6 gennaio 1991
Sant'Onofrio (VV)

Onofrio Addesi

Stava per tornare a pranzo dalla sua famiglia Onofrio la mattina del 6 gennaio del 1991. L'ultimo giorno di festa si era attardato a chiacchierare con il suo amico Francesco nella piazza del paese. Ucciso dalla violenza, dall'indifferenza di uomini che non hanno alcun rispetto della vita umana.

Onofrio Addesi portava il nome del Patrono della sua terra d’origine, un paese che all’inizio degli anni ‘90 contava poco meno di 4000 abitanti. Sant’Onofrio si chiamava, appunto, la sua cittadina, a pochi chilometri da Vibo Valentia e dalla splendida costa tirrenica della Calabria. Un punto di passaggio quasi obbligato per chi volesse raggiungere il capoluogo di Provincia. Quel toponimo derivava dal nome di un eremita, Sant'Onofrio del Cao, che qui si era ritirato nei pressi del burrone del Cao, appunto. L’immagine di quel Santo ancora campeggia nello stemma del Comune. 

Ma la storia di questi luoghi è caratterizzata anche da altri elementi che ne hanno condizionato profondamente l’esistenza. Uno di questi è la mafia, quella ‘ndrangheta delle Serre che a lungo ha esercitato il proprio potere su questa terra, facendo della violenza l’unico strumento di regolazione dei rapporti di forza e di imposizione del proprio dominio. Una famiglia in particolare, quella dei Bonavota, la ‘ndrina di Sant’Onofrio e Setafanaconi la cui origine si fa risalire agli anni ’80 e che, nel decennio successivo, fu protagonista di una sanguinosa faida contro la cosca emergente dei Petrolo. A scatenare la guerra un episodio apparentemente banale ma che, in terra di ‘ndrangheta, bastò a provocare sei morti e una ventina di feriti: un furto di bestiame. La miccia, l’omicidio di Francesco Calfapietra, un giovane pastore di 20 anni arruolato da Vincenzo Bonavota, boss indiscusso di Sant’Onofrio, avvenuto il 27 gennaio del 1990. Un anno attraversato quasi completamente da quella faida, fatta di vendette continue. E di sangue, anche innocente. Una faida alla quale avevano dato un contributo anche i Mancuso di Limbadi, la più potente famiglia di ‘ndrangheta del vibonese, che aveva armato la mano dei Petrolo - Matina. Il 3 gennaio del ’91 era stata la volta di un loro uomo, Domenico Moscato. Per la vendetta era solo questione di tempo. 

Onofrio Addesi era un operaio. Lavorava in un mulino. Un lavoro umile ma onesto e pulito, che gli consentiva di condurre una vita tranquilla. Ed era proprio grazie a quel lavoro che aveva conosciuto Francesco Augurusa, come lui una persona perbene e con il quale aveva instaurato un rapporto di amicizia che andava oltre il lavoro comune. Erano amici prima che colleghi e capitava che la domenica si incontrassero nella piazza principale del paese, piazza Umberto I. Accadde così anche quella domenica del 6 gennaio 1991, festa dell’Epifania. 

Il 6 gennaio del 1991

Onofrio era andato in piazza per incontrarsi con Francesco, che intanto era stato raggiunto anche dal figlio Domenico. Dopo la Messa, nella Chiesa della piazza, avrebbero sorseggiato un caffè al tavolino del bar, fatto quattro chiacchiere e programmato il lavoro del giorno seguente. Tutto nella tranquillità di un giorno di festa come tanti altri. Onofrio non avrebbe mai potuto immaginare che quello sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita. Anzi, della loro vita, la sua e di Francesco. Perché in terra di ‘ndrangheta, oltre che nascere da un motivo banale come un furto di bestiame, le guerre di mafia può accadere lascino sul selciato anche persone innocenti, totalmente estranee a quei contesti di violenza e di morte. 

Alle 11.12 di quella maledetta domenica di inizio anno, lo stridio delle ruote lanciate a tutta velocità sull’asfalto fece sobbalzare le decine di persone presenti in piazza. Tra di loro, vi erano anche due uomini dei Bonavota, forse i veri obiettivi dell’inferno di fuoco che si sarebbe scatenato di lì a pochi secondi. I due provarono a far desistere il commando di killer dei Petrolo - tre o forse quattro persone - giunti in piazza a volto coperto e armati di pistole e kalashnikov, mischiandosi tra la gente. Ma fu un tentativo vano. I killer scesero dalla macchina, un’Alfa 33, e spararono all’impazzata. Fu una strage: a terra rimasero 2 morti e 10 feriti, alcuni in condizioni estremamente gravi. I due morti erano Onofrio e Francesco, 38 e 44 anni. Due persone innocenti e totalmente estranee, come tutti gli altri che quella mattina rimasero feriti in quello che è passato alla storia come il Massacro della Befana.
Dopo la strage, gli assassini si diedero alla fuga. L’Alfa 33 a bordo della quale erano arrivati in piazza si diresse verso l’aeroporto di Lamezia, dove era stata presa a nolo proprio per compiere il raid. Ma fu intercettata e fermata da una pattuglia dei Carabinieri dopo dieci chilometri di rocambolesco inseguimento lungo la Tirrenica Inferiore. In auto era rimasto solo Rosario Michienzi, 31 anni. Quando i militari lo bloccarono, aveva ancora con sé la pistola. In poche ore, scesero in campo almeno 150 uomini dell’Arma per battere palmo a palmo tutta la zona e ricostruire i dettagli e le responsabilità di quella tremenda strage. 

Vicenda giudiziaria

Michienzi alla fine decise di fare nomi e cognomi di mandanti ed esecutori. Le sue dichiarazioni confermarono la totale estraneità delle vittime e dei feriti, sulla quale gli inquirenti non avevano comunque mai avuto alcun dubbio. Nelle successive 48 ore, furono identificati e bloccati Gerardo D’Urso, Antonio Bartolotta e Domenico Franzè, tutti giovanissimi: 28 e 19 anni i primi, appena 17 l’ultimo, figlio peraltro del Sindaco di Stefanaconi, un paesino a pochi chilometri da Sant’Onofrio. 

Nel 1993 la Corte d’Assise di Catanzaro ha condannato all’ergastolo come mandanti Nazzareno Matina (l’uomo poi si suiciderà in carcere a Spoleto nel giugno del 2011), suo fratello Pasquale e Rosario Petrolo. Un anno prima, nel giugno del 1992, l’ultimo atto della faida scatenata dal furto di pecore: a Bergamo fu assassinato Fedele Cugliari, braccio destro del boss Vincenzo Petrolo, fratello di Rosario. 

Memoria viva

Non conosciamo molto della vita di Onofrio prima del suo omicidio. Vorremmo ricostruirla per permettere a tutti di conoscere che persona fosse, quali erano le sue passioni, i suoi progetti e i suoi sogni. Questo renderebbe il racconto su di lui più completo e la costruzione di una memoria collettiva sulla sua vicenda di vita sarebbe ancora più vitale.

Chiediamo, quindi, l'aiuto di chiunque possa darci il proprio contributo, condividendo con noi informazioni su Onofrio Addesi.