31 dicembre 2007
Torre Annunziata (NA)

Giuseppe Veropalumbo

Giuseppe era un bel ragazzo di 30 anni. Nella vita faceva il carrozziere. Un lavoro onesto, come onesto e stimato da tutti era lui. Un ragazzo semplice, con una bella famiglia.

La notte di Capodanno ha da sempre un fascino particolare. Porta con sé sogni, speranze, desideri. È una notte di festa, di attesa, di bilanci e di propositi. Ed è forse per questo portato di desideri e sogni, per quella ancestrale e innata tensione dell’uomo a sperare in tempi nuovi e migliori, che ovunque è vissuta con particolare intensità. A Napoli e in Campania, poi, con tradizioni ancora più sentite, che da sempre accompagnano il conto alla rovescia: il ritrovarsi in tanti attorno alla tavola imbandita, i piatti tipici, la tombola, le carte, i fuochi d’artificio. Ci sono però anche pessime abitudini, che, nonostante il grande lavoro di prevenzione, ancora faticano scomparire. Tra queste i botti pericolosi, quelli che ogni anno fanno decine di feriti e pure qualche morto. E, peggio ancora, l’assurdità del “saluto” al nuovo anno a colpi di pistola. La storia di Giuseppe Veropalumbo è la storia delle conseguenze più drammatiche che quest’assurdità può avere. O almeno, questa è una parte di quella storia. Perché, negli anni, ci sono state anche altre ipotesi, mai confermate, a tentare di dare un senso a una morte che un senso proprio non ce l’ha. 

Giuseppe era un bel ragazzo di 30 anni. Nella vita faceva il carrozziere. Un lavoro onesto, come onesto e stimato da tutti era lui. Un ragazzo semplice, con una bella famiglia. Sua moglie, Carmela Sermino, gli aveva dato una figlia splendida, Ludovica. Ed è per loro che Giuseppe viveva, per loro lavorava, per loro respirava. A Torre Annunziata, la città a pochi chilometri da Napoli dove viveva, lo conoscevano tutti. Era un gran lavoratore, corretto, responsabile, benvoluto da tutti i suoi colleghi, sempre pronto ad aiutare gli altri, con generosità e disponibilità. Era cresciuto tra l'officina meccanica e il campo di calcio dei Salesiani. Mai un’ombra nella sua breve vita, che del resto aveva ancora tutta davanti. Vedere crescere sua figlia, all’epoca di appena 18 mesi e magari avere altri bambini. Chissà quanti desideri e quanti sogni nutriva Peppe. E chissà a quanti di questi pensava quella sera del 31 dicembre 2007, mentre con una ventina di amici e familiari aspettava la mezzanotte nel suo appartamento, al nono piano di uno stabile di corso Vittorio Emanuele. 

Il 31 dicembre del 2007

Attorno a lui c’era l’aria di attesa e di festa tipica dell’ultimo giorno dell’anno. Chi apparecchiava, chi preparava i dolci per la mezzanotte, chi giocava a carte. Peppe era lì, insieme agli altri, con Ludovica in braccio, seduto accanto alla finestra. L’anno precedente, il veglione di San Silvestro lo avevano organizzato a casa della mamma di Carmela. La notizia del ferimento di una donna che viveva nel palazzo, colpita da un proiettile vagante, lo aveva turbato. Anche per questo, con sua moglie, aveva deciso di aspettare la mezzanotte a casa sua l’anno seguente. Sarebbe stato più sicuro al nono piano. 

Quando mancava poco meno di un’ora alla mezzanotte, tutti i sogni, le speranze e i desideri della famiglia Veropalumbo andarono tragicamente in fumo. Senza che nessuno si rendesse conto di quanto stava accadendo, improvvisamente Giuseppe si alzò d’istinto, in una smorfia di dolore, portandosi la mano sul torace. Poi si accasciò a terra. In casa fu il caos. Giuseppe fu portato sul divano, tra le urla dei suoi familiari. Il maglione che indossava era intriso di sangue. Carmela pensò a un malore e provò a rianimarlo. Intanto qualcuno aveva chiamato l’ambulanza per una corsa in ospedale che si rivelò inutile. Giuseppe morì prima di arrivarci, ucciso da un proiettile vagante sparato da chissà chi, che aveva trafitto il suo cuore, dopo essere entrato in casa dalla finestra. Di quel foro sui vetri ci si accorse solo dopo. Quel proiettile calibro 9x21 aveva spezzato per sempre la vita di questo ragazzo di 30 anni, che aspettava la mezzanotte per brindare al futuro. La mattina successiva furono trovati per terra in tutta la zona oltre 300 bossoli. 

 Vicenda giudiziaria

Le indagini sulla morte di Giuseppe furono subito assai complesse. Gli inquirenti, che non ebbero il minimo dubbio sulla totale innocenza della vittima sin dall’inizio, si resero conto che sarebbe stato estremamente difficile individuare la traiettoria esatta del proiettile e, a maggior ragione, dare un nome e un volto a chi aveva premuto il grilletto. Si pensò immediatamente a quell’assurda abitudine dei colpi di pistola per “festeggiare” il nuovo anno ma, nel tempo, hanno fatto capolino nelle indagini anche altre ipotesi, altrettanto assurde. 

Nel gennaio del 2013, la prima archiviazione. Nonostante gli sforzi della Procura di Torre Annunziata e pur inquadrando il delitto come “omicidio di camorra”, l’inchiesta fu archiviata per l’impossibilità di individuare anche un solo imputato. Fu la prima di una serie di archiviazioni che costellano la vicenda giudiziaria legata alla morte di Peppe. Nel 2016 infatti, alcune dichiarazioni di Michele Palumbo, sanguinario boss del clan Gionta divenuto collaboratore di giustizia, portarono alla riapertura delle indagini, con l’iscrizione nel registro degli indagati di un uomo di 38 anni legato al clan Gionta, il cui nome Palumbo aveva appreso indirettamente essere l’autore di quello che fu definito come  un “incidente”. Nessun riscontro oggettivo e seconda archiviazione. Poi nel gennaio del 2018 una nuova riapertura del fascicolo, grazie ad alcune perizie balistiche effettuate utilizzando droni e nuove strumentazioni tecnologiche. Sembrò una svolta, con l’individuazione della traiettoria del colpo e l’individuazione di tre persone, all’epoca dei fatti minorenni, come presunti responsabili dell’accaduto. È in questa fase che si fa strada l’ipotesi che in realtà non si era trattato di un incidente. Secondo alcune ricostruzioni, infatti, il palazzo dove vivevano i Veropalumbo sarebbe stato oggetto di un’azione deliberata, una vera e propria stesa di camorra, per vendicare la disponibilità dei condomini a piazzare delle telecamere che avevano consentito alcuni arresti per traffico di droga. Di qui, l’accusa di omicidio preterintenzionale. Ma, ancora una volta, nessun riscontro concreto e prove insufficienti per l’incriminazione. A oggi, questa assurda morte non ha responsabili, non ha verità e non ha avuto alcuna giustizia. 

Memoria viva

L’impegno di Carmela ha alimentato, in tutti questi anni, una memoria viva che continua a indicare una possibilità di riscatto e cambiamento per un territorio difficile come quello di Torre Annunziata. Nel dicembre del 2014 è nato ad Acerra un Presidio di Libera che porta il nome di Peppe. A lui è dedicato anche un torneo di calcio, il Memorial Veropalumbo, che si svolge ogni anno dal 2008, allo stadio Giraud. Nel 2016, all’Associazione Giuseppe Veropalumbo, fondata da Carmela come uno strumento di impegno civile e sociale, viene assegnato un bene confiscato alla camorra a Torre. Poco lontano, ad Aversa, un altro bene confiscato, gestito dalla cooperativa Apeiron, viene intitolato a Peppe (e con lui a Gaetano Montanino e Dario Scherillo). La storia di Giuseppe è raccontata nel libro "Tra due giorni è già Natale" di Tonino Scala.

Perché hanno ammazzato Giuseppe? Quale colpa ha avuto per meritare questa morte? Cosa abbiamo sbagliato? Continuavo a ripetermi tutti i giorni. Riflessioni che non trovavano risposte ma che in compenso alimentavano il mio desiderio di giustizia. Nel 2008 entrai in contatto coi membri del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti di criminalità. Con loro mi sono sentita rincuorata, mi hanno dato speranza, ascoltando le loro storie non mi sono sentita sola. Passo dopo passo diventai parte integrante e attiva del gruppo. L’attivismo sociale è diventato una vera filosofia di vita. Infatti, sono impegnata anche in altre realtà come Libera, Un popolo in cammino e in tante altre associazioni. Ho sempre pensato che quello che realmente ci ammazza è l'indifferenza della gente. Inizia dalle piccole cose, come gettare la carta a terra, fino al rinunciare ai propri diritti lasciando che i delinquenti spaccino in pieno giorno. Questa irresponsabilità conduce a delegare agli altre le scelte, non sentendosi parte del territorio. Siate rivoluzionari! La società è sana quando ognuno di noi si sente realmente parte del territorio, ritrovando se stesso nella società.
Carmela Sermino - moglie di Giuseppe