisito. Lo auguro a tutte le ragazze di oggi di trovare un uomo così", così lo ricorda sua moglie ancora oggi.
Rosa e Ignazio hanno due figlie, Cinzia e Donatella. Sono la luce dei suoi occhi. E’ sempre molto attento, nonostante la semplicità della loro vita, per loro desidera il meglio. E’ sempre vicino a loro, emozionato, nei momenti importanti della loro vita, come la prima comunione.
Si diverte a trascorre le serate con loro, spesso si sfidano con i giochi da tavolo e anche le amiche di Cinzia e Donatella si uniscono a loro. Perché è divertente quel papà.
Le sue giornate trascorrono tranquille, ogni giorno il suo compito è di fare servizio di scorta al trasporto dell’incasso del casello autostradale Messina – Palermo. Sicuramente non è un lavoro facile e tranquillo, ma Ignazio è contento di indossare quella divisa e di poter così dare dignità alla sua famiglia con il suo lavoro.

La rapina e la decisione di testimoniare

Anche quella mattina, come al solito Ignazio si trova nella piazzola di sosta del casello per prelevare l’incasso della giornata insieme ai suoi colleghi. Era un servizio di routine, che faceva ogni giorno, dal lunedì al venerdì.  Quando all’improvviso le guardie giurate vengono avvicinate da alcuni malviventi armati che intimano loro di consegnare l’incasso e le pistole. Ma Ignazio non vuole cedere e per questo oltre a essere picchiato gli sottraggono anche le chiavi di casa e la pistola. Riconosce però uno dei banditi, perché viveva nel suo stesso quartiere. Non ha neanche bisogno di pensarci e in Questura fa subito il nome di uno di loro, Pasquale Castorina.
Quel pomeriggio , la moglie lo aspetta inutilmente e inizia a preoccuparsi nel non vederlo rientrare finché non riceva la telefonata di Ignazio che le dice di stare tranquilla e le spiega velocemente che hanno subito una rapina e ora si trova in Questura.
Dieci giorni dopo, Ignazio viene condotto in carcere insieme al magistrato inquirente per procedere con il riconoscimento del pregiudicato che era stato fatto arrestare. Perché Castorina non era un ladro qualunque, era affiliato al clan di Luigi Sparacio, boss messinese, dedito all’usura e al traffico di droga. Viene minacciato di morte quel giorno nel carcere, ma nessuno crede a quelle minacce e Ignazio si tranquillizza. Non furono neanche messe a verbale.
Non Rosa però. Da quel giorno ogni minuto di ritardo del marito diventano per lei motivo di preoccupazione.
Così come lo sono le minacce e gli avvertimenti che Ignazio subisce, cercano in ogni modo di convincerlo a non testimoniare in tribunale. Il giorno in cui è prevista la sua deposizione, Ignazio ha fatto il turno di notte e la mattina, mentre parcheggia la sua auto nel giardino condominiale, cercano di spaventarlo sparando un colpo di pistola.
Ma Ignazio sa che la cosa giusta da fare è non tirarsi indietro e allora in Tribunale ci va lo stesso. Castorina viene condannato a 8 anni di carcere per la rapina e Ignazio torna alla sua vita. Fondamentale fu il suo aiuto alle indagini.

Il 27 gennaio del 1991

E’ una domenica quel 27 gennaio del 1991. Ignazio ha una grande passione, quella per il Messina calcio, che ha trasmesso anche alla figlia Donatella. Anche quella domenica si recano insieme allo stadio “Giovanni Celeste”. Il Messina gioca in casa contro il Verona e Donatella indossa il suo giubbotto portafortuna. Una partita importante, una partita che lo farà esultare fino al 90esimo minuto, quando il Messina segna il terzo goal della partita e porta a casa la vittoria. E’ così felice che probabilmente non sta pensando alle continue telefonate intimidatorie che riceve a casa, a cui spesso rispondono anche le figlie e la moglie. Esulta soddisfatto della partita.
Allora, Ignazio e Donatella decidono di fermarsi a festeggiare nella pasticceria lì vicino allo stadio, come facevano al termine di ogni partita. Abitano lì vicino allo stadio e ne hanno approfittato per uscire a piedi. Attendono inutilmente che la pasticceria apra, ma dopo un po' decidono di tornare a casa passando per una stradina che costeggia la chiesa. Sono mano nella mano e Donatella rimprovera il padre perché ha dimenticato di comprarle la bandiera del Messina. “Domenica prossima la compreremo, non preoccuparti”. Sono queste le ultime parole di Ignazio. Un uomo con il viso coperto si avvicina a loro velocemente e spara tre colpi di pistola contro quel padre felice e fugge. Donatella, che ha solo 14 anni, vede accasciarsi suo padre che le stringe ancora la mano.
Tre anni dopo la promessa di vendetta era stata compiuta. 

Mio padre era una persona molto affettuosa e amava esprimerci il suo amore con abbracci e baci. Anche se ogni volta ricordo quei momenti con un nodo in gola, sono contenta di aver gioito con lui fino all'ultimo giorno. Ad ogni gol era una festa e un forte abbraccio... Dico sempre:< se avessi saputo che, al terzo gol del Messina, sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio.... lo avrei stretto più forte e non lo avrei lasciato più.
Donatella - figlia di Ignazio

Vicenda giudiziaria

Dopo due anni dall'omicidio, gli inquirenti individuano in Pasquale Castorina il mandante, e l'esecutore materiale in suo nipote, Pasquale Pietropaolo. Castorina era proprio l'uomo che Ignazio aveva riconosciuto durante la rapina al furgone portavalori nel 1979. Sono stati condannati con sentenza definitiva a 26 anni di carcere, ma in Appello le pene furono ridotte perché Castorina, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia, aveva dichiarato che Aloisi era uno dei complici della rapina e che lo aveva accusato solo perché non era soddisfatto della spartizione della refurtiva.
Il processo per calunnia intentato dai familiari di Ignazio, grazie anche alle dichiarazioni di altri collaboratori, non fa altro che dare ragione alla famiglia. Castorina voleva infangare anche la memoria di Ignazio e ottenere uno sconto di pensa, ma non è riuscito a farlo. Castorina non viene giudicato per calunnia, perché nel frattempo arriva la prescrizione.
La Corte di Cassazione il 20 novembre 1995 dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti alle spese processuali. ma la sentenza non cancella le dichiarazioni di Castorina che accusava di complicità Ignazio.

Ignazio Aloisi non è ancora stato riconosciuto vittima innocente di mafia dal Ministero dell'Interno perché sul delitto pesano ancora le dichiarazioni di Castorina nella sentenza del suo omicidio che lo accusa di complicità nella rapina.

Memoria viva

Il presidio di Libera a Novara è dedicato alla memoria di Ignazio Alosi.
Durante la trasmissione della Rai "Mi manda Raitre" nella puntata del maggio 2009, il giornalista Andrea Vianello ospita in studio Donatella e Rosa per raccontare la storia di Ignazio.

Mio padre era una persona spettacolare. Non era il classico padre siciliano che teneva le figlie strette, chiuse in casa. Massima libertà e massima fiducia con la raccomandazione di non tradirla. Ci ha sempre inculcato il senso della giustizia perché comunque era giusto lui. Non posso che essere fiera di aver avuto un padre così.
Cinzia - figlia di Ignazio